Gianni Mura: Tour 2007. Bufera anche su Rasmussen, al Tour è guerra sul doping

27 Luglio 2007
La legge dello sprint torna a valere: Boonen, Zabel, Hunter, Bennati, Hushovd. Boonen concede il bis e per rendere più corposo il riassunto della tappa si può aggiungere della lunga fuga di Fedrigo, francese di origini venete, e del basco Txurruka. I due si stringono la mano, appiattiti sulla sinistra del rettilineo, mentre la testa del gruppo li raggiunge e scavalca sulla destra, sotto il segnale dell’ultimo chilometro. La libera uscita è durata 125 km e non è stata una passeggiata, vento contrario, saliscendi continui. Nemmeno il Tour è una passeggiata, anche perché è difficile passeggiare su un fondo motoso e sdrucciolevole. La mia sensazione è di assistere non tanto a una guerra al doping (santa e benvenuta, ora e sempre) quanto a una guerra tra poteri. Uno è il Tour, l’altro l’Uci. Il Tour è il contenitore che risponde del contenuto, cioè dei ciclisti. L’Uci, a giudicare dalle sue mosse più recenti, colpisce i ciclisti ma la botta più pesante la dà alla credibilità del Tour, seminandogli sul percorso qualche bomba a orologeria che in un clima di intesa sana e cordiale non avrebbe motivo di esistere. L’intesa sana e cordiale, se mai c’è stata, è finita da quando Verbruggen s’è messo in testa di diventare l’Ecclestone della bici e ha varato il Pro Tour, creando solo scontri e confusione. Verbruggen è diventato vice di Rogge al Cio, una carriera folgorante, e al suo posto è arrivato l’irlandese McQuaid, che vigila sulla continuità della linea. A questo punto, tanto per capirci, farò un paragone calcistico. Immaginiamo questo: a inizio stagione Blatter dichiara: ‟Se il Milan vince la Champions, ne sarei profondamente disgustato”. Credo che Berlusconi e Galliani gli chiederebbero un fantastiliardo di danni. In questo mondo, così diverso dal calcio, McQuaid può dire la stessa cosa di Vinokourov e del Tour, e nessuno gliene chiede conto. Se, come presidente del ciclismo mondiale ha qualche prova sulla slealtà di Vinokourov la tiri fuori e lo punisca, altrimenti stia zitto. Oppure, quando ‟Le Monde” sosteneva che nell’operazione Puerto erano coinvolti atleti di altri sport (calciatori, tennisti) e non solo ciclisti, e lo stesso dottor Fuentes confermò la cosa in un’intervista, tutto finì lì. Perché Fuentes non ha fatto i nomi? ‟Ho ricevuto minacce di morte e non è il caso di scherzare” disse il dottore. E’un modo abbastanza sbrigativo per ottenere il silenzio. Ce ne sono anche altri, che possono funzionare. Qualche passo indietro. Sinkewitz è controllato l’8 giugno e la notizia della sua positività piomba sul Tour il 18 luglio. Rasmussen riceve il secondo cartellino giallo dall’Uci il 26 giugno (ancora uno e sarà squalificato) e la Federazione danese che lo esclude dalla nazionale lo comunica a tarda ora il 19 luglio. Il Tour è partito il 7 luglio. Nel primo caso c’erano molti giorni, nel secondo pochi ma sufficienti a informare gli organizzatori, che negli ultimi anni (Di Luca, Basso, Ullrich) avevano dimostrato una maggiore sensibilità sull’argomento. ‟Non vi è venuta voglia di escludere Rasmussen?” hanno chiesto a Patrice Clerc, presidente dell’Aso. ‟So che girano interrogativi sui suoi picchi di forma, ma non c’erano i motivi perché lo escludessimo. Il sangue di Rasmussen è stato controllato il 30 giugno dalla sua federazione, il 3 luglio dalla Rabobank, il 5, come quello di tutti, alla vigilia della partenza del Tour e il 17 con una visita a sorpresa. Le sue urine sono state controllate il 15, 17, 18 e 19 luglio. Credo che sia legittimo, invece, interrogarsi sul perché certe notizie tardano tanto”. La conferenza-stampa di Rasmussen dura meno di 3 minuti. ‟E’disturbato dalle voci sul suo conto?”. ‟Un po’”. ‟Può confermare di aver consegnato al biker Witney Richard, mentre era negli Usa, una scatola di scarpe da portare per conto suo in Europa, e che quella scatola non conteneva scarpe ma emoglobina sintetica bovina?”. ‟Non posso confermare”. ‟Quanti avvertimenti ha ricevuto dall’Uci per non aver comunicato le sue sedi d’allenamento, uno o due?”. ‟Due, uno a marzo dell’anno scorso, uno a fine giugno”. Si alza e se ne va. In gruppo passa per un fissato e, oltre che Pollo, lo chiamano Man in Black, perché per abitudine non si allena mai con la maglia della sua squadra, ma tutto vestito di nero. ‟Lo faccio per non essere riconosciuto e non avere cicloturisti tra i piedi”, si giustifica lui, ma non è molto convincente. In Messico, comunque, almeno un motivo per allenarsi ce l’ha: sua moglie è messicana. Non convince molto nemmeno quando dice: ‟Vado ad allenarmi in Messico, ma non porto con me il computer. Un richiamo dell’Uci era giusto, il secondo no perché avevo spedito una lettera ma loro dicono che non è arrivata”. Una voce amica almeno la trova. Boonen: ‟Non facciamo confusione, se Rasmussen ha sbagliato è un errore di comunicazione, mica è positivo a un esame come Sinkewitz. Non metteteli sullo stesso piano”. Chi, noi? Ma quando mai. Con queste belle premesse, oggi si corre una cronometro importante, 54 km piuttosto duri, con una salita di 3,4 km. Il Pollo perderà molte piume e Kloden s’avvicinerà al podio. Gli ultimi a partire, cioè i primi della classifica, rischiano di correre sul bagnato. Intanto, per tenermi su di morale, con una facile deviazione sono andato a Sète a vedere la tomba di Brassens. E’nel cimitero del Py, quello della gente comune. Non guarda il Mediterraneo come il ‟cimitero marino” dove sono sepolti Paul Valéry e Jean Vilar, ma le acque della laguna di Tahu, e certamente non gliene importa nulla. Sulla lapide ci sono quattro nomi, di sua sorella, del marito, di Puppchen, bambolina in tedesco, la donna della sua vita, trent’anni insieme senza mai abitare un giorno sotto lo stesso tetto. A duecento metri dal cimitero c’è il museo dedicato a Brassens, un’ora di visita guidata dalla voce di Brassens, sempre bella da sentire perché è la voce di un uomo libero. Visita consigliata. In segno d’affetto, e non avendo una pipa, al cimitero ho sbriciolato una Gauloise.

Gianni Mura

Gianni Mura (Milano 1945). Studi classici, entra alla “Gazzetta dello Sport” nel 1964. Giornalista professionista dall’aprile del ’67. Altre testate: “Corriere d'informazione” (72/74), “Epoca” (74/79), “L'occhio” (79/81). Inviato di “Repubblica” …