Renato Barilli: Spoerri, e Arcimboldi va nello spazio

13 Febbraio 2007
Il Nouveau Réalisme, movimento creato a Parigi da Pierre Restany nel 1960, sta godendo di una ritrovata attualità, tanto che il Grand Palais della Ville Lumière aprirà tra un mese circa una grande mostra per narrane la storia, dall’anno di fondazione al 1970, in cui il movimento ritenne chiusa la propria parabola. Milano venne scelta come scena idonea per questo superbo atto finale, sia perché Restany vi trascorreva metà del suo tempo come critico di Domus, sia perché là agiva il mercante più solerte nel sostenerne la causa, Guido Le Noci, con la sua Galleria ‟Apollinaire”. Ma è proprio vero che il movimento non aveva più nulla da dire? Forse sì, se preso in compatta formazione unitaria, eppure ciascuno dei protagonisti ha dimostrato di avere davanti a sé una lunga strada, brillante, coerente con le premesse. Per questo verso il Nouveau Réalisme presenta qualche rassomiglianza con un movimento, in questo caso del tutto italiano, quale l’Arte povera, i cui rappresentanti sono ancora presenti più che mai, e nessuno potrebbe proclamarne un termine di scadenza. In definitiva, l’uno e l’altro costituiscono gli episodi più validi che la Vecchia Europa è riuscita a contrapporre all’arte Usa, perfino con qualche possibilità di rivalsa, un po’ come sta succedendo con l’euro rispetto al dollaro. Naturalmente, si dà una netta differenza tra i due raggruppamenti: il Nouveau Réalisme fu il magnifico testimone dell’età dell’oggetto, greve, imponente, massiccio, ed ebbe come contraltare sull’altra sponda il New Dada di Rauschenberg e Johns, laddove l’Arte povera, nata col ’68, ne espresse lo spirito di diffusione onnivaga nello spazio, appoggiata all’ondata dei mezzi elettronici, ed iscrisse validamente il nostro Paese nel club di ‟ismi” quali il minimalismo, il concettualismo, la Land Art.
Ma ci sono ulteriori ragioni a legare strettamente il movimento parigino all’Italia: alcuni dei suoi protagonisti hanno deciso di mettere le loro radici nella nostra terra, l’unica donna del gruppo, Niki de Saint-Phalle, prima di andarsene, ha costruito un favoloso Giardino dei Tarocchi nel grossetano, e non molto lontano da lì, a Seggiano, sulle pendici del Monte Amiata, il rumeno Daniel Spoerri (1930) ha concepito e posto in essere un suo analogo Giardino a partire dal 1996. Scade quindi un decennio dall’inizio di quell’impresa, e giustamente il Museo Pecci di Prato ha voluto celebrare questa significativa ricorrenza dedicando al Maestro un’ampia retrospettiva (a cura di M. Bazzini e S. Pezzato, fino al 29 aprile, cat. autoedito).
Ogni novo-realista ha messo a punto una qualche idea essenziale per partecipare ai fini del gruppo. Quest’idea costitutiva, nel caso di Spoerri, sta nel ‟quadro-trappola”: l'area tradizionalmente consacrata agli interventi pittorici diviene invece come una carta moschicida su cui i più vari oggetti della vita di tutti i giorni vanno a incollarsi; oppure, è come tranciare con una forbice gigante brani del tessuto cosale, sia esso formato dagli avanzi di un banchetto, piatti, posate, bottiglie, o da qualsiasi altra cianfrusaglia da cui siamo circondati, e andare ad appendere questi gremiti squarci di esistenza alle pareti di un museo. Lungo questa strada, mai abbandonata, Spoerri ci ha dato il suo capolavoro insuperabile con il fregio, lungo un centinaio di metri, denominato Catena genetica del Mercato delle Pulci, dove è l’intero Marché des Puces parigino che confluisce, si inzeppa, scorre davanti ai nostri occhi.
Ma è merito di Spoerri, come di ogni altro novo-realista, aver saputo fornire decine di varianti a un’idea primaria. Intanto, non sempre queste collezioni d’oggetti vanno ad appiattirsi alle pareti, simulando i caratteri del quadro. In alcuni casi l’artista ricostruisce intere stanze, paradisi per l’infanzia o scene di un delitto. In altre occasioni sono le tavole didattiche che illustrano le anatomie degli animali o dell’uomo stesso, a funzionare da carte moschicide, su cui vanno a posarsi frammenti di realtà. Qualche volta Spoerri cede al demone del gigantismo, altre volte invece si sa miniaturizzare, e conduce le sue azioni assemblagistiche entro piccoli formati, pronti a fornire i matrimoni più strampalati tra cose naturali, artificiose, sfiziose. Ma non si creda che, in definitiva, a vincere sia sempre la dimensione piatta della superficie, bassa e schiacciata. Di recente Spoerri mostra di amare sempre più di far partire dal piano-terra alcune alte, svettanti figure di custodi, pur nascenti da quello stesso universo dei rifiuti, e anzi prodotti attraverso un ingegnoso bricolage, volto a confezionare maestosi pupazzi, grotteschi spaventapasseri, eretti a scopo apotropaico, o ritualistico, a farsi custodi del territorio. E abbiamo allora i Guerrieri della notte, ispidi di lamine, falcetti, forconi, protesi in tutte le direzioni. Oppure ecco la serie degli Idoli di Prillwitz, ispirati da creazioni di un popolo primitivo non si sa se germanico o slavo (è necessario leggere a proposito di ognuna di queste serie gli appunti di lavoro, precisi, circostanziati, che l’artista affida al catalogo). Rinasce insomma un Arcimboldi dei nostri giorni, solo che la sorprendente costruzione a incastro di quegli idoli con tanti materiali eterogenei si stacca dalla superficie, si staglia, solenne e arcana, a dominare lo spazio.

Renato Barilli

Renato Barilli (1935) già docente di Fenomenologia degli stili all’Università di Bologna, è autore di numerosi volumi di estetica, fra cui: Scienza della cultura e fenomenologia degli stili (il Mulino, …