Renato Barilli: Dalla sedia all’aereo, un mondo firmato Mollino

02 Gennaio 2007
In alcuni casi eccezionali le due maggiori istituzioni torinesi per il contemporaneo, la Galleria d’Arte moderna e il Castello di Rivoli, congiungono le forze onde celebrare compiutamente qualche protagonista di prima grandezza. È accaduto per il padre riconosciuto dell’Arte povera, Mario Merz, avviene ora per Carlo Mollino (1905-’73), figura dominante nella città sabauda al centro delle due metà del Novecento (a cura di F. e N. Ferrari, cat. Electa). Lo si dovrebbe definire un architetto, ma come vedremo l’etichetta gli risulta alquanto stretta, o meglio, come si conviene a una giusta nozione di quest’arte maggiore, essa fugge via, si allarga a coprire tante altre caselle, anche delle più insolite.
Mollino appartiene nel modo migliore a un identikit italiano di come si deve o si può fare architettura, non senza degli aspetti limitativi, per certi lati. Infatti, diciamolo pure, se si tratta di progettare con un massimo di rigore, sembra quasi che noi ‟non ci siamo”. Se si va agli anni di gloria del Movimento moderno, con i Gropius e Le Corbusier e Lloyd Wright, ebbene, noi non abbiamo iscritto nessun nome di alto valore in questo club, o vi abbiamo aderito con un po’ di ritardo, solo negli anni Trenta, grazie ai pur eccellenti contributi dei nostri razionalisti dello stampo di Terragni, Libera, Pagano. Poi, al momento del dopoguerra e della ricostruzione, ci siamo presi una rivincita mettendo in campo dei perfetti designers, sempre nel nome del più puro funzionalismo, quali Castiglioni, Zanuso, Joe Colombo. Ma con il rischio che questi eccellenti personaggi, visti oggi, ci appaiano concedere un po’ troppo a una sorta di aesthetical correctness.
E così, la vera gloria nostrana per gli Anni Trenta è stata affidata a protagonisti intermedi, più inclini all’eccezione, alla stravaganza, o addirittura alla ‟citazione”, che si sono chiamati Gio’ Ponti, Muzio, magari su su fino a Piacentini. Non per nulla uno dei nostri più attenti studiosi di storia dell’architettura, Fulvio Irace, ha parlato per loro di un pre-postmoderno, di una strada, insomma, che porta fino agli Aldo Rossi, agli Ettore Sottsass Jr., agli Alessandro Mendini che oggi dominano la scena.
Ebbene, Mollino occupa saldamente il centro, il nodo di questa ricca situazione. Per un verso egli era ben consapevole di operare in una Torino ormai chiamata a divenire il polo dell’industrialismo avanzato, nel nostro Paese, e dunque gli correva l’obbligo di progettare nel nome della sobrietà più spinta. La stravaganza, l’oblio dell’angolo retto a favore delle curve eccentriche, nel suo caso non potevano certo ripetere i fasti di passate stagioni, come le trepide concessioni al floreale dell’epoca Liberty, o le curve troppo piene e simmetriche dell’Art Déco. Se guardiamo le costruzioni da lui realizzate, appunto negli anni centrali del secolo scorso, come per esempio la Camera di Commercio di Torino, vi scorgiamo senza dubbio un impianto solido, di linee scattanti, ridotte all’osso, che però a un tratto non mancano mai di flettersi, di disegnare curve, falcate, anche se pur sempre nel nome dell’asciuttezza: curve, insomma, diremmo oggi, prodotte al computer, nel rispetto di sottili formule matematiche.
A questo modo gli edifici di Mollino assumono le movenze di fantastiche astronavi pronte a salpare verso lo spazio, nel che non è da vedere solo un’abusata metafora, bensì un impulso reale, infatti, a proposito di quelle invasioni di campo già annunciate sopra, il nostro super-progettista a un certo punto si dà a progettare le scocche di auto futuribili, nel nome di profili aerodinamici, ed ecco così due modelli che hanno fatto epoca, il sigaro bombato della Osca, o addirittura il bisiluro. Ma le auto sono pur sempre costrette a strisciare sul terreno, però c’è una possibilità ulteriore di svincolo, basterà andare a progettare anche gli aerei, come puntualmente ha fatto il nostro Mollino; e infine anche rimanendo sulla terra c’è la possibilità di inanellare curve a piacere, basterà indossare un paio di sci, e disegnare con essi, sui pendii innevati, dei cerchi degni delle libere progettazioni al computer. A questo punto potremo recuperare il sottotitolo della mostra, Arabeschi, che coglie in pieno il destino di questo architetto totale, impegnato a tracciare ovunque, appunto, arabeschi: anche negli arredi degli interni, concepiti come un ardito e aereo sistema di zampe d’insetti.Ma c’era un’ultima carta residua, nella manica di Mollino, che vediamo magnificamente giocata nella sezione del Castello di Rivoli. Per chi egli progettava le sue bomboniere avveniriste, i suoi magici nidi tutti nel segno dell’arabesco? Ma certo, per una donna fatale, che risultasse del tutto conforme a quel tripudio di ritmi curvilinei. Ecco così, a Rivoli, una stupenda serie di foto, che sembrerebbero piegare maliziosamente verso una vocazione erotico-libidica, basti dire che l’obiettivo fotografico si concentra sulle natiche di figure femminili prosperose, isolate per farne meglio risaltare la perfetta sfericità. Del resto, l’esercizio della foto non era solo un violon d’Ingres, per Mollino, visto che vi ha dedicato un trattatello, Il messaggio dalla camera oscura, opportunamente riedito in quest’occasione da AdArte.

Renato Barilli

Renato Barilli (1935) già docente di Fenomenologia degli stili all’Università di Bologna, è autore di numerosi volumi di estetica, fra cui: Scienza della cultura e fenomenologia degli stili (il Mulino, …