Giorgio Bocca: Caro Prodi parla più chiaro
02 Novembre 2006
Romano Prodi in una intervista a 'El Pais' definisce così la nostra situazione politica: "Se non riescono a cacciarmi via, il paese capirà le mie ragioni, e non possono cacciarmi perché non saprebbero cosa fare". E dice, insieme, una verità e una pia illusione: è vero che questa opposizione qualunquista è a volte indecente, alla Briatore per intenderci: non ha saputo e non saprebbe governare. Ma è anche vero che è assai difficile capire le buone ragioni dell'Unione e del suo governo finché perseverano in un linguaggio incomprensibile dal cittadino comune e quasi sempre anche dal cittadino acculturato.
Che sia incomprensibile il linguaggio dei manager e dei pubblicitari che il governo dell'Unione spesso fa suo lo si capisce anche se non lo si accetta. I pubblicitari devono ogni giorno dire e disdire, convincere la platea degli ignoranti che quel che ieri faceva male alla salute del corpo e dell'anima oggi fa non solo bene, ma è miracoloso. E per farlo impunemente ricorrono all'ermetismo e all'inganno subliminale, nessun messaggio è esplicito, tutti impaccati nel sesso e nel diverso: pare che per invogliare un cliente a comperare un'automobile occorra arrivare ai suoi desideri proibiti e repressi, alle sue pulsioni di violenza e di morte. Prima in modo confuso e psicoanalitico si stimolano i desideri e la violenza e alla fine, senza neppure spiegare il perché e i per come commerciali, appare l'auto da comperare.
Il gioco delle tre carte in versione moderna è fatto. Così sono ermetici, non spiegabili alla gente comune, i furti della classe manageriale. Chiunque fornito di un minimo di buon senso poteva capire da anni che le invasioni manageriali, tipo le stock option, i premi ai dirigenti che aumentano il valore delle azioni, erano un incoraggiamento ai più furbi e ai più disinvolti a falsificare i bilanci, a mettersi d'accordo con i colleghi della concorrenza, ad andare deliberatamente ai fallimenti pagati dagli azionisti.
Se non è facile dire le cose come stanno, quando il capitalismo diventa socio della mafia e grazie a questa inconfessabile alleanza strozza la concorrenza di cui si proclama il paladino, è difficilissimo parlar chiaro in un mondo in cui i conflitti razziali si coprono di vesti religiose o ideologiche, tutti immersi in un bagno di sangue e di menzogne.
Non chiediamo tanto. Ci basterebbe che la pubblica amministrazione, il governo, anche se tirano l'acqua al loro mulino, usassero almeno un linguaggio comprensibile, si occupassero della chiarezza. Ma anche uno come me, che vive di scrittura e di comunicazione, ignora gran parte di questa famosa legge finanziaria del governo Prodi. E ha rinunciato a interessarsene perché incomprensibile, ostica e noiosa.
E il fatto che bisogna ridiscuterla, correggerla, capovolgerla, non è soltanto come si dice una prova di democrazia, di ricerca del consenso, è anche il vizio antico del nostro ceto politico di tirar giù le riforme, le leggi senza una adeguata conoscenza della società e dei suoi nodi, senza neppur sapere chi è veramente ricco o veramente povero. Per cui si arriva al ridicolo che tutti o quasi negano l'evidenza e i gioiellieri, gli imprenditori o i palazzinari possono giurare di guadagnare di meno di un operaio.
Non si pretende che la lotta di classe scompaia, che la difesa dei privilegi venga meno. Si chiede semplicemente di tornare a parlare la stessa lingua, di riconoscere in linea di principio gli stessi valori. Se no, andiamo tutti quanti, liberali e socialisti, verso società come la cinese o la russa: nella prima una signora di Canton, una comunista, ha fatto migliaia di miliardi con il recupero della carta stracciata; nella seconda i tycoon alla Berlusconi o alla Briatore spiegano al presidente della regione Sardegna che far pagare ai ricchi modestissime tasse di soggiorno significa bloccare il progresso.
