Umberto Galimberti: La nuova identità senza la protezione dell’appartenenza

02 Gennaio 2007
Ogni volta che rivendichiamo la nostra "identità" dimentichiamo spesso che questa è decisa quasi totalmente dalla nostra "appartenenza": religiosa innanzitutto (essere cristiani invece che mussulmani, ebrei, buddisti o atei), culturale (essere nati e cresciuti in occidente, piuttosto che altrove), ideologica (essere di destra o di sinistra o qualunquisti), familiare (a secondo si abbia o non si abbia una famiglia e, nel primo caso, se si tratta di una famiglia nobile, borghese o proletaria), di genere (maschio, femmina, transgender) di orientamento sessuale (etero, omo, bisex). Come risultante di tutte queste appartenenze, l’identità non ha in sé alcuna traccia "naturale", ma è in ogni suo aspetto "costruita". Di qui il problema: che ne è della mia identità oggi che i contorni delle diverse appartenenze si smarginano, che i confini dei diversi territori diventano permeabili, che le leggi allargano le loro maglie per ospitare il più possibile tutte le genti, nella contaminazione dei loro usi e costumi, e per garantire a ciascuno l’esercizio della propria libertà di sposarsi o di convivere, di esercitare la propria sessualità in base alle proprie tendenze, di pregare il proprio Dio o nessun Dio, di trasmigrare da destra a sinistra perché nessuna idea forte fa più la differenza? Io vedo in questa assenza di confini la grande occasione perché nasca un’identità senza la comoda protezione dell’appartenenza, e quindi un essere-se-stessi senza che nessun dispositivo religioso, culturale, giuridico possa davvero codificarci. Fine dell’uomo come finora l’abbiamo conosciuto, a cui il territorio, la religione, la cultura, la legge fornivano gli argini della sua intrinseca debolezza, e nascita di un uomo nuovo, sempre meno soggetto ai codici che lo identificavano e sempre più costretto a fare appello ai valori che trascendono la garanzia del legalismo. Il prossimo, sempre meno specchio di me e sempre più "altro", obbligherà tutti a fare i conti con la differenza, come un giorno, ormai lontano nel tempo, siamo stati costretti a farli con il territorio, il costume, la proprietà, la legge. Non si legga questa umanità che sta nascendo come se fosse condannata a un’anarchica erranza. Il nomadismo è la delusione dei forti che rifiuta il gioco fittizio delle identità costruite dai codici di identificazione. Se infatti saremo disposti a rinunciare alle nostre radicate convinzioni, quando il radicamento non ha altra profondità che non sia quella della vecchia abitudine, allora l’assenza di confini ci offre un modello di cultura che educa perché non immobilizza, perché de-situa, e così scongiura quella fittizia identità che è data esclusivamente dalla nostra appartenenza.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …