Guido Viale: Il lento evaporare del ciclo della vita
06 Marzo 2007
Per Talete da Mileto l’acqua era il principio e il fondamento (arkhé) di tutte le cose perché ogni cosa si genera e vive nell’umido. L’acqua, insieme all’aria, al fuoco e alla terra, è uno dei quattro elementi fondamentali della fisica presocratica; ma quei quattro elementi continuano a essere il riferimento ultimo delle analisi di impatto delle attività umane anche oggi. L’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessement), infatti, analizza l’impatto ambientale dei beni in base alla quantità di quegli stessi elementi consumata per produrli, per distribuirli, per smaltirli o riciclarli e durante il loro uso o consumo. E se oggi il fuoco si chiama energia e si calcola in calorie o in joule, la terra si chiama materia, e in analisi di questo tipo si calcola in tonnellate o in metri cubi, l’aria si calcola in normali metri cubi (quelli necessari per diluire la concentrazione degli inquinanti emessi al di sotto della loro soglia critica, cioè quella comprovatamene nociva per la salute umana), l’acqua è sempre l’acqua: quella che tutti conoscono dalla notte dei tempi e a tutte le latitudini, attingendola, quando c’è, dalle sorgenti, dai pozzi, dalle fontane, dai rubinetti, o dalle bottiglie di acqua cosiddetta "minerale".
Per l’uomo primitivo, preurbano - o non ancora completamente trasformato dalla dimensione urbana della civiltà - il mondo è popolato da esseri animati, dotati di una vita propria; entrare in contatto con essi vuol dire condividere, nel bene e nel male, una parte della loro anima; non lo si può fare se non attraverso una serie di riti propiziatori. Soprattutto con l’acqua e con il fuoco. Molte religioni tramandano nei loro riti una traccia di questo sentire primordiale. La reverenza verso le virtù purificatrici dell’acqua si conserva nel battesimo cristiano, nell’immersione nel fiume degli induisti, nel bagno sacro degli ebrei, nelle abluzioni prima della preghiera degli islamici.
Anche per l’uomo moderno il mondo fisico (ribattezzato ambiente) non è costituito solo da cose. Ogni bene ha in sé qualcosa che lo anima e gli dà valore. L’anima delle cose del mondo moderno è il prezzo, che riduce ogni cosa a merce e la mette con ciò in relazione con tutte le altre. Il prezzo è una relazione puramente quantitativa: il programma galileiano di matematizzazione del mondo ha trovato la sua piena realizzazione non nelle scienze della natura - sempre di più alle prese con il problema della complessità, che introduce elementi di indeterminazione nel progetto riduzionistico di un universale determinismo meccanico - bensì nelle diverse branche dell’economia, che non incontrano remore nell’attribuire un prezzo a ogni cosa, compresa la vita umana o la qualità dell’ambiente.
La privatizzazione dell’acqua, cioè la sua trasformazione in merce, viene giustificata con il fatto che, in regime di scarsità, solo la gestione di impresa evita gli sprechi e limita i consumi: una tesi smentita dal fatto che con l’ingresso delle multinazionali dell’acqua nelle gestioni delle risorse idriche di molti paesi del Terzo mondo le piscine dei ricchi continuano a venir riempite di acqua corrente, mentre i quartieri dei poveri rimangono a secco. "È l’economia, stupido!", direbbe qualcuno.
Tra l’approccio dell’uomo primitivo - l’acqua è di tutti: un bene sempre disponibile - e quel compimento della modernità che si realizza attraverso l’appropriazione privata dell’acqua - un bene di cui insieme all’aria, per oltre due secoli, i manuali di economia avevano fatto i paradigmi di risorse sottratte al regime di scarsità, che dà invece un prezzo, cioè trasforma in merci, tutte le altre - l’evoluzione storica ha attraversato un lungo periodo in cui l’acqua è stata considerata un bene comune, che richiede cure, tutela, regole condivise: sia a livello locale che nel più vasto territorio di nazioni e imperi, molti dei quali (Egitto, Mesopotamia, Cina, India, eccetera) si sono costituiti proprio per garantire una gestione comune delle acque. A tutela dell’acqua si sono organizzate tanto le comunità delle oasi (che dalla scarsità dell’acqua non sono mai state indotte a privatizzarla, bensì ad attivarne una minuziosa e accurata gestione comune) quanto i costruttori degli acquedotti romani, delle fontane che costituivano il centro - e spesso anche il simbolo - dei comuni medioevali e della città rinascimentale; fino ai grandi progetti idraulici dei certosini e poi di Leonardo da Vinci a quelli varati per garantire il rifornimento idrico all’espansione urbana e allo sviluppo manifatturiero indotti dalla rivoluzione industriale.
Evoluzione e non progresso; perché proprio l’approccio all’acqua ci dimostra quanto la storia umana sia capace non solo di passi avanti, ma anche di corse indietro. Della città industana di Mohenjo Daro (3000 a. c.) abbiamo ancora i resti delle terme in cui i suoi abitanti andavano a lavarsi; e così nelle città romane e - fino ai giorni nostri - nelle medine arabe e in mille altri posti del mondo. Ma la de-urbanizzazione delle epoche di crisi ha spesso coinciso con la rottura e la decadenza degli impianti idrici che rifornivano le città e ne salvaguardavano l’igiene; e una vera e propria demonizzazione dell’acqua - e del suo uso a fini igienici - ha interessato il tardo medioevo e l’inizio del mondo moderno, mano a mano che in Europa, con la persecuzione delle streghe, cioè delle detentrici di un’arte medica tramandata oralmente, prendeva il sopravvento una scienza medica coltivata e professata da soli uomini, che sconsigliavano in tutti i modi il contatto con l’acqua, colpevole di aprire ai contagi i pori del corpo. Questa eclissi della ragione in nome della scienza ha avuto il suo emblema in Luigi XIV, il Re Sole, che fece un solo bagno in 66 anni di regno.
Oggi, mentre il consumo di acqua - nei paesi che possono permetterselo - ha raggiunto la media astronomica di 500 litri al giorno pro capite, più di un miliardo di abitanti del pianeta non riesce a raggiungere la media pro capite (una media tra chi ha la villa con piscina e chi vive in uno slum senza fontane e senza cessi) di 20 litri al giorno, che è quanto l’Onu ritiene il minimo vitale. Nonostante i dimenticati Millennium Goals, proclamati alla svolta del secolo, prospettino l’azzeramento della popolazione a corto di acqua per il 2025, il futuro appare ormai peggiore del presente. Perché la popolazione aumenta, soprattutto nei paesi che sono già oggi senz’acqua; perché aumenta la desertificazione, cioè il territorio dove l’acqua non è sufficiente a sostenere la vegetazione; perché aumenta il consumo di acqua per alimentare lo sviluppo economico, inducendo prelievi che superano la portata di falde che si abbassano di giorno in giorno; perché, a causa di inadeguate gestioni dei sistemi idrici, molta acqua è inquinata e non più utilizzabile..
L’acqua, ci dicono i costruttori di scenari, è il petrolio del futuro: nel senso che presto ci accorgeremo che è ancora più scarsa e "a termine" del petrolio. Anche perché, ormai, una quota crescente dei rifornimenti di acqua dipende proprio dall’energia generata con il petrolio: pompaggi per sfruttare falde sempre più profonde e per creare la pressione necessaria a raggiungere i rubinetti; depuratori per ridurne l’inquinamento e dissalatori per estrarre acqua dolce dal mare. Per millenni l’acqua, con le sue cadute (prima i mulini, poi le centrali idroelettriche) è stata la principale fonte di energia non animale a cui hanno attinto le attività dell’uomo. Oggi è l’energia, in larghissima parte generata dal petrolio, a garantirci una quota crescente dell’acqua che consumiamo.
