Massimo Mucchetti: Finiti i giornali di carta? Ma ai colossi multimediali fa gola l’editoria classica

15 Maggio 2007
L’esito è ancora incerto, ma le ricche offerte pubbliche d’acquisto, lanciate dall’australiano Rupert Murdoch sull’americana Dow Jones e dai canadesi Thomson sul gruppo britannico Reuters, sono un segno dei tempi nuovi dell’informazione. Un segno utile per chi, come la Confindustria con il ‟Sole 24 Ore”, si accinga a vendere titoli editoriali, ma soprattutto interessante per quanti siano curiosi di capire come, in relazione al mondo che cambia, si ridefiniscono le regole poste fin qui a presidio di due icone del giornalismo indipendente come il Wall Street Journal e l’agenzia Reuters. Sia Dow Jones che Reuters possono respingere le proposte in forza dei loro statuti. Dow Jones ha due categorie di azioni con diritti di voto differenziati. Con il 24,7% del capitale, la famiglia Bancroft (35 persone) può così controllare il 64,2% dell’assemblea. Un codice rigidissimo, inoltre, presidia il board, anche se nessuna regola ha impedito a un alto dirigente di Dow Jones di finire sotto inchiesta per insider trading sull’offerta di Murdoch. Al momento i Bancroft respingono la proposta, mentre le quotazioni di Dow Jones, aumentate del 55% in pochi giorni, l’hanno sopravanzata. Ma la partita resta aperta. Editori da quattro generazioni, i Bancroft si trovano a scegliere se cedere l’azienda a un gruppo multimediale di gran lunga più ricco ma che, per il gioco dei suoi interessi globali, potrebbe venir meno al rigore liberista del Journal, o se rimanere da soli a cercare il rilancio, nonostante la pubblicità sia in calo. Una scelta analoga, ma più facile sul piano del business e dei principi, è quella che tocca alla Reuters Founder’s Share Company. Il via libera ai canadesi tocca, infatti, a questo alto consesso che governa l’Azione Speciale istituita a protezione della Reuters, da quando, nel 1984, si trasformò in public company. A differenza di Murdoch, che alla fine degli anni Ottanta cercò di scalare la Reuters e venne così costretto a disfarsi delle azioni rastrellate nel giro di 20 giorni, la Thomson Corporation ha concordato con la dirigenza di Reuters un’acquisizione che non solo riconosce un premio del 42% ai soci del gruppo britannico, ma conserva i Reuters Principles, tutelati dall’Azione Speciale, e affida il nuovo gruppo transatlantico all’attuale leader di Reuters, capace perfino di delocalizzare a Bangalore alcuni uffici londinesi dell’agenzia. Questo, nonostante alla famiglia Thomson resti il 53% del capitale finale. Potere, rigore intellettuale, accountability e affari. E’sempre difficile stabilire, nel tempo breve e nel lungo, le priorità e gli equilibri entro i quali si organizza l’impresa editoriale. Sul piano economico, Dow Jones e Reuters vanno bene: l’una segna un risultato corrente prima delle imposte del 6,5% sui ricavi, l’altra dell’11,5%. Ma News Corp e Thomson Corporation vanno molto meglio vantando l’una un 17,4% e l’altra un 15,6%. Sul piano delle dimensioni, i cacciatori sono ben più grandi delle prede. Murdoch vuol aggiungere una prestigiosa fabbrica di notizie e una clientela di qualità al suo impero multimediale e multinazionale. Thomson, che già su carta fa ormai solo il 20% del fatturato, punta a superare il rivale americano Bloomberg coprendo con Reuters il mondo intero. Murdoch esercita un’influenza politica conservatrice, ma all’occorrenza viene a patti con la Cina o con Blair. Thomson, data la specializzazione, non gioca questa partita. Per entrambi l’editoria classica è una frazione, piccola, di un’offerta globale che si espande nell’intrattenimento e nei servizi professionali, ma che dalla fabbrica delle notizie comincia, oggi come ieri, il suo percorso. (con la consulenza tecnica di Miraquota)

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …