Renato Barilli: Donne dellIndia, ecco la nuova frontiera
19 Novembre 2007
Il tema dominante del nostro secolo, nell’arte come in ogni altro ambito culturale, è dato senza dubbio dall’avvento sempre più consistente dei continenti extra-occidentali, con le loro proposte ormai del tutto competitive rispetto a quelle emanate da Europa e Nord America. Non era stato certo così nel Novecento, in cui l’impresa delle avanguardie, anche se rivolta a contestare gran parte dei presupposti su cui si era retta per secoli la nostra arte, veniva condotta quasi per intero da esponenti del mondo occidentale, con rare e timide comparse da altre aree. Eppure, proprio le avanguardie avevano smantellato i criteri del mimetismo speculare, tipici unicamente del nostro Occidente, affatto sconosciuti alle altre culture. Ma tutto sommato aveva retto il vecchio primato della tela dipinta, un mezzo quasi sconosciuto ad Asia ed Africa, e per di più la tela dipinta, come avveniva con ‟ismi” quali il Costruttivismo e il Neoplasticismo, sacrificava abbondantemente alla dura razionalità del mondo delle macchine. Il clima è mutato con la rivoluzione sessantottesca, e la conseguente ‟morte dell’arte”, dove a morire altro non era se non il vecchio primato della tela dipinta. Si imponeva il cosiddetto ‟concettuale”, cioè appunto una stringente analisi sui nuovi modi di fare arte, e avanzava il ‟triangolo” di Joseph Kosuth, foto-oggetti-definizioni linguistiche. Ecco, ci siamo arrivati, strumenti di questo tipo si sono rivelati davvero globali, alla portata di ogni cittadino del pianeta, che a sua volta li ha potuti rivolgere a una serrata indagine sulle proprie realtà, dal che la formula trionfante del ‟glocal”.
A questa luce, era già stato ampiamente riconosciuto l’arrivo in forze di Giappone, Cina, Corea del Sud, ma anche l’India incalza, con la vastità del suo subcontinente, e già aveva cominciato a prenderne le misure la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Ora giunge un’altrettanto invitante ricognizione su ‟India arte oggi” promossa dalla Provincia di Milano, a cura di un’intrepida esploratrice di nuove frontiere quale Daniela Palazzoli. Sono una trentina di artisti, per lo più tra i trenta e quarant’anni d’età, tra cui numerose le donne, il che sta anche a confermare un altro dei tratti caratterizzanti il nuovo secolo, la rimonta dell’arte al femminile rispetto ai privilegi dei maschi. Difficile dire se il quadro così offerto sia esauriente, la stessa curatrice avrà dovuto sottostare al filtro di qualche volonterosa guida, ma a noi serve un riscontro quasi in termini statistici, che magari si apre subito con una vistosa contestazione del ‟triangolo” kosuthiano, da cui era stato espunto il far ricorso alle immagini. Quello che oggi non si può ammettere, è l’uso di immagini pittoriche ad alta fedeltà, per questo compito c’è la fotografia, ma un iconismo stilizzato, fantasioso, pronto a sua volta a ibridarsi con gli influssi della cultura popolare, fumetti, pubblicità e altro, appare una via pienamente consentita, come del resto avevano già scoperto Gauguin e compagni, quando si erano lasciati affascinare dalle stampe giapponesi. Ecco dunque le icone magiche, fiorite, come per stoffe sontuose, che sa ricamare Dhruvi Acharya, o i fumetti, in bilico tra richiami ancestrali e omaggi Pop, di Chitra Ganesch, entrambe artiste, mentre tenta di contrastarle a difesa del fronte maschile Bhupen Khakhar, che sembra chiedere aiuto alle punte espressioniste del nostro Francesco Clemente. Poi, beninteso, si ha il ricorso straripante all’obiettivo fotografico, uno strumento davvero planetario, uguale per tutti, ma nello stesso capace di permettere una riscoperta di valori atavici. Per esempio, un’altra artista, Shilpa Gupta (sarebbe interessante sapere se la curatrice ha adottato un partito preso a favore della condizione femminile) ci offre un gruppetto di scolaretti, come ce ne potrebbero essere tanti nelle varie scuole del mondo, che però ricalcano i gesti ieratici della Dea Kalì dalle tante braccia. E donna è pure Reena Saini Kallat che sforbicia dai rotocalchi del suo paese un gran numero di coupons, con cui poi compone un muro fitto, un puzzle brulicante di vite. E la sua collega Tejal Shah mescola il sacro col profano, ritaglia profili di attori o attrici impegnati in qualche copione degno di Bollywood, della mecca del cinema indiano popolare, ma poi li decora con magnifiche efflorescenze di matrice aristocratica.
