Furio Colombo: Un caso Speciale

04 Giugno 2007
Chi ha buona memoria e non ha mai smesso - come è giusto in ogni Paese libero - di avere a cuore le sorti della democrazia, dovrà oggi aggiungere alle stagioni di rischio attraversate da questa Repubblica e note con i nomi del principe Borghese e del generale De Lorenzo, il nome del generale Speciale. Si tratta infatti della terza prova di forza e inizio (o progetto calcolato) di scontro tra potere politico e settori militari della Repubblica. Una differenza allarmante, è che la Repubblica ha affrontato i primi due rischi di minaccia militare contro la politica in un clima di solida e vasta presenza popolare nei partiti protagonisti della vita in Parlamento, con una parte della stampa capace di avvertire tempestivamente del pericolo, e senza che vi fossero legami evidenti e clamorosi (come questa volta) fra alcuni militari ribelli e una parte consistente della politica. Questa volta il generale che ha deliberatamente ignorato gli ordini ricevuti, ha compiuto, anche in modi deliberatamente maleducati, un atto di insubordinazione insieme, si deve credere, ad un gruppo di altri alti ufficiali, si è presentato di fronte all’ex primo ministro Berlusconi durante la parata del 2 giugno e ha esclamato, con intenzionale teatralità ‟sempre agli ordini, presidente”. In quel momento pezzi importanti del piano P2 si sono saldati. Berlusconi tiene ancora sotto intimidazione la parte di media che non possiede direttamente (ma è difficile dire, data l’estensione dell’azionariato che controlla, di quello che "persuade" e delle infinite "scatole cinesi" attraverso cui circola la sua ricchezza), usa senza finzioni le sue televisioni, fonda, attraverso una signora ricca, petulante e - a parte i capelli - del tutto inesistente, detta "l’erede", un nuovo "giornale della libertà" foglio del regime che verrà se l’esempio golpista dovesse diffondersi. Annuncia clamorosamente, il proprietario di tutti i media privati italiani, l’arrivo della ‟tv della libertà”, ‟la tv della gente fatta dalla gente”, niente di più sudamericano, lungo un percorso che va da Peron a Chavez, sempre al di fuori di ogni regola democratica e costituzionale.
È evidente quello che è accaduto, e sta ancora accadendo. Poiché nonostante l’incapacità espressiva e comunicativa del legittimo governo Prodi, la spallata non c’è stata e la forza della opposizione distruttiva lanciata da Berlusconi paralizza le Camere ma non è riuscita ad affondarle, poiché la formula esclusiva della piazza, benché tentata due volte, con e senza vescovi, non ha rovesciato il Paese, occorrevano i militari.
Chi scrive crede fermamente che tutti gli altri vertici militari italiani che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, non si uniranno alla mossa illegale, incostituzionale e - rispetto alle regole democratiche - estrema del generale Speciale. Ma il generale Speciale, ‟sempre agli ordini”, ha dato il via al suo piano ben preparato, che appare in curiosa e interessante sintonia con il piano ‟Peron-Chavez-Brambilla” di Silvio Berlusconi.
Purtroppo, nonostante l’evidente striatura di ridicolo che attraversa la vita e le opere (quelle pubbliche, politiche) di Silvio Berlusconi, la vicenda non fa ridere. Ricorda i film di Tognazzi, quando Berlusconi, il 2 giugno, si fa circondare da ‟ali di folla” mentre va alla parata (famiglie di militari appostate per l’evento, ci dicono alcuni giornali, ma certo non c’erano i familiari dei morti di Nassiriya). E l’effetto Monicelli scatta in pieno quando l’ex comandante della Guardia di Finanza si fa deliberatamente sentire da tutti mentre grida ‟sempre agli ordini”. Ma in quella frase il generale ci dice a quali ordini si ubbidisce (quelli di Silvio Berlusconi) e a quali ordini si disubbidisce, marcando il tono di ribellione e disprezzo: quelli del vice ministro Visco, notoriamente uno dei personaggi da umiliare e da abbattere, nella visione berlusconiana di un mondo di liberi ricchi possibilmente fuori da ogni legalità e sgombro di tasse.
Che cosa sia accaduto e di quanti gradi ciò che è accaduto, protagonista il gen. Speciale, si separi dalla legge e dalle regole democratiche, lo ha raccontato in modo incontestabile Eugenio Scalfari su La Repubblica di domenica. Il generale Speciale, nega, resiste, si oppone, non risponde, fa ascoltare in viva voce le telefonate del suo legittimo superiore, per poi passare i materiali direttamente al Giornale di Berlusconi (‟sempre agli ordini”). E quando il dissenso è clamoroso e inaccettabile per il legittimo capo e responsabile politico (il ministro) il generale mostra di non vedere il solo onorevole percorso a disposizione di un militare che rifiuta gli ordini: dimettersi.
Invece oppone ribellione, si arruola apertamente nella politica della parte avversa al governo (ovvero rivela i veri legami) pretendendo di restare generale comandante di una delle tre forze di polizia del Paese.
La destituzione che segue è inevitabile e legittima. Già il presidente emerito Cossiga aveva chiaramente ammonito: ‟Un generale può dimettersi ma non può disobbedire”. Il caso dunque è tra i più gravi nella storia della Repubblica, anche perché alcune delle conseguenze avvelenate e perverse possono ancora verificarsi.
Il mondo di Berlusconi è fittamente popolato di personaggi stravaganti, di una tipologia non disponibile fuori dal mondo del realismo magico sud americano.
Ma quando uno di questi personaggi è generale, è armato, è circondato da altri generali, comanda una parte delle forze armate del Paese e si esprime come se fosse doppiato da Bondi, Baget Bozzo e (nei suoi giorni peggiori) da Tremonti (si veda l’intervista sul Corriere della Sera del 3 giugno) il gioco cambia e la farsa si avvicina bruscamente al dramma.
Tutto ciò non sottintende che, nel confronto fra un politico e un militare, il politico abbia per forza ragione. Ripeto Cossiga: ‟Il militare obbedisce o si dimette. Non gli è consentita la sfida”. Ma il politico risponde senza rete al Parlamento e, se del caso alla autorità giudiziaria. Mai attraverso la ribellione concertata fra militari e partiti politici avversi. Mai facendosi rappresentare dalla furente dichiarazione di guerra dell’ex ministro degli Esteri Fini, che, a Santa Margherita Ligure, di fronte all’assemblea dei giovani industriali, rifiuta in modo insultante un dibattito col ministro Bersani, accusato di essere complice di Visco. Evidentemente per Fini si possono liberamente licenziare sui due piedi giornalisti e autori di libera satira. Ma non si può nemmeno parlare con il membro di un legittimo governo che ha dimesso un generale. Perché dei giornalisti e dei civili in genere - ci dice, con un curioso automatismo del passato, Gianfranco Fini puoi fare quello che vuoi. Ma se tocchi un generale ‟è una porcata”.
È bene dirlo. È un linguaggio golpista. Per fortuna a quel linguaggio il presidente della Repubblica ha risposto con fermezza.

Furio Colombo

Furio Colombo (19319, giornalista e autore di molti libri sulla vita americana, ha insegnato alla Columbia University, fino alla sua elezione in Parlamento nell’aprile del 1996. Oltre che negli Stati …

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