Curzio Maltese: I soldi del vescovo (III). Gli alberghi dei santi alla crociata dell'Ici
25 Ottobre 2007
Una terrazza da sogno sul cuore della Roma barocca, sormontata dal campanile di Santa Brigida, con vista sull’ambasciata francese e perfino sull’attico di Cesare Previti. È soltanto uno dei vanti dell’albergo delle Brigidine in piazza Farnese, ‟magnifico palazzo del '400” si legge nel depliant dell’hotel, classificato con cinque stelle nei siti turistici, caldamente consigliato nei blog dei visitatori, soprattutto dagli americani, per il buon rapporto qualità-prezzo e l’accoglienza delle suore. ‟Parlano tutte l’inglese e possono procurare lasciapassare gratis per le udienze del Papa” scrive un’entusiasta ospite da Singapore sul portale Trip Advisor (‟leggi le opinioni e confronta i prezzi”). L’unico problema, avvertono, è trovare posto. Sorto intorno alla chiesa di Santa Brigida, quasi sempre vuota, l’albergo è invece sempre pieno. Prenotarsi però non è difficile. Basta inviare una e-mail a www.istitutireligiosi.org, il portale che raccoglie un migliaio di case albergo cattoliche in Italia, con il progetto di pubblicarle tutte nei prossimi mesi e ‟raggiungere accordi con i grandi tour operator stranieri per il lancio sul mercato internazionale”. Oppure si può cliccare direttamente su brigidine.org, il sito ufficiale dell’ordine religioso fondato da Santa Brigida di Svezia, straordinaria figura di mistica e madre di otto figli, fra i quali un’altra santa, Caterina. Una notizia che in realtà dall’home page delle brigidine non si ottiene. La biografia della fondatrice occupa solo poche righe. In compenso si trovano minuziosi dettagli sulla catena di alberghi (‟case religiose”) gestiti dalle brigidine in 19 paesi, una specie di Relais & Chateux di gran fascino, per esempio il magnifico chiostro dell’Avana Vecchia, inaugurato da Fidel Castro in persona. Il prezzo di una camera a piazza Farnese è di 120 euro per la singola, 190 per la doppia, compresa colazione, maggiorato del tre per cento se si paga con carta di credito. La Casa di Santa Brigida, quattromila metri nella zona più cara di Roma, più lo sterminato terrazzo, ha un valore di mercato di circa 60 milioni di euro ma è iscritto al catasto romano nella categoria "convitti". E non paga una lira di Ici. Ogni anno i comuni italiani perdono secondo gli studi dell’Anci (‟basati su dati catastali lontani dal valore di mercato reale”) oltre 400 milioni di euro a causa di un’esenzione fiscale illegittima e contraria alle norme europee sulla concorrenza. A questa stima vanno aggiunti gli immobili considerati unilateralmente esenti da sempre e mai dichiarati ai comuni, per giungere ad un mancato gettito complessivo valutato vicino al miliardo di euro annuali. Sarebbe più esatto dire che la perdita è per i cittadini italiani, perché poi i comuni i soldi mancanti li prendono dalle solite tasche. L’Avvenire, organo della Cei, ha scritto che bisogna smetterla di parlare di privilegio poiché esiste una legge di esenzione fin dal 1992. ‟Un regime che non aveva mai dato problemi fino al 2004” conclude. È vero. Ma ha dimenticato di aggiungere che il "problema" insorto è la correzione della Corte di Cassazione. Un problema non da poco in uno stato di diritto. Al quale si è aggiunto quest’anno un altro problemino, anticipato da "Repubblica", l’inchiesta della commissione europea sull’intero settore dei favori fiscali alla chiesa cattolica italiana, nell’ipotesi di "aiuti di Stato" mascherati. Con gran scandalo di alcune lobby parlamentari che hanno invocato la mano del papa contro Bruxelles. Piccola storia della controversia. La legge del 92 sulle esenzioni dall’Ici è stata giudicata illegittima dalla Cassazione, che nel 2004 l’ha così corretta: sono esenti dall’Ici soltanto gli immobili che ‟non svolgono anche attività commerciale”. La sentenza, come la precedente esenzione, si applicava a tutti i soggetti interessati. Oltre alle proprietà ecclesiastiche, non solo cattoliche, anche alle Onlus, ai sindacati, ai partiti, alle associazioni sportive e così via. Ma l’unica reazione furibonda è arrivata dalla Cei: ‟Una sentenza folle”. Perché? Forse perché è l’unico fra i soggetti interessati a possedere un impero commerciale: alberghi, ristoranti, cinema, teatri, librerie, negozi. ‟Il fenomeno ha avuto un’impennata prima del Giubileo” spiegano i tecnici dell’Anci ‟ma negli ultimi dieci anni l’espansione commerciale degli enti religiosi è impressionante”. Una parte della montagna di soldi pubblici (3500 miliardi di lire) stanziati per il Giubileo del 2000, più quote consistenti dell’otto per mille, sono finite in questi anni in ristrutturazioni immobiliari che hanno trasformato conventi, collegi e ostelli in moderne catene alberghiere. Un po’ovunque, come a piazza Farnese, le chiese si svuotano ma gli hotel religiosi si riempiono. Le ragioni non mancano: sono belli, ben gestiti, concorrenziali nei prezzi e possono far leva su una capillare rete di propaganda. La chiesa cattolica è oggi uno dei più potenti broker nel turismo mondiale, primo settore per crescita dell’economia. Si calcola che gestisca quaranta milioni di presenze all’anno per l’Italia e verso luoghi di culto (Lourdes, Fatima, Czestochowa, Medjugorije...). In cima alla piramide organizzativa si trova la ORP (Opera Romana Pellegrinaggi), alle dipendenza del Vicariato di Roma e quindi della Santa Sede. L’attività è in larga misura esentasse, Ici a parte. Si capisce che la Cei di Ruini si sia mossa contro la ‟folle sentenza”, ‟fonte di danni incalcolabili”. Fino a ottenere dal governo Berlusconi il colpo di spugna per decreto. Un decreto che rovesciava la Cassazione e ripristinava l’esenzione totale dall’Ici per le proprietà ecclesiastiche, ‟a prescindere” (alla Totò) da ogni eventuale uso commerciale. E’l’autunno 2005 e Berlusconi anticipa nei fatti alla Cei l’abolizione dell’Ici che sei mesi più tardi, all’ultimo minuto di campagna elettorale, avrebbe soltanto promesso a tutti gli altri italiani. ‟Fu un’esplosione di gioia - si legge nel sito della Cei - "cin, cin", brindisi, congratulazioni, gratitudine per tutti coloro che si erano adoperati per l’approvazione di tali norme”. Passate le elezioni, alla nuova maggioranza si è riproposto il nodo dell’illegittimità della norma, sollecitata dai rilievi della Commissione Europea. E il governo Prodi l’ha risolto nel più ipocrita dei modi. Con un cavillo inserito nei decreti Bersani, vengono esentati dall’Ici gli immobili che abbiano uso ‟non esclusivamente commerciale”. In pratica, secondo l’Anci, significa che ‟il 90-95 per cento delle proprietà ecclesiastiche continua a non pagare”. In termini giuridici il ‟non esclusivamente commerciale” rappresenta un non senso, una barzelletta sul genere di quella famosa della donna incinta ‟ma appena un poco”. Nel secolare diritto civile e tributario italiano il ‟non esclusivamente” non era mai apparso, un’attività è commerciale o non commerciale. Il resto è storia recente. Parte la richiesta di chiarimenti da Bruxelles il governo da un lato risponde che la ‟norma è chiarissima” e dall’altro istituisce una commissione per studiarne le ambiguità, voluta quasi soltanto dal ministro per l’Economia Tommaso Padoa Schioppa, europeista convinto. La relazione sarà consegnata fra pochi giorni, ma circola qualche riservata anticipazione. Il presidente Francesco Tesauro, dall’alto della sua competenza giuridica, difficilmente potrà avvalorare l’assurdità del ‟non esclusivamente” e quindi sarà inevitabile cambiare la norma. ‟Qui nessuno, per intenderci, pretende l’Ici dal bar o dal cinema dell’oratorio” commenta il presidente dell’Anci, il sindaco di Firenze Lorenzo Domenici. ‟Ma dagli esercizi commerciali aperti al pubblico, in concorrenza con altri, da quelli sì. Abbiamo dato piena autonomia ai singoli comuni per trovare accordi con le curie locali e compilare elenchi attendibili”. Ma una leale collaborazione nel separare il grano dal loglio, i templi dai mercati, insomma il culto dal commercio, da parte delle curie non c’è mai stata. Nel marzo scorso, per far fronte all’espansione del settore, la Cei ha organizzato a Roma un mega convegno intitolato ‟Case per ferie, segno e luogo di speranza”. Gli atti e gli interventi dei relatori, scaricabili dal sito ufficiale della Cei, compongono di fatto un eccellente corso di formazione professionale per operatori turistici, tenuto da esperti del ramo e commercialisti non solo molto preparati ma anche dotati di una capacità divulgativa singolare per la categoria. Una visita al sito è largamente consigliabile a qualsiasi laico titolare di un alberghi, pensioni, bar, ristoranti. Nelle molte e lunghe relazioni, fitte di norme civilistico-fiscali, compare anche l’aspetto spirituale, alla voce swiftiana ‟Qualche modesto suggerimento per difendervi nel prossimo futuro da accertamenti Ici (anche retroattivi)”. Si ricorda allora che ‟A) l’ospite deve riconoscere la piena condivisione degli ideali e delle regole di condotta della religione cristiana; B) l’ospite deve impegnarsi a rispettare gli orari di entrata e di uscita; C) la casa per ferie metta a disposizione degli ospiti la propria struttura e personale religioso per un’assistenza religiosa oltre l’annessa cappella” e così via. A parte che a piazza Farnese ci hanno dato subito le chiavi per entrare e uscire quando volevamo, è la Cei stessa a ridurre la vocazione spirituale e dunque ‟non commerciale” degli alberghi religiosi a un espediente da commercialisti furbi per evitare gli odiati accertamenti. Eppure sono passati duemila anni da quando Gesù rispose ai farisei, il clero dell’epoca, ‟date a Cesare quel che è di Cesare”. Per finire, una precisazione penosa ma necessaria. Da settimane l’informazione cattolica pubblica le tabelle degli stipendi dei preti, bassi come quelli degli operai, per ‟sbugiardare un’inchiesta fondata sulla menzogna”. Ora, i salari dei preti non sono mai stati né saranno oggetto di questa inchiesta. Si può anzi essere d’accordo con gli organi della Cei nel sostenere che i sacerdoti sono una categoria sottopagata rispetto all’impegno profuso nella società. Per non dire delle suore, alle quali la Cei non versa un euro. Le sorelle brigidine di piazza Farnese, per esempio, si alzano all’alba e lavorano dodici ore al giorno, offrendo agli ospiti una cortesia e una dedizione che non s’imparano alla scuola alberghiera, eppure non avranno mai né uno stipendio né la pensione, a differenza dei preti. Ed è un’altra fonte d’imbarazzo laico dover contribuire con le tasse a un sistema tanto discriminatorio. La questione non sono i 350 milioni per gli stipendi prelevati con l’otto per mille, inventato per questo. Ma gli altri quattro miliardi che vanno altrove, in parte certo alle missioni di carità, in parte più cospicua dentro una macchina di potere che influenza e condiziona l’economia, la politica, la vita democratica e a volte l’esercizio dei diritti costituzionali, fra i quali la libertà di stampa.
Curzio Maltese
Curzio Maltese (1959-2023) è stato inviato per “La Stampa” e poi, dal 1995 al 2021, editorialista a “la Repubblica”. Nel 2022 ha scritto per “Domani”. È stato scrittore, autore per …