Giorgio Bocca: Quel vino notturno che sapeva di violetta e nebbia

01 Aprile 2008
Il più gradito augurio di Pasqua è stato quello di Beppe Rinaldi, grande vignaiolo: un jéroboam di Barolo, un bottiglione di tre litri. Così come l’augurio più gradito di Natale è quello che mi arriva, sempre da Barolo, dalla vedova di Bartolo Mascarello: i tajarin più leggeri del mondo fatti con le uova delle galline nere. Da Barolo sono sempre arrivati i doni migliori per i piemontesi di città, re, ministri, scrittori. Basta saperli chiedere con cortesia. Un giorno re Carlo Alberto si rivolse alla marchesa Giulia Falletti: ‟Marchesa, tutti decantano la qualità del vostro vino, il Barolo, quando avremo l’onore di assaggiarlo?”. Pochi giorni dopo il centro di Torino fu occupato da un’interminabile fila di carri trainati da buoi. Dicono fossero trecento: un carro per ogni giorno dell’anno esclusi i periodi di digiuno, e su ogni carro c’era una botte, una "carrà" da sei ettolitri, lunga e piatta, che conteneva il vino di una particolare cascina, in pratica di un cru. Sua maestà trovò il vino di suo gradimento e acquistò subito la tenuta del castello di Verduno per garantire il rifornimento delle cantine reali. La marchesa Giulia Falletti poteva permettersi quel dono, era parente del re di Francia; il marchese Falletti, suo marito, aveva un bilancio annuale di entrate uguale a quello dei Savoia. Mi piace andare per il mare dalle acque verdi-azzurre, e mi piace andare per quel mare di colline che sono le Langhe. Da quanti anni ci vengo? Da quanto amo il vino di Langa? Ricordo un nebbiolo di Verduno, arrivato chissà come nella nostra casa di modesti bevitori di Cuneo: sapeva di violetta e di primavera, aveva dentro il calore del camino, ma anche una freschezza di nebbia mattutina. Certe sere aspettavo che mia madre fosse andata a dormire, sfilavo la chiave della cantina senza far rumore, e scendevo all’appuntamento coi compagni di scuola; li facevo entrare come cospiratori, a lume di candela ci scolavamo tre o quattro bottiglie nel modo rituale: bere, passare la bottiglia secondo il giro dell’orologio all’amico che con la sua mano, non con la tua, pulisce la bocca della bottiglia, e avanti nel cerchio dionisiaco. Un mattino la donna che veniva a fare le pulizie mi trovò addormentato nell’armadio delle scope. Nelle Langhe ho fatto la guerra, e all’Osteria del Ponte di Monforte ho bevuto il mio miglior Barolo. L’oste, il vecchio Conterno, ogni tanto ci diceva: ‟Questo Barolo l’ho murato per il battesimo dei miei figli, ma è meglio che ce lo beviamo noi piuttosto che i tedeschi”. Sono tornato a Barolo negli anni Sessanta. Porto il mio amico Alfredo Todisco a conoscere le Langhe, ci fermiamo ad Alba per pranzare al Savona, e chiedo al vecchio Morra dove si trova del Barolo buono: ‟Provate dai Mascarello - dice - stanno nelle prime case, di fronte ai Pira, di fianco ai Rinaldi, vicino ai Brezza”. L’aristocrazia del Barolo sembra al completo. Andiamo al bivio per La Morra e svoltiamo a sinistra; la strada è in salita, ma fa delle curve così larghe e dolci per i vigneti dei Cannubi che ti sembra di planare, come quelle poiane che se le porta il vento caldo. Le tendine bianche di casa Mascarello sono abbassate, ma la porta si apre, esce il padre Mascarello che è stato sindaco, un socialista di quelli veri da Barolo, non da Dolcetto come il Nenni, che fa le vacanze a La Morra. Mi presento e presento Todisco: ‟Quello del Mondo?”, dice il Mascarello padre, Todisco non si è mai riavuto dallo stupore. Padre e figlio hanno il bunet in testa, il cappello dei langaroli, Bartolo ha un volto pallido, affilato, da romano della ‟repubblica virtuosa”. ‟Tu non sei un celta - gli ho detto - tu hai una faccia da latino”. ‟Non so se sono un latino, ma sono uno dei cinque o sei che il vino lo fanno ancora senza le barriques, senza il legno”. Il vecchio Mascarello se n’è andato da un pezzo, Bartolo da pochi anni. Negli ultimi tempi non ce la faceva più a lavorare in vigna, passava le giornate alla sua scrivania su cui erano sparse le etichette speciali per il suo Barolo, che disegnava a colori vivaci, stilizzate, secondo geometrie immutabili: triangoli, quadrati e figure umane dentro la dolce curva delle colline, la geometria degli uomini che faticano sotto il cielo azzurrino a cui alzano, come tutti ogni tanto, la paura del nulla. Anche per i contadini di Langa il mondo è cambiato: a comprare il vino possono arrivare dal Giappone. Un giorno suonano alla porta di Bartolo, lui va ad aprire e trova due giapponesi appena arrivati da Tokyo. ‟Tu Mascarello? - fa uno dei giapponesi - noi comprare il tuo vino”. ‟Come avete fatto a trovarmi?”. ‟Preso aereo a Tokyo, arrivati a Roma, preso aereo a Roma, arrivati a Torino, preso taxi a Torino, arrivati qui”. Bartolo ha conosciuto negli anni Settanta i miliardari che comperavano le terre del Barolo con valanghe di soldi, i Gancia pagarono seicento milioni per poche giornate di vigna dei Cannubi. Bartolo mi ha fatto leggere la lettera che spedì al presidente Gancia: ‟Vedo che lei, seguendo i consigli di un professore che io caccerei con forche e forconi, ha fatto fare un piccolo scasso, non vi curate delle erbe infestanti e invece di costruire i muretti rimboccate il terreno e sperate che l’erba lo tenga assieme”. ‟Cosa ti ha risposto Gancia?”, gli chiesi. ‟è venuto a trovarmi, ha bevuto un bicchiere del mio Barolo, mi ha fatto i complimenti e mi ha detto: "Vede Mascarello, lei ha ragione, ma io il mio Barolo lo farò lo stesso, e grazie alla mia rete commerciale lo farò pagare il doppio del suo". Ha fatto esattamente così, e siccome i suoi clienti non sanno nulla di Barolo, lo hanno molto ringraziato per averglielo fatto pagare il doppio del mio”. L’altro giorno ho anche scoperto che il Barolo è una prova dell’esistenza di Dio. Eravamo a pranzo ad Albaretto della Torre e vicino a noi c’erano dei preti tra cui un reverendo centenario di Fossano, piccolo e spelacchiato come un passerotto, che a un certo punto ci chiese di unirci a una sua preghiera: ‟Ringraziamo il buon Dio che ci ha dato il seme che germoglia e poi diventa albero e dà il frutto da cui esce questo Barolo. E chi se non Dio ha creato il sole che riscalda i grappoli?”. Le prove di san Tommaso d’Aquino non le avevo mai capite bene, ma queste del reverendo di Fossano mi sembrano inoppugnabili. Dimenticavo, nel 1991 ho ricevuto il massimo onore per un piemontese: sono stato nominato "l’uomo Barolo" di quell’anno. I produttori ci hanno mandato a casa quarantacinque Barolo diversi. Mia figlia, che ha vigna nelle Langhe, ha voluto assaggiarli tutti.

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …