Giuliana Sgrena: Iraq. Licenza di uccidere

18 Aprile 2007
‟Andiamo a sparare a qualcuno”. Non si tratta di una battuta di cattivo gusto e nemmeno di un brutto scherzo, ma del tremendo proposito di un contractor a Baghdad, all'inizio della giornata. Purtroppo siamo certi che non sia stato solo il proposito di Jacob C. Washbourne, contractor della Triple Canopy, quella mattina dell'8 luglio del 2006. La storia emersa grazie al rapporto di Isireli Naucukidi, uno dei compagni di Washbourne, ex-marine e leader di un team di quattro uomini, addetto a compiti di sicurezza. Anche l'inchiesta realizzata dal ‟Washington Post” - che domenica scorsa l'ha pubblicata - prende il via dalle parole di Naucukidi, veterano delle Fiji che dopo l'accaduto si è ritirato a fare il contadino sull'isola di Ovalau, ma si arricchisce di dettagli raccapriccianti.
Una storia che scorre in parallelo con quella dei soldati americani che si trovano a pattugliare le strade di Baghdad o di qualsiasi altra parte dell'Iraq (si potrebbe aggiungere anche l'Afghanistan) e che di fronte a un presunto pericolo - poco importa se è veramente tale - premono il grilletto del mitragliatore. Sono più di 500 le famiglie di civili iracheni che hanno fatto richiesta alle autorità americane di un risarcimento per l'uccisione da parte delle truppe Usa di loro parenti, secondo un rapporto pubblicato recentemente da Human rights watch. Ma solo un terzo ha avuto una risposta positiva, gli altri hanno dovuto accontentarsi delle ‟condoglianze”. E chissà quanti non hanno nemmeno fatto questa richiesta.
Così in nome della sicurezza, propria o di qualcun altro, si garantisce la licenza di uccidere. Se questo vale per le truppe dei vari contingenti a maggior ragione è garantito ai contractor di società private che non rientrano sotto nessuna legislazione, e che combattono una guerra parallela, privata e ben pagata (in media circa 1.000 dollari al giorno, anche se Naucukidi diceva di prenderne solo 70). Secondo il Washingtonpost, l'esercito dei mercenari sarebbe costituito da 20.000 uomini, ma circolano anche cifre molto superiori che arrivano fino a 50.000. Quello che è certo è che si tratta del secondo contingente in Iraq, molto superiore a quello britannico.
L'immunità ai contractor era stata garantita nel 2004 dall'allora proconsole di Baghdad Paul Bremer, a capo dell'Autorità della coalizione provvisoria, ovvero il governo degli occupanti, che ha introdotto l'uso di mercenari su grande scala. Recentemente al congresso Usa era stata avanzata la proposta di stabilire linee guida per giudicare i contractor in base alla legge Usa o al Codice militare, ma per ora non se ne è fatto nulla. Del resto, gli Usa, che impediscono a qualsiasi paese di giudicare i loro militari anche quando agiscono fuori dai loro confini, non si fanno scrupoli ad assumere anche il controllo dei contractor (in maggioranza ex militari) provenienti da tutto il mondo e usati per il lavoro più sporco, quello che non deve rischiare di finire di fronte a una corte marziale. Più che a fare giustizia, la giurisdizione Usa, potrebbe servire a garantire ulteriore impunità.

Giuliana Sgrena

Giuliana Sgrena, inviata de ‟il manifesto”, negli ultimi anni ha seguito l'evolversi di sanguinosi conflitti, in particolare in Somalia, Palestina, Afghanistan, oltre alla drammatica situazione in Algeria. Negli ultimi due …