Massimo Mucchetti: Trasparenza e bilanci. Quando il partito è cliente della banca

12 Luglio 2007
A luglio, puntualmente, il Sole 24 Ore dà conto dei bilanci dei partiti, sempre pieni di debiti: 190 milioni, con leggera tendenza al calo, gli 8 partiti del centro-sinistra; 175, con recente impennata, i 4 del centro-destra. I Ds esposti con le banche, Forza Italia con la finanza berlusconiana alle spalle. Vengono in mente le Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi: ‟Un sistema finanziario moderno non tollera commistioni tra politica e banche. La separazione sia netta: entrambe ne usciranno rafforzate”. A ben vedere, credito, governo e partiti erano assai più intrecciati una volta, quando le banche appartenevano quasi tutte alla mano pubblica e il credito agevolato rappresentava l’alternativa ai costosi prestiti ordinari. Quel patologico intreccio segnò l’Italia a lungo, e non senza una sua perversa ragione nella concezione del credito come servizio pubblico in un mercato finanziario chiuso. Con le privatizzazioni, la discesa dei tassi e la globalizzazione, le vecchie basi della commistione sono venute meno. E tuttavia questa può rifiorire in modo nuovo, opaco e perciò più pericoloso. Che fare dunque? È dubbio che, con i capitali diffusi nel mondo e le paghe dei banchieri legate ai risultati, le banche possano ridiventare il braccio secolare del governo ricominciando a perdere consapevolmente quattrini. L’interesse pubblico, quale legittimamente viene definito alla politica, potrà anche essere servito, ma solo se nel medio-lungo termine non si guadagnerà di meno. Poiché questo giurano i banchieri ‟nazionali”, si dovrà controllare caso per caso: diversamente si apre un processo ideologico alle intenzioni. È possibile, invece, che banchieri e politici trovino conveniente sostenersi a vicenda, falsando la selezione meritocratica. Banchieri e politici devono le loro poltrone al consenso che coagulano servendo gli interessi influenti e orientando l’opinione pubblica non meno dei mercati. Di qui il ritorno di una preoccupazione, già forte nei governatori Baffi e Ciampi, per la partecipazione delle banche nell’informazione. Dopo le recenti fusioni, questa preoccupazione sembra essere accolta, con accenti diversi, anche da banchieri quali Profumo, Geronzi, Bazoli. La Banca d’Italia può aiutare a passare dalle parole ai fatti. Ma poi restano i rapporti classici tra creditore e debitore che, se non improntati a criteri di mercato, possono alimentare improprie gratitudini e oscuri ricatti. Il primo dei criteri di mercato è la trasparenza. Che su questo fronte è migliorata e però inferiore all’augurabile. La legge, infatti, richiede ai partiti di allegare al proprio i bilanci delle società in vario modo controllate, ma non di presentare un bilancio consolidato e certificato né di indicare l’identità dei creditori, nemmeno se bancari. Sarebbe interessante colmare la lacuna da parte di partiti, movimenti politici e banche. Queste ultime potrebbero riportare in un capitolo del bilancio le loro posizioni di rischio (e le eventuali coperture) verso partiti, società loro riconducibili, fondazioni politiche e, a integrazione delle norme sul conflitto d’interessi, anche quelle verso ministri, parlamentari, consiglieri regionali, sindaci di città capoluogo. Partiti e politici hanno oggi diritto all’usuale riservatezza dei rapporti bancari. Ma, essendo clienti con speciali doveri di accountability, come potrebbero fermare un’iniziativa disvelatrice delle istituzioni, sostenuta dalla Banca d’Italia? La nuova norma sarebbe più forte se corredata dall’indicazione di quanto, dall’inizio delle privatizzazioni, i diversi gruppi bancari abbiano guadagnato o perso con il cliente chiamato politica.

Massimo Mucchetti

Massimo Mucchetti (Brescia, 1953) è oggi senatore della Repubblica. Ha lavorato al “Corriere della Sera” dal 2004 al 2013. In precedenza, era stato a “l’Espresso” per diciassette anni. E prima …