Luigi Manconi, Andrea Boraschi: Integrazione. La ballata dei circoncisi

06 Novembre 2006
Davanti a certi fatti e a certe di prese di posizione, viene da chiedersi se qualcuno, in questo paese, abbia deciso intenzionalmente e irrevocabilmente di opporsi a qualsiasi politica positiva in fatto di integrazione; o se, per contro, quello stesso qualcuno non sia vittima, a sua volta, di un madornale fraintendimento o di una sciagurata e irreparabile ottusità nei confronti della cruciale questione migratoria. Se escludiamo queste alternative, fatti come quelli dell'Ospedale Regina Margherita di Torino risultano incomprensibili. Dai primi giorni di ottobre in quell'ospedale è stata avviata una sperimentazione che prevede la medicalizzazione della circoncisione rituale. Centoventimila euro stanziati per 300 interventi nell'arco di un anno; interventi semplici, che non comportano rischi clinici di alcun tipo, che sono intesi a ricondurre a un ambito medico pratiche altrimenti clandestine e talvolta dannose. Come per quel bambino quasi evirato, pochi mesi fa, da sua madre: una badante nigeriana residente a Padova, improvvisatasi chirurga.
L'avvio del progetto è stato piuttosto semplice, almeno per quanto concerne le modalità di informazione delle comunità straniere della città. Madih, padre di Ilias e Nadir, tra i primi bambini circoncisi a Torino, è in Italia da otto anni e gestisce un banco ambulante di frutta e verdura in Corso La Spezia; aveva ricevuto un volantino prima dell'estate e l'aveva conservato. I criteri di ammissione al servizio apparivano chiari: permesso di soggiorno, residenza nel capoluogo piemontese, niente ticket, età dei minori cui praticare l'intervento compresa tra gli 1 e i 12 anni. E, così, entrambi i suoi bambini, ed altri con loro, sono stati sottoposti a quell'operazione in condizioni di massima sicurezza. Una sperimentazione simile è stata avviata anche dalla regione Liguria: in tutti gli ospedali della regione si può accedere a pratiche medicali di circoncisione (ed è previsto un ticket).
Fin qui, tutto semplice. Com'era semplice mettere in conto le critiche e le reazioni ostili. Dalle più accettabili (‟perché quel rituale religioso va finanziato con soldi pubblici?”) alle più demenziali (‟siamo in Italia, non siamo in Arabia Saudita”; e ancora: ‟a quando l'infibulazione passata dalla mutua?”). Ci sarebbe, eccome, di che rispondere. Perché la circoncisione potrà, sì, avere delle valenze rituali e religiose; ma è, sopra ogni altra cosa, un intervento che molti medici ritengono opportuno, anche in assenza di specifiche patologie che lo rendano indispensabile. Esistono fior di studi scientifici che documentano come l'incidenza di balanopostiti, nei soggetti circoncisi, sia significativamente più bassa; ed esistono ricerche molto serie (una pubblicata sul ‟Lancet”), che tendono a dimostrare come la circoncisione riduca notevolmente le possibilità di infezione da Hiv. E, allora, perché non conciliare virtuosamente più esigenze, tutt'altro che contraddittorie? La sperimentazione torinese, così come quella ligure, possono offrire un servizio utile da un punto di vista medico-igienico, ridurre una pratica clandestina pericolosa e talvolta drammatica, offrire riconoscimento pubblico a una cultura, quella islamica, ormai ampiamente presente nella nostra società (tanto più che la circoncisione rituale è praticata da sempre all'interno delle comunità ebraiche in Italia). E consideriamo pure alcune delle eccezioni, come dire?, più ruvide. No, certo che non siamo in Arabia Saudita; e se continua così non siamo neppure negli Stati Uniti o in Australia, dove la circoncisione è largamente diffusa e praticata. Come lo era nel mondo ellenico, nell'antica Roma, nell'Egitto dei faraoni, tra i Caldei che abitavano l'Armenia e il Kurdistan; e ovviamente, come si è detto, tra le comunità ebraiche. Dunque, la circoncisione è una pratica, ancor prima che un rituale, diffusa tra molte culture: tra cui, certo, anche quella musulmana.
Ha qualcosa a che fare con le pratiche di mutilazione genitale femminile? Beh, comporta un intervento mutilatorio; e interessa un organo genitale. Dopodiché sta alla clitoredectomia o all'infibulazione come il taglio di un'unghia (per tener fermo il ‟fattore mutilante”) sta all'amputazione di un braccio. Dicevamo di come potessero essere prevedibili talune critiche: c'è un elemento tuttavia, in questa vicenda, che prevedibile non era. Di venti chirurghi interessati da quella sperimentazione, solo quattro si sono effettivamente resi disponibili. Gli altri si sono appellati all'obiezione di coscienza. Il primo e più netto rifiuto è venuto dal primario di Urologia, Marco Bianchi: ‟Non è una patologia ma un rito - ha dichiarato - quindi né io né alcun medico del mio reparto partecipiamo alla sperimentazione”. Ah, beh... non fa una piega. E però, siccome gli imprevisti sono forieri di altri imprevisti, al neonato partito dell'obiezione (il cui diritto, evidentemente, nessuno intende discutere e nemmeno svalutare o denigrare) si è aggiunto un partito di volontari, provenienti da altri ospedali della città. ‟Mi rendo disponibile - ha dichiarato il primario di Neurourologia dell'ospedale Maria Adelaide, Roberto Carone - Primo, perché l'intervento non ha controindicazioni, anzi. Secondo, perché questi bambini lo farebbero comunque ma in condizioni rischiose, quindi c'è una responsabilità nel negare l'intervento. Se alcuni colleghi fanno obiezione, mi metto a disposizione”. Ecco: anche nei momenti peggiori esistono sempre portatori sani di buon senso.

Luigi Manconi

Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l’Università IULM di Milano. È parlamentare e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. Tra i suoi libri …