La Serbia scrive allOnu: "Stop al libro della Del Ponte"
La Feltrinelli non fa una piega. Il libro è programmato per quella data e in quella data uscirà. Dal palazzo di vetro non giunge un fiato. Dall’Aja arriva il gelido comunicato della portavoce del Tribunale Nerma Jelacic: ‟Non è nostra abitudine fare commenti sui libri. Non facciamo i recensori. Il Tribunale parla con le sentenze”. L’ambasciatrice Del Ponte non vuole commentare. Lei e Chuck Sudetich, il giornalista del ‟New York Times” esperto di Balcani che ha scritto il libro in inglese si confrontano e decidono di tacere. ‟Ne parleremo quando il volume sarà pubblico e la gente potrà rendersi conto del contenuto”. Tutti e due sono tranquilli. I serbi non hanno ragione di risentirsi.
Massimo understatement. Deciso subito, tre giorni fa. È sabato 8 marzo, festa della donna, quando la Del Ponte, nel suo e-mail di Buenos Aires, riceve il lancio del quotidiano belgradese Blic che, nell’edizione on-line, accanto a una sua foto, annuncia l’atto di "guerriglia". È un’anticipazione che trova subito conferma ufficiale. Rasim Ljajic, il ministro delegato ai rapporti con il Tribunale dell’Aja, spiega che il segretario dell’Onu e i vertici dell’Aja, il presidente Fausto Pocar e il nuovo procuratore Serge Brammertz, hanno ricevuto la nota di contestazione. Top secret il contenuto. Nell’ufficio che fu della Del Ponte, dove ci si è resi conto che ormai a Belgrado la caccia ai criminali Mladic e Karadzic è di fatto sospesa, la mossa viene letta in un solo modo: l’ennesimo pretesto per non collaborare e non mandare all’Aja i massacratori di Srebenica ricercati da un decennio. Sul tavolo della Del Ponte però piovono gli attestati di solidarietà, come quello della ong di Belgrado Forum for security and democracy. Scrive il direttore Milan Jovanovic: ‟Le esprimiamo il pieno appoggio per pubblicare il suo libro. Non c’è dubbio che avrà un grande valore per la Serbia così com’è oggi”.