Non manca infine il ricorso agli oggetti stessi, prelevati dalla produzione nuova di zecca, luccicante di cromature, e abbiamo così forse l’unico artista indiano che ha sfondato davvero la barriera della notorietà, Subodh Gupta, posto in pole position dal veneziano Palazzo Grassi nella gestione impressagli dal collezionista Pinault. Qui però Gupta rinuncia alla presenza diretta degli oggetti, preferendo darceli attraverso un tradizionale olio su tela. Il suo posto, nell’affrontare le ‟cose stesse”, è preso da Bose Krishnamachari, che raccoglie dalla strada i miseri contenitori ‟usa e getta” per il trasporto di rozzi cibi casalinghi, li fa dondolare in fitta schiera, ma inserendo in ciascuno di essi l’occhio lampeggiante di piccoli video, con relativa colonna sonora il cui rumore ci può giungere in cuffia. Il trash, i cascami della vita urbana ospitano così un’anima tecnologica avanzata, Il passato, il presente e il futuro si ibridano in impasti voraci e penetranti.
A questa luce, era già stato ampiamente riconosciuto l’arrivo in forze di Giappone, Cina, Corea del Sud, ma anche l’India incalza, con la vastità del suo subcontinente, e già aveva cominciato a prenderne le misure la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Ora giunge un’altrettanto invitante ricognizione su ‟India arte oggi” promossa dalla Provincia di Milano, a cura di un’intrepida esploratrice di nuove frontiere quale Daniela Palazzoli. Sono una trentina di artisti, per lo più tra i trenta e quarant’anni d’età, tra cui numerose le donne, il che sta anche a confermare un altro dei tratti caratterizzanti il nuovo secolo, la rimonta dell’arte al femminile rispetto ai privilegi dei maschi. Difficile dire se il quadro così offerto sia esauriente, la stessa curatrice avrà dovuto sottostare al filtro di qualche volonterosa guida, ma a noi serve un riscontro quasi in termini statistici, che magari si apre subito con una vistosa contestazione del ‟triangolo” kosuthiano, da cui era stato espunto il far ricorso alle immagini. Quello che oggi non si può ammettere, è l’uso di immagini pittoriche ad alta fedeltà, per questo compito c’è la fotografia, ma un iconismo stilizzato, fantasioso, pronto a sua volta a ibridarsi con gli influssi della cultura popolare, fumetti, pubblicità e altro, appare una via pienamente consentita, come del resto avevano già scoperto Gauguin e compagni, quando si erano lasciati affascinare dalle stampe giapponesi. Ecco dunque le icone magiche, fiorite, come per stoffe sontuose, che sa ricamare Dhruvi Acharya, o i fumetti, in bilico tra richiami ancestrali e omaggi Pop, di Chitra Ganesch, entrambe artiste, mentre tenta di contrastarle a difesa del fronte maschile Bhupen Khakhar, che sembra chiedere aiuto alle punte espressioniste del nostro Francesco Clemente. Poi, beninteso, si ha il ricorso straripante all’obiettivo fotografico, uno strumento davvero planetario, uguale per tutti, ma nello stesso capace di permettere una riscoperta di valori atavici. Per esempio, un’altra artista, Shilpa Gupta (sarebbe interessante sapere se la curatrice ha adottato un partito preso a favore della condizione femminile) ci offre un gruppetto di scolaretti, come ce ne potrebbero essere tanti nelle varie scuole del mondo, che però ricalcano i gesti ieratici della Dea Kalì dalle tante braccia. E donna è pure Reena Saini Kallat che sforbicia dai rotocalchi del suo paese un gran numero di coupons, con cui poi compone un muro fitto, un puzzle brulicante di vite. E la sua collega Tejal Shah mescola il sacro col profano, ritaglia profili di attori o attrici impegnati in qualche copione degno di Bollywood, della mecca del cinema indiano popolare, ma poi li decora con magnifiche efflorescenze di matrice aristocratica.
Non manca infine il ricorso agli oggetti stessi, prelevati dalla produzione nuova di zecca, luccicante di cromature, e abbiamo così forse l’unico artista indiano che ha sfondato davvero la barriera della notorietà, Subodh Gupta, posto in pole position dal veneziano Palazzo Grassi nella gestione impressagli dal collezionista Pinault. Qui però Gupta rinuncia alla presenza diretta degli oggetti, preferendo darceli attraverso un tradizionale olio su tela. Il suo posto, nell’affrontare le ‟cose stesse”, è preso da Bose Krishnamachari, che raccoglie dalla strada i miseri contenitori ‟usa e getta” per il trasporto di rozzi cibi casalinghi, li fa dondolare in fitta schiera, ma inserendo in ciascuno di essi l’occhio lampeggiante di piccoli video, con relativa colonna sonora il cui rumore ci può giungere in cuffia. Il trash, i cascami della vita urbana ospitano così un’anima tecnologica avanzata, Il passato, il presente e il futuro si ibridano in impasti voraci e penetranti.
Renato Barilli
Renato Barilli (1935) già docente di Fenomenologia degli stili all’Università di Bologna, è autore di numerosi volumi di estetica, fra cui: Scienza della cultura e fenomenologia degli stili (il Mulino, …