Marina Forti: Sri Lanka. Dopo lo tsunami, i palazzinari

27 Dicembre 2007
Spesso le cifre non rendono conto della realtà. Giorni fa a Colombo, capitale dello Sri Lanka, un responsabile delle Nazioni unite ha detto che il programma di ricostruzione di abitazioni distrutte dallo tsunami del 26 dicembre 2004 è ‟una storia di successo”. David Evans, responsabile di Un-Habitat, l'agenzia Onu che ha coordinato gli aiuti alla ricostruzione, si basa sui numeri: l'Agenzia per la ricostruzione e lo sviluppo (Rada) del governo srilankese dice che fino al dicembre di quest'anno ne sono state costruite oltre 99 mila, su una necessità stimata di 117 mila. ‟A differenza di altri paesi devastati dallo tsunami, il governo di Sri Lanka ha realizzato un gran lavoro nei soccorsi, ricostruzione e riabilitazione”, diceva il 20 dicembre il portavoce e ministro dell'informazione di Colombo, Anura Priyadharshana Yapa: ‟Il processo di ricostruzione è fatto all'80 percento”.
Riprendiamo cifre e dichiarazioni da Irin News (agenzia dell'Ufficio Onu per gli affari umanitari). Gli stessi dispacci però fanno notare che tre anni dopo, molti dei sopravvissuti dello tsunami sono ancora buttati in centri d'assistenza provvisori e altri vivono in insediamenti nuovi, dove però mancano le infrastrutture più elementari - a cominciare da acqua e cessi. Non che siano mancati i fondi, anche se ne sono arrivati meno di quanti promessi: secondo Transparency International Sri Lanka, gli aiuti stranieri arrivati al governo di Colombo ammontano a 1,13 miliardi di dollari (ne erano stati promessi circa il doppio, 2,23 miliardi). Di questi, sono stati spesi finora 633 milioni di dollari in circa 710 progetti nei 13 distretti colpiti dallo tsunami. Gran parte della ricostruzione è avvenuta nei distretti meridionali e sud-occidentali del paese - mentre sulla costa settentrionale l'escalatio delle ostilità tra il governo centrale e il movimento delle Tigri Tamil a partire dal dicembre 2005 ha bloccato le cose: solo il 39% dei programmi di abitazioni sono stati completati.
La disparità geografica non è l'unico problema. Basta vedere i dispacci di Irin News. Lunawa, appena a sud della capitale Colombo, 93 famiglie vivono ancora nell'insediamento di baracche costruito in gran fretta subito dopo la catastrofe: dicono che la cosa peggiore è dover condividere un solo cesso per tutti. Nel distretto di Ampara, nei campi di raccolta allestiti tre anni fa centinaia di famiglie si riforniscono da una sola cisterna d'acqua. Nei distretti di Ampara e di Colombo l'Agenzia governativa per la ricostruzione aveva offerto a ogni famiglia 250mila rupie (circa 2.500 dollari) per comprarsi un lotto su cui ricostruirsi una casa: ma il prezzo della poca terra edificabile disponibile è salito alle stelle, e quei soldi non bastano. Dove le case sono state costruite, di solito con aiuti stranieri e la supervisione dell'agenzia governativa, le cose non vanno necessariamente meglio. Secondo uno studio della Banca Asiatica di Sviluppo (Adb), il 60% degli occupanti delle case ricostruite lamenta che le infrastrutture (elettricità, acqua, trasporti e istruzione elementare) sono peggiori di quelle che avevano prima dello tsunami, e il 40% lamenta che le case stesse sono peggiori di quelle che avevano (‟Economic Challanges of Post-Tsunami Recostruction in Ari Lanka”, agosto 2007). L'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) ha monitorato 117 nuovi insediamenti, in uno studio pubblicato nel maggio 2007: risulta che 1.250 case costruite da donatori stranieri sono rimaste vuote perché insicure, senza infrastrutture adeguate e lontano dalle opportunità di lavoro e di reddito: ad esempio all'interno e isolate rispetto alle zone di pesca - l'economia locale sulle coste di Sri lanka è fondata sulla pesca.
Del resto Herman Kumara, che rappresenta il National Fisheries Solidarity Movement (Movimento di solidarietà dei pescatori) denuncia che spesso le barche generosamente donate dopo lo tsunami sono inadatte a uscire in mare. Transparency International riassume: c'è stato un approccio ‟non professionale e orientalo al profitto” nella corsa umanitaria.

Marina Forti

Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …