Gabriele Romagnoli: Berlusconi e la giusta scelta del clan

28 Maggio 2007
Anche chi non è milanista e men che meno berlusconiano non può non ammirare un aspetto del trionfo rossonero ad Atene: il lato nobile del clan. Nella squadra mandata in campo (e alla vittoria) da Ancelotti c’erano almeno tre nomi a evocarlo. In difesa: Maldini, con i suoi 39 anni, i ginocchi sbriciolati e le iniezioni per arginare la sofferenza, preferito a Kaladze. Ambrosini, con la sua carriera a intermittenza, i lunghi infortuni da cui poche altre squadre l’avrebbero atteso, preferito a Gourcuff, un’ala, una seconda punta. E Inzaghi, con i suoi 34 anni, che per un centravanti di rapina sono una condanna alla pensione, le assenze che l’avevano relegato nell’ombra, preferito al giovane Gilardino. Sceglierli è stato un rischio, ma calcolato. Se perdi, hai salvato il rispetto della tua storia. Se vinci, lo fai doppiamente perché l’hai esaltata, rendendola leggenda. Lo sanno bene i giocatori di roulette che puntano sui numeri della nascita di qualcuno che amano, è la stessa sindrome: se la pallina si ferma lì non paga 36 volte la puntata, ma infinitamente di più. Sono state scelte coraggiose e ripagate di Carlo Ancelotti, è vero (la punta unica è la sua eresia nella chiesa di Milanello), ma portano il marchio di Silvio Berlusconi. Del quale tutto si può dire (e in effetti è stato detto), ma non che tradisca chi gli è stato accanto. A guardare la famosa foto di gruppo alle Bahamas si ritrovano ancora i compagni di liceo e di merende giovanili. Se li è portati dietro tutti, i più capaci e quelli meno, stringendo un patto che desta sospetti in chi non conosce il semplice valore dell’amicizia. Anche nel Milan è accaduto qualcosa di simile (con l’eccezione di Demetrio Albertini e, in parte, di Hernan Crespo). Inzaghi a 34 anni, Maldini a 39, Costacurta a 40, Gattuso da qui all’eternità sono scelte, prima che tecniche, di lealtà e riconoscenza. La difesa del Milan ha sovente sbandato e si è sentito invocare il suo ringiovanimento, ma chi sarebbe andato in campo ad Atene con lo stesso senso della missione che animava Maldini? Chi poteva concepire la partita di Atene come un’occasione unica e insperata se non chi era stato alla disfatta di Istanbul? E’lì che si è fatto il capolavoro etico: in un contesto (sportivo, spettacolare e politico) che esalta i vincenti (in classifica, nell’audience, al voto), si è confermata fiducia agli sconfitti. Squadra che perde non si cambia, se è davvero squadra. Da non milanista e men che meno berlusconiano, applausi.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …