Marcello Flores: Da Faurisson a Irving, il ’900 cancellato

26 Gennaio 2007
La negazione della Shoah, il rifiuto di credere alla verità storica dell’uccisione di milioni di ebrei nei campi di sterminio e con fucilazioni di massa da parte del nazismo, sembra un fenomeno degli ultimi anni, mentre è praticamente coevo alla conoscenza di questa tragedia avvenuta nel cuore dell’Europa.
In Francia è uno scrittore fascista e collaborazionista, Maurice Bardèche, che nel 1948 parla dei campi come di un’invenzione della propaganda alleata per mascherare le proprie responsabilità nel conflitto (i bombardamenti di Dresda, Tokyo, Hiroshima); negli Stati Uniti è Parker Yochey a sostenere sempre nel 1948 che i campi di sterminio sono il risultato della menzogna ebraica nella sua guerra contro la civiltà occidentale.
La Francia e gli Stati Uniti sono i paesi dove queste posizioni – praticamente sconosciute e ignorate – creano qualche seguace e si diffondono in circoli ristrettissimi che pubblicano negli anni seguenti un numero crescente di opere, diffuse in numero limitato e distribuite presso circoli di estrema destra e anche di estrema sinistra. I nomi più noti sono quelli di Paul Rassinier, che è stato un deportato a Buchenwald; di Pierre Guillaume, direttore della libreria di estrema sinistra La Vieille Taupe; di Robert Faurisson, professore all’Università di Lione che a metà degli anni Settanta diventa l’alfiere di un negazionismo basato sul rifiuto/confutazione di alcuni dei documenti, diari, memorie, prove documentarie esistenti (lo sforzo maggiore sembra essere quello di dimostrare che il Diario di Anna Frank è stato costruito a tavolino: tesi smentita da prove calligrafiche e documentarie e paradossale perché non riguarda, in ogni modo, i campi di sterminio, che Anna Frank raggiunge solo dopo avere scritto e lasciato il suo diario nel rifugio in cui si era nascosta).
La difesa che Noam Chomsky farà del diritto di libertà di parola a Faurisson nel 1980 - nel corso di una polemica in cui Faurisson difende su Le Monde l’inesistenza delle camere a gas e viene accusato da decine di storici di "oltraggiare la verità" - sembrerà offrire una legittimazione alle sue stesse tesi.
Negli Stati Uniti il negazionismo cerca di darsi una patina di scientificità e nel 1979 l’Institute for Historical Review - creato da razzisti e antisemiti americani - organizza un primo convegno internazionale, cui segue la promessa di un premio in denaro a chiunque sia in grado di dimostrare che le camere a gas fossero davvero esistite (la Corte Suprema di Los Angeles costringerà l’Istituto a pagare un ex detenuto di Auschwitz la cui documentazione era stata ritenuta non sufficiente).
Personaggi sconosciuti ed emarginati, ma pieni di risorse, gli appartenenti all’IHR organizzano conferenze e pubblicazioni in tutto il mondo, legandosi ai più diversi gruppi neonazisti, razzisti, antisemiti che allignano di qua e di là dell’Atlantico.
A rendere noto al grande pubblico il negazionismo sono però i processi intentati sulla base di leggi che ne sanzionano penalmente la propaganda e diffusione o in cui sono i negazionisti a ritenersi vittime: nel 1985 in Canada contro Ernst Zündel (ma nel 1992 la Corte Suprema canadese dichiara illegittima la legge che lo ha condannato); e soprattutto il processo di Londra terminato nel 2000 in cui David Irving aveva chiesto la condanna per diffamazione della storica americana Deborah Lipstadt che lo aveva definito negazionista. Irving verrà condannato nel 2006 in Austria - dove esiste una legge che condanna chi nega la Shoah - e rilasciato solo recentemente.
Ulteriore notorietà al negazionismo la offre nel 1995 Roger Garaudy, il filosofo francese per decenni simbolo del marxismo, poi convertito al cattolicesimo e infine all’islam, che nel 1996 viene condannato in base alla legge Gayssot (la legge francese contro la negazione dei crimini contro l’umanità) per un libro in cui attacca il "mito" dell’Olocausto strumentalizzato dallo stato di Israele per la sua politica criminale.
La nascita di Internet ha dato nuovo spazio a pubblicazioni online e siti razzisti e antisemiti, dove si mescolano grossolane accuse di complotti mondiali ebraici ricorrenti con il richiamo alle posizioni espresse dai negazionisti. Queste ultime sono fondate essenzialmente sul rifiuto e sulla denuncia di una piccolissima parte della documentazione esistente – messa in discussione sulla base di piccoli errori marginali che renderebbe ai loro occhi falsa la totalità dei documenti e delle testimonianze; o sul suggerire ipotesi alternative (il gas sarebbe stato utilizzato per la disinfestazione dei vestiti) che offrono una presunta legittimità a chi si rifiuta alla verità storica per odio razziale o antisemitismo irrazionale.
‟In tutte le sue manifestazioni - ha scritto Valentina Pisanty nel saggio I negazionismi, all’interno della Storia della Shoah edita dalla Utet nel 2006 - il negazionismo non si regge in piedi senza una qualche versione della teoria del complotto, ovvero senza la convinzione che da qualche parte vi sia una regia occulta che manipola l’intero corso della storia”.
È questo atteggiamento, più diffuso di quanto un mondo razionale e consapevole dovrebbe aspettarsi, che intrecciandosi con motivazioni e strumentalizzazioni politiche che hanno spesso a che fare con la strategia diplomatica-militare dello stato di Israele, quello che sembra oggi alimentare in modo diverso e più pericoloso un atteggiamento negazionista tra gruppi di giovani del tutto ignari dell’intera storia del Novecento e non solo del genocidio ebraico.
In questo nuovo contesto, utilizzare lo strumento della giustizia, del processo, del carcere, può solo alimentare un cortocircuito mediatico e di attenzione che può avvantaggiare solamente il negazionismo.
È il confronto, il costante e paziente ricorso al dibattito, all’educazione, all’informazione (questi sì da incoraggiare in ogni modo e forma), in una parola alla conoscenza di un passato fondamentale per la nostra identità e coscienza, l’unico strumento che può servire a emarginare e rendere inoffensivo un fenomeno come il negazionismo.

Tutta la violenza di un secolo di Marcello Flores

In molti si sono chiesti, al termine del Ventesimo secolo, se si sia trattato di un secolo più violento degli altri, di un secolo ‟barbaro”, del secolo dei ‟genocidi”. A partire da questa considerazione, Marcello Flores affronta il tema della violenza nel Novecento sottraendolo tanto a una mera des…