Gianfranco Bettin: Se la violenza parla padano
06 Maggio 2008
È una specie di nemesi quella che ha drammaticamente colpito l'altra notte, con l'aggressione che ha ridotto in fin di vita un ragazzo, una delle capitali della Lega, Verona, guidata da un sindaco, Flavio Tosi, peraltro assai popolare. Sulla vicenda che ha colpito Nicola Tommasoli, aggredito per futili motivi (avrebbe rifiutato di dare una sigaretta), da un gruppo di cinque coetanei con ogni probabilità veronesi (parlavano in dialetto, secondo i testimoni), Tosi ha avuto, ovviamente, parole nette, condannando l'accaduto, e anche di buon senso, ipotizzando che non l'avrebbero evitata neppure le sue amate ‟ronde” (che la giunta veronese ha di fatto istituito qualche giorno fa, annunciandone la discesa in campo ufficiale per dopo l'estate). L'aggressione, per il sindaco leghista, sarebbe stata imprevedibile. Per di più, è avvenuta in pieno centro, mentre le ‟ronde” agiranno soprattutto in periferia. Quindi, neppure i volonterosi vigilantes padani avrebbero salvato Nicola dalla furia (alcolica? Paranoica? Teppistica? Selvaggia e basta? Tutte queste cose insieme?) dei cinque concittadini ‟insospettabili”.
La verità che questa vicenda mette in rilievo è, in realtà, più articolata. Intanto, rivela la presenza di un'endemica violenza che alligna e non di rado deflagra intorno a noi, per i motivi più assurdi oltre che per ragioni venali, predatorie, eccetera. Hanno fatto bene a ricordarlo, e a ricordare al sindaco le sue responsabilità, i militanti della sinistra che ieri a Verona hanno organizzato un sit-in, mettendo il dito su questa piaga spesso trascurata, o meglio affrontata in modo unilaterale.
Ed è proprio questo il secondo aspetto che rivela la drammatica storia di Nicola. Gran parte del ceto politico dominante oggi nel Nord e in particolare nel Veneto è culturalmente incapace di affrontare in modo adeguato il crimine e la violenza e in genere l'illegalità quando siano un prodotto indigeno, ‟nostrano” e non ‟foresto”. Le generiche ancorché sincere riprovazioni dell'accaduto e la candida ammissione di impotenza da parte di un sindaco premiato elettoralmente per la sua fama di pragmatico, lo confermano.
Se ad aggredire Nicola fossero stati degli stranieri oggi la Lega e la destra veronesi sarebbero in piazza, prodighe di ricette salvifiche, oltre che di parole pesanti, e dispenserebbero certezze sulla propria capacità di fare piazza pulita dei violenti. Invece, non sanno se non ripetere le solite chiacchiere e, ci si può giurare, quando verranno trovati i colpevoli, se sarà confermato che di ‟nostrani” si tratta, si sentiranno se non giustificazioni certo delle attenuanti (alcol? Stress? Bisogno di scaricare tensioni da lavoro, come i famigerati ultras del Verona, fra i più beceri d'Italia ma in genere, nella vita, personcine ben inserite nelle professioni e nelle famiglie bene?). Tutto già visto.
Per la Lega e per la destra ci sono morti, aggrediti, stuprati, rapinati di serie B e sono, appunto, quelli colpiti da mano ‟nostrana”, per i quali non scattano né mobilitazioni né radicali riflessioni su ciò che li produce. Non è una buona ragione per non vedere - da sinistra - quegli altri, colpiti da mano ‟foresta”, replicando su un altro versante la cecità che su questo dimostra la destra. Ma certo è una ragione sufficiente per denunciare lo sguardo unilaterale, la politica della sicurezza a senso unico che ha per effetto quello di disarmare la coscienza di fronte alle ampie degenerazioni, alle vaste sacche di assurdità e futilità che a volte diventano bombe di aggressività, che una società largamente segnata da tensioni e inquietudini, e nevrotizzata da campagne securitarie martellanti, produce di continuo.
La verità che questa vicenda mette in rilievo è, in realtà, più articolata. Intanto, rivela la presenza di un'endemica violenza che alligna e non di rado deflagra intorno a noi, per i motivi più assurdi oltre che per ragioni venali, predatorie, eccetera. Hanno fatto bene a ricordarlo, e a ricordare al sindaco le sue responsabilità, i militanti della sinistra che ieri a Verona hanno organizzato un sit-in, mettendo il dito su questa piaga spesso trascurata, o meglio affrontata in modo unilaterale.
Ed è proprio questo il secondo aspetto che rivela la drammatica storia di Nicola. Gran parte del ceto politico dominante oggi nel Nord e in particolare nel Veneto è culturalmente incapace di affrontare in modo adeguato il crimine e la violenza e in genere l'illegalità quando siano un prodotto indigeno, ‟nostrano” e non ‟foresto”. Le generiche ancorché sincere riprovazioni dell'accaduto e la candida ammissione di impotenza da parte di un sindaco premiato elettoralmente per la sua fama di pragmatico, lo confermano.
Se ad aggredire Nicola fossero stati degli stranieri oggi la Lega e la destra veronesi sarebbero in piazza, prodighe di ricette salvifiche, oltre che di parole pesanti, e dispenserebbero certezze sulla propria capacità di fare piazza pulita dei violenti. Invece, non sanno se non ripetere le solite chiacchiere e, ci si può giurare, quando verranno trovati i colpevoli, se sarà confermato che di ‟nostrani” si tratta, si sentiranno se non giustificazioni certo delle attenuanti (alcol? Stress? Bisogno di scaricare tensioni da lavoro, come i famigerati ultras del Verona, fra i più beceri d'Italia ma in genere, nella vita, personcine ben inserite nelle professioni e nelle famiglie bene?). Tutto già visto.
Per la Lega e per la destra ci sono morti, aggrediti, stuprati, rapinati di serie B e sono, appunto, quelli colpiti da mano ‟nostrana”, per i quali non scattano né mobilitazioni né radicali riflessioni su ciò che li produce. Non è una buona ragione per non vedere - da sinistra - quegli altri, colpiti da mano ‟foresta”, replicando su un altro versante la cecità che su questo dimostra la destra. Ma certo è una ragione sufficiente per denunciare lo sguardo unilaterale, la politica della sicurezza a senso unico che ha per effetto quello di disarmare la coscienza di fronte alle ampie degenerazioni, alle vaste sacche di assurdità e futilità che a volte diventano bombe di aggressività, che una società largamente segnata da tensioni e inquietudini, e nevrotizzata da campagne securitarie martellanti, produce di continuo.
Gianfranco Bettin
Gianfranco Bettin è autore di diversi romanzi e saggi. Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, Sarajevo, Maybe (1994), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1992; 2007), Nemmeno il destino (1997; 2004, da cui è …