Intorno a questa risorsa, si stanno preparando - e a volte già conducendo - tre guerre che decideranno del futuro dell’umanità: la prima è quella tra stati, per la ripartizione di risorse idriche comuni: fiumi, falde, laghi; la seconda è quella delle imprese dell’acqua contro cittadini, per appropriarsi e fare profitti con il più importante bene comune di un territorio; la terza, forse la più importante, è quella tra l’uomo e il suo ambiente: quella che succhia e inquina le riserve idriche del pianeta, invece di mettere il patrimonio di conoscenze di cui disponiamo al servizio di un uso dell’acqua più sobrio, più intelligente, più previdente, salvaguardando così le generazioni future.
Per l’uomo primitivo, preurbano - o non ancora completamente trasformato dalla dimensione urbana della civiltà - il mondo è popolato da esseri animati, dotati di una vita propria; entrare in contatto con essi vuol dire condividere, nel bene e nel male, una parte della loro anima; non lo si può fare se non attraverso una serie di riti propiziatori. Soprattutto con l’acqua e con il fuoco. Molte religioni tramandano nei loro riti una traccia di questo sentire primordiale. La reverenza verso le virtù purificatrici dell’acqua si conserva nel battesimo cristiano, nell’immersione nel fiume degli induisti, nel bagno sacro degli ebrei, nelle abluzioni prima della preghiera degli islamici.
Anche per l’uomo moderno il mondo fisico (ribattezzato ambiente) non è costituito solo da cose. Ogni bene ha in sé qualcosa che lo anima e gli dà valore. L’anima delle cose del mondo moderno è il prezzo, che riduce ogni cosa a merce e la mette con ciò in relazione con tutte le altre. Il prezzo è una relazione puramente quantitativa: il programma galileiano di matematizzazione del mondo ha trovato la sua piena realizzazione non nelle scienze della natura - sempre di più alle prese con il problema della complessità, che introduce elementi di indeterminazione nel progetto riduzionistico di un universale determinismo meccanico - bensì nelle diverse branche dell’economia, che non incontrano remore nell’attribuire un prezzo a ogni cosa, compresa la vita umana o la qualità dell’ambiente.
La privatizzazione dell’acqua, cioè la sua trasformazione in merce, viene giustificata con il fatto che, in regime di scarsità, solo la gestione di impresa evita gli sprechi e limita i consumi: una tesi smentita dal fatto che con l’ingresso delle multinazionali dell’acqua nelle gestioni delle risorse idriche di molti paesi del Terzo mondo le piscine dei ricchi continuano a venir riempite di acqua corrente, mentre i quartieri dei poveri rimangono a secco. "È l’economia, stupido!", direbbe qualcuno.
Tra l’approccio dell’uomo primitivo - l’acqua è di tutti: un bene sempre disponibile - e quel compimento della modernità che si realizza attraverso l’appropriazione privata dell’acqua - un bene di cui insieme all’aria, per oltre due secoli, i manuali di economia avevano fatto i paradigmi di risorse sottratte al regime di scarsità, che dà invece un prezzo, cioè trasforma in merci, tutte le altre - l’evoluzione storica ha attraversato un lungo periodo in cui l’acqua è stata considerata un bene comune, che richiede cure, tutela, regole condivise: sia a livello locale che nel più vasto territorio di nazioni e imperi, molti dei quali (Egitto, Mesopotamia, Cina, India, eccetera) si sono costituiti proprio per garantire una gestione comune delle acque. A tutela dell’acqua si sono organizzate tanto le comunità delle oasi (che dalla scarsità dell’acqua non sono mai state indotte a privatizzarla, bensì ad attivarne una minuziosa e accurata gestione comune) quanto i costruttori degli acquedotti romani, delle fontane che costituivano il centro - e spesso anche il simbolo - dei comuni medioevali e della città rinascimentale; fino ai grandi progetti idraulici dei certosini e poi di Leonardo da Vinci a quelli varati per garantire il rifornimento idrico all’espansione urbana e allo sviluppo manifatturiero indotti dalla rivoluzione industriale.
Evoluzione e non progresso; perché proprio l’approccio all’acqua ci dimostra quanto la storia umana sia capace non solo di passi avanti, ma anche di corse indietro. Della città industana di Mohenjo Daro (3000 a. c.) abbiamo ancora i resti delle terme in cui i suoi abitanti andavano a lavarsi; e così nelle città romane e - fino ai giorni nostri - nelle medine arabe e in mille altri posti del mondo. Ma la de-urbanizzazione delle epoche di crisi ha spesso coinciso con la rottura e la decadenza degli impianti idrici che rifornivano le città e ne salvaguardavano l’igiene; e una vera e propria demonizzazione dell’acqua - e del suo uso a fini igienici - ha interessato il tardo medioevo e l’inizio del mondo moderno, mano a mano che in Europa, con la persecuzione delle streghe, cioè delle detentrici di un’arte medica tramandata oralmente, prendeva il sopravvento una scienza medica coltivata e professata da soli uomini, che sconsigliavano in tutti i modi il contatto con l’acqua, colpevole di aprire ai contagi i pori del corpo. Questa eclissi della ragione in nome della scienza ha avuto il suo emblema in Luigi XIV, il Re Sole, che fece un solo bagno in 66 anni di regno.
Oggi, mentre il consumo di acqua - nei paesi che possono permetterselo - ha raggiunto la media astronomica di 500 litri al giorno pro capite, più di un miliardo di abitanti del pianeta non riesce a raggiungere la media pro capite (una media tra chi ha la villa con piscina e chi vive in uno slum senza fontane e senza cessi) di 20 litri al giorno, che è quanto l’Onu ritiene il minimo vitale. Nonostante i dimenticati Millennium Goals, proclamati alla svolta del secolo, prospettino l’azzeramento della popolazione a corto di acqua per il 2025, il futuro appare ormai peggiore del presente. Perché la popolazione aumenta, soprattutto nei paesi che sono già oggi senz’acqua; perché aumenta la desertificazione, cioè il territorio dove l’acqua non è sufficiente a sostenere la vegetazione; perché aumenta il consumo di acqua per alimentare lo sviluppo economico, inducendo prelievi che superano la portata di falde che si abbassano di giorno in giorno; perché, a causa di inadeguate gestioni dei sistemi idrici, molta acqua è inquinata e non più utilizzabile..
L’acqua, ci dicono i costruttori di scenari, è il petrolio del futuro: nel senso che presto ci accorgeremo che è ancora più scarsa e "a termine" del petrolio. Anche perché, ormai, una quota crescente dei rifornimenti di acqua dipende proprio dall’energia generata con il petrolio: pompaggi per sfruttare falde sempre più profonde e per creare la pressione necessaria a raggiungere i rubinetti; depuratori per ridurne l’inquinamento e dissalatori per estrarre acqua dolce dal mare. Per millenni l’acqua, con le sue cadute (prima i mulini, poi le centrali idroelettriche) è stata la principale fonte di energia non animale a cui hanno attinto le attività dell’uomo. Oggi è l’energia, in larghissima parte generata dal petrolio, a garantirci una quota crescente dell’acqua che consumiamo.
Intorno a questa risorsa, si stanno preparando - e a volte già conducendo - tre guerre che decideranno del futuro dell’umanità: la prima è quella tra stati, per la ripartizione di risorse idriche comuni: fiumi, falde, laghi; la seconda è quella delle imprese dell’acqua contro cittadini, per appropriarsi e fare profitti con il più importante bene comune di un territorio; la terza, forse la più importante, è quella tra l’uomo e il suo ambiente: quella che succhia e inquina le riserve idriche del pianeta, invece di mettere il patrimonio di conoscenze di cui disponiamo al servizio di un uso dell’acqua più sobrio, più intelligente, più previdente, salvaguardando così le generazioni future.
Guido Viale
Guido Viale, nato a Tokyo nel 1943, e vive a Milano. Ha lavorato in diverse società di ricerca e progettazione in ambito economico, sociale e ambientale e svolge un’intensa attività …