La polemica Bocca-Pansa. La memoria contesa

27 Ottobre 2006
Hanno lavorato insieme per anni alla ‟Repubblica” e all'‟Espresso”, giornale quest'ultimo per il quale scrivono tuttora, eppure non sono mai stati così distanti come adesso, dopo l'uscita dei loro ultimi libri. Giampaolo Pansa, con La grande bugia, prosegue il fortunatissimo filone iniziato con Il sangue dei vinti, riportando nuove testimonianze sulle violenze avvenute dopo la Liberazione, ma soprattutto togliendosi molti sassolini dalle scarpe nei confronti di quanti in questi anni lo hanno attaccato. Giorgio Bocca, con Le mie montagne, gli anni della neve e del fuoco, torna invece a raccontare, con inediti accenti lirici, la sua storia di partigiano.
Un libro dove all'orgoglio per il suo passato si unisce l'amarezza per il presente, per un'Italia che non ritrova più, tranne forse nelle campagne, in chi si ostina a produrre ‟parmigiano, vino, pane e burro,
prosciutto e frutta” e che rivede negli occhi del nipotino Pietro che vive nelle Langhe, lo chiama "nonu" e a 10 anni guida già il trattore.
‟Il mio non è un libro sulla Resistenza, ma su un periodo storico che si è concluso”, spiega Bocca. ‟La stagione risorgimentale è finita e ora viviamo in questa società globalizzata in cui l'unico valore è il denaro. Ho pensato che fosse necessario ricordare che c'è stato un periodo in Italia in cui la gente combatteva ancora per degli ideali”.
Secondo Pansa, però, c'è anche un'altra Italia che è stata zitta per cinquant’anni: quella che ha visto i propri cari uccisi dai partigiani dopo la Liberazione. Su questo punto i due grandi giornalisti si dividono.
‟A Bassano del Grappa, alla presentazione del mio ultimo libro, una signo
ra mi ha parlato di un militare fucilato dai par
tigiani di cui avevo scritto in Il sangue dei vinti. "Era mio zio", mi ha detto, "se vuole le porto tutte le carte...". Nel mio libro riporto anche storie raccontate da due autorevoli esponenti del Centrosinistra: il nonno di Dario Franceschini per anni è stato costretto a nascondersi solo perché era stato fascista. Molto peggio è andata al nonno di Renzo Lusetti: fu ucciso e fatto sparire. Ancora oggi, nonostante gli appelli di Lusetti, di lui non si sa nulla”.
‟I partigiani dell'Anpi”, aggiunge il giornalista, "non partecipano alle presentazioni, ma non me ne curo, perche li considero ormai quasi come una corrente di Rifondazione comunista. In compenso, ce ne sono altri che mi sono riconoscenti per quello che scrivo. I partigiani cattolici ne hanno subite di tutti i colori. È vero che erano pochi, ma quanti preti sono stati ammazzati non perche collaboravano con i fascisti, ma semplicemente in quanto preti”.
‟lo non credo che i testimoni citati da Pansa dicano il falso”, replica Bocca. ‟Ma bisogna accertare chi erano davvero i loro parenti: se erano stati dei brigatisti neri che impiccavano I partigiani, è chiaro che furono fucilati dopo la cattura. Questo fa parte della guerra. Bisogna però stare attenti a non attribuire ai partigiani degli omicidi che furono commessi da gente comune, che voleva vendicarsi dei soprusi subiti per anni dai fascisti”.
‟Ventimila morti non possono essere stati solo il risultato di vendette private”, ribatte Pansa. "Parliamo, ad esempio, dell'eccidio di Schio: nella notte del 6 luglio del 1945 un gruppo di partigiani fece irruzione nel carcere di Schio, fucilando 54 persone. Tra queste c'era anche una donna di 65 anni, uccisa solo perché pretendeva l'affitto da un giovanotto che probabilmente era diventato un partigiano dell'ultima ora”.

Il valore della Resistenza
Pansa risponde anche all'obiezione di quanti pensano che con i suoi libri si rischia, soprattutto fra le nuove generazioni, di stravolgere il significato storico della Resistenza, il fatto che i partigiani, per quanti errori abbiano commesso, stavano comunque dalla parte giusta. ‟Non è un mio compito educare i giovani, che hanno solo bisogno di verità. E poi, se basta un libro per mettere in crisi l'antifascismo, vuoI dire che l'antifascismo è una pianta debolissima, cosa che io non credo”.
Ne è convinto invece Giorgio Bocca, che è arrivato perfino a invocare una legge contro i libri come quello di Pansa, sull'esempio dei francesi che ne hanno appena approvata una che punisce penalmente chi nega il genocidio degli armeni perpetrato dai turchi: ‟Sì, ce n'è bisogno, perché l'antifascismo non è mai stato così debole. Non siamo riusciti neanche a fare una festa. Il nostro 25 aprile non è come il 14 luglio francese, non è una festa popolare, ma solo dei partigiani e di quanti si riconoscono in loro. Il fascismo è morto, ma la cultura fascista è più forte che mai. Per noi cresciuti nel Partito d'Azione il rigore era tutto: se c'è una legge, va rispettata. Una volta chi rubava, almeno quando veniva scoperto, se ne vergognava. Oggi invece si premiano i più furbi, chi riesce a evadere le tasse se ne vanta. E, soprattutto, gli italiani rischiano di dimenticare una cosa, quello per cui noi abbiamo combattuto: la libertà dall'invasore nazista. La Resistenza è stato un fenomeno minoritario? lo mi ricordo quando abitavo nelle Langhe. Quando il cielo era sereno, potevo vedere la catena delle Alpi al completo e sapevo che in ogni valle c'era una formazione partigiana. Alla fine, eravamo in 300.000. Se avessero vinto i fascisti, l'Italia sarebbe diventata nazista. Ricordiamolo: qui c'erano i partigiani, dall'altra parte c'erano le camere a gas”.

Le mie montagne di Giorgio Bocca

Nel giugno del 1940 l’esercito italiano attacca la Francia sul confine alpino: i francesi sono già prostrati dalla disfatta appena subita a opera dei tedeschi, ma i fanti italiani avanzano con enorme fatica e l’equipaggiamento inadatto miete più vittime, per assideramento, delle pallottole nemiche.…