Giorgio Bocca: Rimpianto dei Prodi
21 Aprile 2008
Nel giorno in cui gli italiani ricevono la prima buona notizia di questo annus horribilis, cioè l'assegnazione a Milano dell'Expo 2015; nel giorno in cui il sindaco di Milano, la signora Moratti, riconosce pubblicamente a Romano Prodi di aver operato con pazienza, dedizione e competenza internazionale per ottenere la maggioranza dei voti stranieri, il Cavalier Silvio Berlusconi ha continuato e rincarato attacchi, insulti e derisioni a Prodi. Confermando l'idea che prima Giolitti e poi Mussolini ebbero della politica in questo paese: "Governare l'Italia, più che impossibile è inutile".
Come è noto Prodi ha rinunciato a candidarsi a capo del governo e a deputato in Parlamento. E uno dei suoi ministri, Vincenzo Visco, non è neppure stato presentato alle elezioni dal Partito democratico. Il ceto dirigente e la pubblica opinione non hanno espresso né stupore né rincrescimento per questo ritiro dalla vita pubblica di due persone cui va riconosciuto il merito eccezionale, e forse per questo ignorato e biasimato, di avere, per primi nel paese dei privilegi personali e delle pubbliche negligenze, rimesso ordine nei conti dello Stato e fatto pagare le tasse agli evasori. Associati nell'odio e nel disprezzo dei benpensanti, dei 'moderati', al ministro Di Pietro, che il Cavaliere di Arcore definisce nei suoi comizi "un uomo che mi fa orrore", e si capisce perché, perché ha osato mandare a giudizio i più noti ladroni della Repubblica.
Nella letteratura mondiale, dal tempo remoto dei classici, esistono satire, saggi, racconti sul mondo alla rovescia, dove gli onesti finiscono in prigione e i furfanti trionfano. Ma qui si esagera, ed è proprio questa esagerazione, questa mancanza di limiti, di rispetti, di misure, che ci fa capire a fondo la crisi della nostra società.
Romano Prodi e la sua famiglia appartengono a quella media borghesia che ogni società civile considera il suo sostegno: professori, scienziati, amministratori, economisti, storici, di buoni studi, uomini per bene con mogli e figli per bene, pronti come Prodi a pagare le ambizioni politiche con le fatiche e i sacrifici propri del 'servitore dello Stato'.
Il sindaco di Milano Letizia Moratti lo ha riconosciuto pubblicamente: il Professore emiliano pacioso e bon vivant ha perso molte notti per tenere i contatti coi delegati stranieri da cui dipendeva la scelta di Milano, e lo ha fatto anche a vantaggio di un sindaco e di una città che politicamente non stanno dalla sua parte. Ma al Cavaliere di Arcore è bastato individuare in lui il più forte ostacolo alla sua rivincita per insultarlo e deriderlo da mesi, per ordinare alla sua stampa 'gialla' una diffamazione sistematica quanto incivile, arrivata ad accusarlo di aver nascosto i regali avuti come capo del governo, come a dire di aver rubato i 'gioielli della corona'.
Ciò che in Prodi è insopportabile per i suoi avversari è la normalità, la sua vita privata è quella di una persona normale, civile. Non è un tycoon, non è un miliardario, non è un seduttore, un macho, e neppure un tiranno, è uno che essendo fra le persone più influenti nell'establishment dell'Iri, cioè nella concentrazione più alta della finanza e del potere pubblico, non ha rubato. C'è da far uscire pazzi di rabbia quelli che di ogni incarico pubblico fanno un affare privato.
Conosciamo i vizi e le assurdità del nostro Paese, e le ragioni serie dell'antipolitica, ma non al punto di rinunciare alle poche persone oneste e capaci, non al punto di rassegnarsi alla sconfitta e alla disperazione.
Come è noto Prodi ha rinunciato a candidarsi a capo del governo e a deputato in Parlamento. E uno dei suoi ministri, Vincenzo Visco, non è neppure stato presentato alle elezioni dal Partito democratico. Il ceto dirigente e la pubblica opinione non hanno espresso né stupore né rincrescimento per questo ritiro dalla vita pubblica di due persone cui va riconosciuto il merito eccezionale, e forse per questo ignorato e biasimato, di avere, per primi nel paese dei privilegi personali e delle pubbliche negligenze, rimesso ordine nei conti dello Stato e fatto pagare le tasse agli evasori. Associati nell'odio e nel disprezzo dei benpensanti, dei 'moderati', al ministro Di Pietro, che il Cavaliere di Arcore definisce nei suoi comizi "un uomo che mi fa orrore", e si capisce perché, perché ha osato mandare a giudizio i più noti ladroni della Repubblica.
Nella letteratura mondiale, dal tempo remoto dei classici, esistono satire, saggi, racconti sul mondo alla rovescia, dove gli onesti finiscono in prigione e i furfanti trionfano. Ma qui si esagera, ed è proprio questa esagerazione, questa mancanza di limiti, di rispetti, di misure, che ci fa capire a fondo la crisi della nostra società.
Romano Prodi e la sua famiglia appartengono a quella media borghesia che ogni società civile considera il suo sostegno: professori, scienziati, amministratori, economisti, storici, di buoni studi, uomini per bene con mogli e figli per bene, pronti come Prodi a pagare le ambizioni politiche con le fatiche e i sacrifici propri del 'servitore dello Stato'.
Il sindaco di Milano Letizia Moratti lo ha riconosciuto pubblicamente: il Professore emiliano pacioso e bon vivant ha perso molte notti per tenere i contatti coi delegati stranieri da cui dipendeva la scelta di Milano, e lo ha fatto anche a vantaggio di un sindaco e di una città che politicamente non stanno dalla sua parte. Ma al Cavaliere di Arcore è bastato individuare in lui il più forte ostacolo alla sua rivincita per insultarlo e deriderlo da mesi, per ordinare alla sua stampa 'gialla' una diffamazione sistematica quanto incivile, arrivata ad accusarlo di aver nascosto i regali avuti come capo del governo, come a dire di aver rubato i 'gioielli della corona'.
Ciò che in Prodi è insopportabile per i suoi avversari è la normalità, la sua vita privata è quella di una persona normale, civile. Non è un tycoon, non è un miliardario, non è un seduttore, un macho, e neppure un tiranno, è uno che essendo fra le persone più influenti nell'establishment dell'Iri, cioè nella concentrazione più alta della finanza e del potere pubblico, non ha rubato. C'è da far uscire pazzi di rabbia quelli che di ogni incarico pubblico fanno un affare privato.
Conosciamo i vizi e le assurdità del nostro Paese, e le ragioni serie dell'antipolitica, ma non al punto di rinunciare alle poche persone oneste e capaci, non al punto di rassegnarsi alla sconfitta e alla disperazione.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …