Muhammad Yunus: Da mendicanti ad azionisti
19 Marzo 2007
Magari, per cominciare, sarebbe bello se tutte le persone d'Italia riuscissero ad avere accesso ai prestiti! Già oggi il microcredito è un'esperienza diffusa, in forme diverse, in tutto il mondo, in paesi con diversi livelli di sviluppo. Perché il servizio finanziario può essere offerto anche ai più poveri, non c'è differenza tra ricchi e poveri se si guarda alla capacità di restituire un prestito o di fare impresa, a mio giudizio.
La Grameen Bank questo lo sa da trent'anni, e mai abbiamo avuto difficoltà nel farci restituire i prestiti che abbiamo dato ai nostri 7 milioni di clienti, il 97% dei quali donne, a cui abbiamo fornito prestiti medi di 130 euro, per un totale di mezzo miliardo di dollari erogato. Il tasso di restituzione è infatti del 99%, sarebbe del 100% se considerassimo anche i ritardi. È un modello che funziona, perché non potrebbe essere replicato ancora?
Poi volevo raccontare un altro particolare: la Grameen Bank non fa qualcosa solo per le donne povere, ma anche per i loro figli: abbiamo incoraggiato le mamme, tutte analfabete come i loro mariti, a mandarli a scuola. E i bambini, tutti, non solo sono andati a scuola, ma hanno continuato a studiare e oggi abbiamo una nuova generazione di ragazze e ragazzi alfabetizzati, che frequentano le università. Per incoraggiarli diamo loro borse di studio e prestiti sull'onore, e loro, per la prima volta nella storia di generazioni e generazioni di analfabeti, hanno un'istruzione.
È un cambiamento epocale. Oggi ci sono più di 15 mila ragazzi che in tutto il mondo studiano nelle università grazie ai finanziamenti della Grameen bank, e il circolo della povertà che i loro genitori, i loro nonni e i loro bisnonni hanno sperimentato ora termina con questa nuova generazione di giovani istruiti e ben inseriti nel sistema finanziario.
E vorrei rispondere alle molte persone che dicono che si dovrebbero dare prestiti solo ai meno poveri, perché i più poveri non sarebbero capaci di gestire il denaro. In Bangladesh questo problema non si pone più, perché ha avuto molto successo il progetto che abbiamo pensato per i mendicanti. Andiamo per le strade e proponiamo loro un'idea molto semplice: quando girano casa per casa per chiedere l'elemosina, potrebbero portarsi dietro anche qualcosa da vendere, che sia una caramella o un frutto. Spieghiamo loro che non devono smettere di chiedere la carità, solamente che alla «begging division» devono affiancare la «selling division». Poi, se la «selling division» prende piede, possono anche abbandonare il lavoro di questuante.
È diventato un sistema di successo: oggi degli 85 mila mendicanti che abbiamo aiutato così, tutti ormai sono diventati dei veri e propri venditori porta a porta. Perchè non è vero che lo spirito imprenditoriale lo abbiano solo pochi: tutti possono fare impresa, basta solo dare loro un'opportunità. Chiunque direbbe che un accattone non sarebbe capace di vendere nulla, invece i nostri, se gli si chiede la loro esperienza, sono capaci anche di fare analisi di mercato, spiegando in quale appartamento è meglio vendere la frutta e in quale chiedere la carità, e analisi dei consumatori, argomentando cosa si vende meglio in una data stagione. Insomma, con un prestito di soli 12 dollari siamo riusciti a trasformare i mendicanti in rispettabilissimi venditori: è un cambiamento enorme a fronte di un investimento così ridotto.
Ma ciò che voglio sottolineare anche qui è la riflessione su cosa voglia dire «business»: in tutta la letteratura è definito come il fare denaro con la missione della massimizzazione del profitto. Io mi sento molto a disagio con questa definizione: l'essere umano ha un'identità molto più vasta, non è impegnato solo con se stesso, ha anche bisogno di amare e di prendersi cura dell'altro, è un animale sociale, e questi aspetti sono del tutto esclusi dalla teoria economica. La storia del mercato e del capitalismo è una storia raccontata a metà e si completa inserendo un altro tipo di business: quello di fare del bene alle altre persone, quello che io chiamo social business. Non ha perdite o dividenti, non si perdono denari né si fanno denari, e l'obiettivo è orientarsi ai problemi sociali e risolverli. C'è ad esempio il business di far emergere le persone dalla povertà, dove più persone aiuto più soddisfazione ho, o può essere un programma di salute. Potrebbe farlo, ad esempio, una compagni farmaceutica che vende medicine a prezzi bassissimi a chi ne ha bisogno.
Ma gli esempi sono infiniti, e se quotassimo tutte queste esperienze in Borsa, potremmo creare un «Social stock market», un «mercato azionario sociale», raggruppando tutte le aziende che fanno business sociale, aiutando le persone con il solo fine di farlo. Tutti potrebbero comprare azioni di queste società, investendo soldi in queste compagnie. Così si espanderebbe ulteriormente il mercato sociale.
Però, per fare tutto questo, occorre uscire dai nostri vecchi schemi e inventare qualcosa di diverso. Così creeremmo nuove strade e un mondo nuovo, dove gli emarginati non esisteranno più, e l'unico luogo dove la miseria potrà essere visibile solo in un polveroso Museo della povertà.
La Grameen Bank questo lo sa da trent'anni, e mai abbiamo avuto difficoltà nel farci restituire i prestiti che abbiamo dato ai nostri 7 milioni di clienti, il 97% dei quali donne, a cui abbiamo fornito prestiti medi di 130 euro, per un totale di mezzo miliardo di dollari erogato. Il tasso di restituzione è infatti del 99%, sarebbe del 100% se considerassimo anche i ritardi. È un modello che funziona, perché non potrebbe essere replicato ancora?
Poi volevo raccontare un altro particolare: la Grameen Bank non fa qualcosa solo per le donne povere, ma anche per i loro figli: abbiamo incoraggiato le mamme, tutte analfabete come i loro mariti, a mandarli a scuola. E i bambini, tutti, non solo sono andati a scuola, ma hanno continuato a studiare e oggi abbiamo una nuova generazione di ragazze e ragazzi alfabetizzati, che frequentano le università. Per incoraggiarli diamo loro borse di studio e prestiti sull'onore, e loro, per la prima volta nella storia di generazioni e generazioni di analfabeti, hanno un'istruzione.
È un cambiamento epocale. Oggi ci sono più di 15 mila ragazzi che in tutto il mondo studiano nelle università grazie ai finanziamenti della Grameen bank, e il circolo della povertà che i loro genitori, i loro nonni e i loro bisnonni hanno sperimentato ora termina con questa nuova generazione di giovani istruiti e ben inseriti nel sistema finanziario.
E vorrei rispondere alle molte persone che dicono che si dovrebbero dare prestiti solo ai meno poveri, perché i più poveri non sarebbero capaci di gestire il denaro. In Bangladesh questo problema non si pone più, perché ha avuto molto successo il progetto che abbiamo pensato per i mendicanti. Andiamo per le strade e proponiamo loro un'idea molto semplice: quando girano casa per casa per chiedere l'elemosina, potrebbero portarsi dietro anche qualcosa da vendere, che sia una caramella o un frutto. Spieghiamo loro che non devono smettere di chiedere la carità, solamente che alla «begging division» devono affiancare la «selling division». Poi, se la «selling division» prende piede, possono anche abbandonare il lavoro di questuante.
È diventato un sistema di successo: oggi degli 85 mila mendicanti che abbiamo aiutato così, tutti ormai sono diventati dei veri e propri venditori porta a porta. Perchè non è vero che lo spirito imprenditoriale lo abbiano solo pochi: tutti possono fare impresa, basta solo dare loro un'opportunità. Chiunque direbbe che un accattone non sarebbe capace di vendere nulla, invece i nostri, se gli si chiede la loro esperienza, sono capaci anche di fare analisi di mercato, spiegando in quale appartamento è meglio vendere la frutta e in quale chiedere la carità, e analisi dei consumatori, argomentando cosa si vende meglio in una data stagione. Insomma, con un prestito di soli 12 dollari siamo riusciti a trasformare i mendicanti in rispettabilissimi venditori: è un cambiamento enorme a fronte di un investimento così ridotto.
Ma ciò che voglio sottolineare anche qui è la riflessione su cosa voglia dire «business»: in tutta la letteratura è definito come il fare denaro con la missione della massimizzazione del profitto. Io mi sento molto a disagio con questa definizione: l'essere umano ha un'identità molto più vasta, non è impegnato solo con se stesso, ha anche bisogno di amare e di prendersi cura dell'altro, è un animale sociale, e questi aspetti sono del tutto esclusi dalla teoria economica. La storia del mercato e del capitalismo è una storia raccontata a metà e si completa inserendo un altro tipo di business: quello di fare del bene alle altre persone, quello che io chiamo social business. Non ha perdite o dividenti, non si perdono denari né si fanno denari, e l'obiettivo è orientarsi ai problemi sociali e risolverli. C'è ad esempio il business di far emergere le persone dalla povertà, dove più persone aiuto più soddisfazione ho, o può essere un programma di salute. Potrebbe farlo, ad esempio, una compagni farmaceutica che vende medicine a prezzi bassissimi a chi ne ha bisogno.
Ma gli esempi sono infiniti, e se quotassimo tutte queste esperienze in Borsa, potremmo creare un «Social stock market», un «mercato azionario sociale», raggruppando tutte le aziende che fanno business sociale, aiutando le persone con il solo fine di farlo. Tutti potrebbero comprare azioni di queste società, investendo soldi in queste compagnie. Così si espanderebbe ulteriormente il mercato sociale.
Però, per fare tutto questo, occorre uscire dai nostri vecchi schemi e inventare qualcosa di diverso. Così creeremmo nuove strade e un mondo nuovo, dove gli emarginati non esisteranno più, e l'unico luogo dove la miseria potrà essere visibile solo in un polveroso Museo della povertà.
Muhammad Yunus
Muhammad Yunus, nato e cresciuto a Chittagong, principale porto mercantile del Bengala, laureato in Economia, ha insegnato all’Università di Boulder, Colorado, e alla Vanderbilt University di Nashville, Tennessee. Ha poi …