Marina Forti: G8. Fallimento d'interesse
La cancelliera tedesca, presidente di turno del G8, vuole un comune impegno a dimezzare le emissioni di anidride carbonica entro il 2050 per contenere entro i 2 gradi centigradi l'aumento della temperatura terrestre. Il presidente Usa rifiuta ogni accenno a ‟soglie” e vincoli - infatti non applica il Protocollo di Kyoto, unico trattato internazionale oggi in vigore in materia di clima - e l'altro giorno ha risposto presentando un suo ‟piano”: inviterà a Washington le 15 nazioni più inquinanti al mondo, incluse le economie emergenti come Cina, India, Sudafrica, Brasile, per discutere ‟obiettivi volontari di riduzione a lungo termine” delle emissioni di gas di serra. Non è la prima volta che l'amministrazione Bush cerca di creare un ‟tavolo alternativo”, diverso dalle Nazioni unite. Merkel però ha fatto dire dai suoi sherpa (i negoziatori, di solito molto riservati ma non in questo caso) che non accetterà mai di togliere all'Onu la guida del negoziato sul clima.
Muro contro muro. E però il consigliere di Bush sul clima, James Connaughton, ieri ha commentato che non prevede ‟nessuno spargimento di sangue”: ciascuno ha ribadito le sue posizioni, la signora Merkel ha trasformato il fallimento in un personale successo d'immagine (l'eroina del clima). Sul tavolo del G8 ci sono ben altre questioni, a cominciare dallo scudo antimissile che la Casa Bianca sventola sotto il naso della Russia. E poi, a ben guardare, solo l'esasperata avversione del presidente americano per l'Onu e i trattati internazionali gli impedisce di sottoscrivere la dichiarazione proposta dalla cancelliera tedesca: principio guida del documento infatti è ‟separare la crescita economica dall'uso di energia”. Dunque aumentare l'efficienza energetica, diversificare un po' le fonti (solare e eolico, ma anche nucleare), investire in agrocarburanti (il prossimo disastro ambientale e sociale) e innovazioni tecnologiche - ma mai rinunciare alla crescita fondata sull'industria e i consumi. E' questo il vero fallimento. Del resto, non era Angela Merkel che in dicembre ha bloccato i piani della Commissione europea per imporre ai costruttori di automobili norme più severe sulle emissioni di anidride carbonica?