Marina Forti: La Tehran operaia elegge il suo deputato
05 Maggio 2008
In Iran le notizie vanno lette tra le righe, quando si tratta di lavoro e lavoratori. Prima notizia: l'unico seggio parlamentare conquistato dall'opposizione riformista nella Grande Tehran è quello di Eslamshahr, città satellite operaia da mezzo milione di abitanti. Seconda notizia: qualche giorno fa è stato scarcerato Mahmoud Salehi, sindacalista indipendente, uno dei co-fondatori del ‟Sindacato dei fornai” della città di Saqez, nel nord del paese.
L'elezione di Ali Reza Mahjub, nella circoscrizione che include Eslamshahr e altri suburbi operai della capitale iraniana, è il risultato del turno di ballottaggio delle elezioni legislative, tenuto la settimana scorsa. Mahjub è stato candidato dalla Casa del Lavoro, Khaneh Karegar , ciò che in Iran più si avvicina a una confederazione sindacale - o un incrocio tra sindacato, patronato e ‟partito del lavoro”.
Prima del voto lo avevamo incontrato nella Casa del Lavoro di questo sobborgo operaio, tra pacchi di volantini e giovani attiviste (quasi tutte studentesse). Eslamshahr è cresciuta a gran velocità dopo la Rivoluzione e la guerra Iran-Iraq negli anni '80, gonfiato da ondate di persone venute dalle province più distanti in cerca di lavoro e dai combattenti smobilitati dal fronte: qui c'è lo stabilimento Iran Khodro, la prima industria automobilistica nazionale, con tutto il suo indotto, e poi a Tehran gli affitti sono proibitivi. Sono finiti in vecchie case fatiscenti o in casermoni di cemento grigio, senza particolari infrastrutture urbane: come una grande città-dormitorio.
E' qui che a metà degli anni '90 è esplosa una rivolta popolare: era la rabbia dei ‟martiri” di guerra e dei mostazafin , ‟diseredati”, celebrati dalla retorica ufficiale della rivoluzione islamica ma lasciati nei casermoni. Eslamshahr aveva votato in massa per Mahmoud Ahmadi Nejad, che prometteva di distribuire il reddito del petrolio ‟sulle tavole di tutti gli iraniani”. Oggi elegge il candidato del ‟partito del lavoro”. Nato alla politica con gli scioperi operai contro lo Shah, Mahjub rappresentava la corrente ‟laborista” del vecchio Partito della Repubblica Islamica e ora dello schieramento riformista, quella che si suole chiamare ‟sinistra islamica”.
Denuncia un attacco ai lavoratori e alle loro condizioni di vita; promette di battersi contro le privatizzazioni e ‟portare la voce dei lavoratori in parlamento”. La storia di Mahmoud Salehi invece rimanda alle agitazioni di lavoratori che si sono moltiplicate grossomodo dal 2004, scioperi spontanei in questa o quella fabbrica, questioni di salario, carovita. A volte le proteste si sono coagulate: a Tehran con il ‟sindacato dei guidatori di autobus” che alla fine del 2005 ha lanciato uno sciopero represso duramente (il suo leader, Mansour Ossanlu, è in galera dal dicembre di quell'anno). O a Saqez con il ‟sindacato dei fornai”. Salehi era stato arrestato, con altri, dopo le manifestazioni del 1 maggio 2004, e condannato per attività sindacale non autorizzata. Ciò non ha impedito che anche negli anni seguenti il 1 maggio sia stato segnato da manifestazioni ‟spontanee” (non esiste un primo maggio ufficiale, né esistono sindacati ammessi all'infuori dei ‟consigli islamici del lavoro).
La Casa del Lavoro è stata vista come una sorta di ‟sindacato governativo” dagli attivisti indipendenti. Ma ora ha i suoi problemi con il regime. Forse è come ci ha detto Mahjub: ‟Abbiamo un'altra storia”, e ammette: bisogna battersi insieme ‟perché tutte le organizzazioni indipendenti dei lavoratori siano riconosciute”.
L'elezione di Ali Reza Mahjub, nella circoscrizione che include Eslamshahr e altri suburbi operai della capitale iraniana, è il risultato del turno di ballottaggio delle elezioni legislative, tenuto la settimana scorsa. Mahjub è stato candidato dalla Casa del Lavoro, Khaneh Karegar , ciò che in Iran più si avvicina a una confederazione sindacale - o un incrocio tra sindacato, patronato e ‟partito del lavoro”.
Prima del voto lo avevamo incontrato nella Casa del Lavoro di questo sobborgo operaio, tra pacchi di volantini e giovani attiviste (quasi tutte studentesse). Eslamshahr è cresciuta a gran velocità dopo la Rivoluzione e la guerra Iran-Iraq negli anni '80, gonfiato da ondate di persone venute dalle province più distanti in cerca di lavoro e dai combattenti smobilitati dal fronte: qui c'è lo stabilimento Iran Khodro, la prima industria automobilistica nazionale, con tutto il suo indotto, e poi a Tehran gli affitti sono proibitivi. Sono finiti in vecchie case fatiscenti o in casermoni di cemento grigio, senza particolari infrastrutture urbane: come una grande città-dormitorio.
E' qui che a metà degli anni '90 è esplosa una rivolta popolare: era la rabbia dei ‟martiri” di guerra e dei mostazafin , ‟diseredati”, celebrati dalla retorica ufficiale della rivoluzione islamica ma lasciati nei casermoni. Eslamshahr aveva votato in massa per Mahmoud Ahmadi Nejad, che prometteva di distribuire il reddito del petrolio ‟sulle tavole di tutti gli iraniani”. Oggi elegge il candidato del ‟partito del lavoro”. Nato alla politica con gli scioperi operai contro lo Shah, Mahjub rappresentava la corrente ‟laborista” del vecchio Partito della Repubblica Islamica e ora dello schieramento riformista, quella che si suole chiamare ‟sinistra islamica”.
Denuncia un attacco ai lavoratori e alle loro condizioni di vita; promette di battersi contro le privatizzazioni e ‟portare la voce dei lavoratori in parlamento”. La storia di Mahmoud Salehi invece rimanda alle agitazioni di lavoratori che si sono moltiplicate grossomodo dal 2004, scioperi spontanei in questa o quella fabbrica, questioni di salario, carovita. A volte le proteste si sono coagulate: a Tehran con il ‟sindacato dei guidatori di autobus” che alla fine del 2005 ha lanciato uno sciopero represso duramente (il suo leader, Mansour Ossanlu, è in galera dal dicembre di quell'anno). O a Saqez con il ‟sindacato dei fornai”. Salehi era stato arrestato, con altri, dopo le manifestazioni del 1 maggio 2004, e condannato per attività sindacale non autorizzata. Ciò non ha impedito che anche negli anni seguenti il 1 maggio sia stato segnato da manifestazioni ‟spontanee” (non esiste un primo maggio ufficiale, né esistono sindacati ammessi all'infuori dei ‟consigli islamici del lavoro).
La Casa del Lavoro è stata vista come una sorta di ‟sindacato governativo” dagli attivisti indipendenti. Ma ora ha i suoi problemi con il regime. Forse è come ci ha detto Mahjub: ‟Abbiamo un'altra storia”, e ammette: bisogna battersi insieme ‟perché tutte le organizzazioni indipendenti dei lavoratori siano riconosciute”.
Marina Forti
Marina Forti è inviata del quotidiano "il manifesto". Ha viaggiato a lungo in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. Dal 1994 cura la rubrica "TerraTerra" che riporta storie quotidiane in …