Giorgio Bocca: Nella mente dei terroristi
15 Febbraio 2007
Le Brigate Rosse sono tornate pronte a uccidere come negli anni Settanta, evento incredibile ma possibile, unico in Europa.
Perché? Forse perché la loro sconfitta militare non è stata seguita da una piena sconfitta politica, forse perché l’estremismo è una tentazione perenne, forse perché il mondo come è provoca ancora reazioni disperate. Forse perché la nostra vera natura è quella della scimmia assassina? Quello che colpisce e spaventa nel nuovo estremismo non è il recupero di ideologie rivoluzionarie votate a nuove repressioni ma il diffondersi di un nichilismo irragionevole, da kamikaze, da gente che è pronta a farsi annientare, a passar la vita in galera, di una febbre sociale che non scompare.
Di una ‟rivoluzione dei ricchi” che non riesce a trovare soluzioni generali accettabili a tutti, che cerca l’alleanza della criminalità organizzata. Nei documenti delle nuove Brigate rosse si ripete come linea strategica che ‟la rivoluzione questa volta deve salire dal basso” deve essere, sarà una sorta di tsunami sociale, una palingenesi inarrestabile.
Escludono che possa risolversi in nuovi regimi autoritari, concentrazionari. Spaventa di questo nuovo terrorismo la semplificazione rivoluzionaria della lotta senza quartiere al riformismo, al sindacalismo e al sociologismo che cercano soluzioni pacifiche, mediazioni accettabili. Il professor Ichino è la nuova incarnazione del nemico, colui che rende tollerabile il dominio del capitalismo globale. Non è una consolazione sapere che queste semplificazioni peggioreranno anziché migliorare i conflitti sociali, non è davvero una gran consolazione sapere che il rivoluzionarismo endemico, l’utopismo irragionevole seguiranno la loro parabola obbligata, arriveranno a nuove tregue, a nuovi compromessi. Ma il fatto che anche questa volta il mondo si salverà, che l’umanità troverà il modo per sopravvivere non esclude un prezzo sempre più alto da pagare.
E’ una cosa seria, pericolosa questo nuovo terrorismo? Lo è perché ripete la ‟necessità” patologica, esistenziale che è stata già all’origine del terrorismo anni Settanta. Che cioè il terrorismo, la lotta armata, la clandestinità, non nascono solo dall’ideologia, dall’utopia ma dai bisogni psichici personali dei terroristi, o ad essere più esatti, dalla combinazione dei moventi ideologici con gli impulsi psichici personali. Negli anni in cui ho interrogato, ascoltato centinaia di terroristi per scrivere la loro storia, la ragione della loro scelta di campo, la ragione vera che veniva fuori dalle loro testimonianze era personale e psichica: non potevano sopportare la parte che altri, i loro genitori, i loro amici, il loro partito avevano fatta per conto loro. Non potevano sopportare che la loro vita fosse già decisa, già tracciata da altri.
Spesso, per non dire quasi sempre, il movente vero, decisivo, della scelta terroristica era l’affermazione della propria personalità, di fargliela vedere a chi pensava di poterli comandare, a chi pensava di essere il loro padrone.
Moretti, Ognibene, Semeria e quasi tutte le donne a cominciare dalla Balzarani erano dominati, ossessionati da questo bisogno di affermarsi anche a costo di cavalcare sogni e illusioni. C’era in loro un bisogno incontenibile di rifiutare la vita come è, di affrontare le sue pene, le sue fatiche come sono e di inventarsi un mondo, una vita straordinari nei poteri personali e nei rischi.
Il modello di questo modo maniacale di vivere mi parve Mario Moretti, che aveva trovato un riparo alle delusioni dell’ideologia e dei sogni con la mitica "O" la organizzazione anche essa una rivalsa, il fargliela vedere ai borghesi presuntuosi come erano più bravi di loro ‟quattro operaiacci” che poi operaiacci non erano ma degli intellettuali ambiziosi che pur di salire nelle ambizioni facevano i rivoluzionari. Ci sono parecchie somiglianze fra le vecchie e le nuove Br. L’uso della lotta armata e della clandestinità per risolvere le inquietudini e le angosce dell’esistenza è più vicina alla soluzione morettiana dell’Organizzazione che al romanticismo rivoluzionario del gruppo storico. La clandestinità diventa per quasi tutti un sostituto della ragione, della voglia di capire il mondo che cambia, diventa una mania, a volte quasi un gioco di travestimenti, esercizi tecnologici, imitazioni di James Bond e degli agenti segreti. Lo hanno confessato nelle loro memorie terroristi intelligenti come Morucci. ‟In alcuni film americani, specie polizieschi, comparivano spesso dei fucili a pompa. Il desiderio di ogni brigatista fu di averne uno”, la clandestinità come un gioco di guardia e ladri. Il brigatista Azzolini che va a pranzare in un ristorante vicino alla questura di Milano in mezzo a quei ‟fessi di poliziotti” che passano l’olio e il portacenere al pericolo numero uno che siede al loro tavolo - giochi autolesionisti che non hanno fermato la rivoluzione dei ricchi e la crescita sociale della criminalità organizzata. In una sola cosa questo terrorismo di poveracci ha avuto successo: nella disgregazione dello Stato, nella perdita dei valori civili. Ma credere di cambiare il mondo con i finti pedinamenti e le fotografie degli sbirri dalla bicicletta ottiene solo l’affollamento delle carceri e le loro sofferenze che si confondono con il masochismo.
Perché? Forse perché la loro sconfitta militare non è stata seguita da una piena sconfitta politica, forse perché l’estremismo è una tentazione perenne, forse perché il mondo come è provoca ancora reazioni disperate. Forse perché la nostra vera natura è quella della scimmia assassina? Quello che colpisce e spaventa nel nuovo estremismo non è il recupero di ideologie rivoluzionarie votate a nuove repressioni ma il diffondersi di un nichilismo irragionevole, da kamikaze, da gente che è pronta a farsi annientare, a passar la vita in galera, di una febbre sociale che non scompare.
Di una ‟rivoluzione dei ricchi” che non riesce a trovare soluzioni generali accettabili a tutti, che cerca l’alleanza della criminalità organizzata. Nei documenti delle nuove Brigate rosse si ripete come linea strategica che ‟la rivoluzione questa volta deve salire dal basso” deve essere, sarà una sorta di tsunami sociale, una palingenesi inarrestabile.
Escludono che possa risolversi in nuovi regimi autoritari, concentrazionari. Spaventa di questo nuovo terrorismo la semplificazione rivoluzionaria della lotta senza quartiere al riformismo, al sindacalismo e al sociologismo che cercano soluzioni pacifiche, mediazioni accettabili. Il professor Ichino è la nuova incarnazione del nemico, colui che rende tollerabile il dominio del capitalismo globale. Non è una consolazione sapere che queste semplificazioni peggioreranno anziché migliorare i conflitti sociali, non è davvero una gran consolazione sapere che il rivoluzionarismo endemico, l’utopismo irragionevole seguiranno la loro parabola obbligata, arriveranno a nuove tregue, a nuovi compromessi. Ma il fatto che anche questa volta il mondo si salverà, che l’umanità troverà il modo per sopravvivere non esclude un prezzo sempre più alto da pagare.
E’ una cosa seria, pericolosa questo nuovo terrorismo? Lo è perché ripete la ‟necessità” patologica, esistenziale che è stata già all’origine del terrorismo anni Settanta. Che cioè il terrorismo, la lotta armata, la clandestinità, non nascono solo dall’ideologia, dall’utopia ma dai bisogni psichici personali dei terroristi, o ad essere più esatti, dalla combinazione dei moventi ideologici con gli impulsi psichici personali. Negli anni in cui ho interrogato, ascoltato centinaia di terroristi per scrivere la loro storia, la ragione della loro scelta di campo, la ragione vera che veniva fuori dalle loro testimonianze era personale e psichica: non potevano sopportare la parte che altri, i loro genitori, i loro amici, il loro partito avevano fatta per conto loro. Non potevano sopportare che la loro vita fosse già decisa, già tracciata da altri.
Spesso, per non dire quasi sempre, il movente vero, decisivo, della scelta terroristica era l’affermazione della propria personalità, di fargliela vedere a chi pensava di poterli comandare, a chi pensava di essere il loro padrone.
Moretti, Ognibene, Semeria e quasi tutte le donne a cominciare dalla Balzarani erano dominati, ossessionati da questo bisogno di affermarsi anche a costo di cavalcare sogni e illusioni. C’era in loro un bisogno incontenibile di rifiutare la vita come è, di affrontare le sue pene, le sue fatiche come sono e di inventarsi un mondo, una vita straordinari nei poteri personali e nei rischi.
Il modello di questo modo maniacale di vivere mi parve Mario Moretti, che aveva trovato un riparo alle delusioni dell’ideologia e dei sogni con la mitica "O" la organizzazione anche essa una rivalsa, il fargliela vedere ai borghesi presuntuosi come erano più bravi di loro ‟quattro operaiacci” che poi operaiacci non erano ma degli intellettuali ambiziosi che pur di salire nelle ambizioni facevano i rivoluzionari. Ci sono parecchie somiglianze fra le vecchie e le nuove Br. L’uso della lotta armata e della clandestinità per risolvere le inquietudini e le angosce dell’esistenza è più vicina alla soluzione morettiana dell’Organizzazione che al romanticismo rivoluzionario del gruppo storico. La clandestinità diventa per quasi tutti un sostituto della ragione, della voglia di capire il mondo che cambia, diventa una mania, a volte quasi un gioco di travestimenti, esercizi tecnologici, imitazioni di James Bond e degli agenti segreti. Lo hanno confessato nelle loro memorie terroristi intelligenti come Morucci. ‟In alcuni film americani, specie polizieschi, comparivano spesso dei fucili a pompa. Il desiderio di ogni brigatista fu di averne uno”, la clandestinità come un gioco di guardia e ladri. Il brigatista Azzolini che va a pranzare in un ristorante vicino alla questura di Milano in mezzo a quei ‟fessi di poliziotti” che passano l’olio e il portacenere al pericolo numero uno che siede al loro tavolo - giochi autolesionisti che non hanno fermato la rivoluzione dei ricchi e la crescita sociale della criminalità organizzata. In una sola cosa questo terrorismo di poveracci ha avuto successo: nella disgregazione dello Stato, nella perdita dei valori civili. Ma credere di cambiare il mondo con i finti pedinamenti e le fotografie degli sbirri dalla bicicletta ottiene solo l’affollamento delle carceri e le loro sofferenze che si confondono con il masochismo.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …