Gianfranco Bettin: Erba. La banalità del male

12 Gennaio 2007
Uno strano frutto cresce spesso quassù, a nord, in province che sono tra le più ricche del mondo ma anche fra le più spaesate e a volte spaventate dai cambiamenti che pure contribuiscono potentemente a provocare. Non pende dai pioppi, come lo Strange Fruit di Billie Holiday, ma ugualmente semina ‟sangue su foglie e radici”. Il sangue di Youssef, che ha vissuto soltanto due anni tre mesi e due giorni, quello di sua madre Raffaella e di sua nonna Paola, quello dei vicini accorsi in loro aiuto. Questo sangue viene da un frutto che, in questo caso, ha un nome solo e appropriato. Guardando alla scena del crimine, si potrebbe anche chiamarlo odio. Ma sarebbe un po' sviante. Non perché non ci sia odio in quello che Olindo Romano e Angela Rosa Bazzi hanno confessato di aver fatto. Ma è venuto dopo. L'odio è il frutto maturo. La linfa che l'ha gonfiato fino a farlo esplodere ha invece il nome di intolleranza.
Se c'è un delitto che possa esservi ascritto è proprio questo. I coniugi Romano non sopportavano nulla di quei vicini, così diversi. Non si ponevano nemmeno il problema di confrontarvisi in modo maturo, neanche quello di sopportarli (questo significa, appunto, ‟tollerare”), ammesso che vi fosse nel loro comportamento qualcosa da ‟sopportare”. E' probabile che questa incapacità di accettare gli altri - o certi altri - si radichi in percorsi soggettivi peculiari, sui quali è difficile oggi fare ipotesi. Ma tali, eventuali caratteristiche, vengono esasperate da un contesto sociale e culturale che, come riflesso delle proprie insicurezze, ormai sistematicamente produce intolleranza. Lo strano frutto, che cresce in quel terreno di ‟banale litigiosità condominiale” di cui parla la procura di Como a proposito del delitto di Erba, si gonfia di questi veleni. Queste ricche province sono sempre più spesso spinte a perdere il controllo di sé, a farsi saltare i nervi, a contatto con ogni diversità. Si comincia con quella maggiore, lo straniero, ma si continua, in una replica infinita, anche con le più prossime. La famiglia di Raffaella Castagna e Azouz Marzouk era il perfetto bersaglio per soggetti avvelenati dall'intolleranza. Bisogna occuparsi di questo, se non si vuole fare come al solito, cioè sgomentarsi un po' di fronte al fatto per poi rimuoverlo in fretta. E' purtroppo probabile che ciò invece accada. C'è un sacco di gente che ha interesse a farlo. Qualcuno lo abbiamo visto all'opera subito dopo la strage. Non gli pareva vero, come nei titoli di tanti grandi giornali, come nell'oscena dichiarazione a caldo di Gasparri (ma non è stato l'unico, e ce ne sono stati anche nel centrosinistra): ‟Complimenti a chi ha votato l'indulto. Ha fruito di quel provvedimento anche il tunisino che ha massacrato il figlio di due anni, la moglie, la suocera e la vicina ad Erba”.
Ma non occorrono delitti efferati per scatenare questi favoreggiatori dell'odio, basta molto meno. ‟Se andando a visitare le tombe dei miei cari vedessi in cimitero anche le sepolture dei fedeli musulmani, mi offenderei”, ha detto ieri il presidente leghista della provincia di Treviso. Non sopportare né la diversità dei vivi né quella dei morti: questo è, spesso, il clima. Chi lo alimenta, a volte non si rende nemmeno conto di quanto male fa alla propria stessa comunità, quanto la avvelena nel profondo. Altre volte lo sa benissimo, ed è ciò che vuole: cibarsi dello strano frutto dell'odio e dell'intolleranza. Sono i mostri che abbiamo intorno, ed è proprio la loro banalità che ci sgomenta.

Gianfranco Bettin

Gianfranco Bettin è autore di diversi romanzi e saggi. Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, Sarajevo, Maybe (1994), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1992; 2007), Nemmeno il destino (1997; 2004, da cui è …