Se vuoi caro Prodi che gli italiani apprezzino le tue riforme, dì ai tuoi ministri e a te stesso di usare un linguaggio comprensibile e di non scambiare i veri ricchi con i veri poveri.
Che sia incomprensibile il linguaggio dei manager e dei pubblicitari che il governo dell'Unione spesso fa suo lo si capisce anche se non lo si accetta. I pubblicitari devono ogni giorno dire e disdire, convincere la platea degli ignoranti che quel che ieri faceva male alla salute del corpo e dell'anima oggi fa non solo bene, ma è miracoloso. E per farlo impunemente ricorrono all'ermetismo e all'inganno subliminale, nessun messaggio è esplicito, tutti impaccati nel sesso e nel diverso: pare che per invogliare un cliente a comperare un'automobile occorra arrivare ai suoi desideri proibiti e repressi, alle sue pulsioni di violenza e di morte. Prima in modo confuso e psicoanalitico si stimolano i desideri e la violenza e alla fine, senza neppure spiegare il perché e i per come commerciali, appare l'auto da comperare.
Il gioco delle tre carte in versione moderna è fatto. Così sono ermetici, non spiegabili alla gente comune, i furti della classe manageriale. Chiunque fornito di un minimo di buon senso poteva capire da anni che le invasioni manageriali, tipo le stock option, i premi ai dirigenti che aumentano il valore delle azioni, erano un incoraggiamento ai più furbi e ai più disinvolti a falsificare i bilanci, a mettersi d'accordo con i colleghi della concorrenza, ad andare deliberatamente ai fallimenti pagati dagli azionisti.
Se non è facile dire le cose come stanno, quando il capitalismo diventa socio della mafia e grazie a questa inconfessabile alleanza strozza la concorrenza di cui si proclama il paladino, è difficilissimo parlar chiaro in un mondo in cui i conflitti razziali si coprono di vesti religiose o ideologiche, tutti immersi in un bagno di sangue e di menzogne.
Non chiediamo tanto. Ci basterebbe che la pubblica amministrazione, il governo, anche se tirano l'acqua al loro mulino, usassero almeno un linguaggio comprensibile, si occupassero della chiarezza. Ma anche uno come me, che vive di scrittura e di comunicazione, ignora gran parte di questa famosa legge finanziaria del governo Prodi. E ha rinunciato a interessarsene perché incomprensibile, ostica e noiosa.
E il fatto che bisogna ridiscuterla, correggerla, capovolgerla, non è soltanto come si dice una prova di democrazia, di ricerca del consenso, è anche il vizio antico del nostro ceto politico di tirar giù le riforme, le leggi senza una adeguata conoscenza della società e dei suoi nodi, senza neppur sapere chi è veramente ricco o veramente povero. Per cui si arriva al ridicolo che tutti o quasi negano l'evidenza e i gioiellieri, gli imprenditori o i palazzinari possono giurare di guadagnare di meno di un operaio.
Non si pretende che la lotta di classe scompaia, che la difesa dei privilegi venga meno. Si chiede semplicemente di tornare a parlare la stessa lingua, di riconoscere in linea di principio gli stessi valori. Se no, andiamo tutti quanti, liberali e socialisti, verso società come la cinese o la russa: nella prima una signora di Canton, una comunista, ha fatto migliaia di miliardi con il recupero della carta stracciata; nella seconda i tycoon alla Berlusconi o alla Briatore spiegano al presidente della regione Sardegna che far pagare ai ricchi modestissime tasse di soggiorno significa bloccare il progresso.
Se vuoi caro Prodi che gli italiani apprezzino le tue riforme, dì ai tuoi ministri e a te stesso di usare un linguaggio comprensibile e di non scambiare i veri ricchi con i veri poveri.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …