Gianfranco Bettin: L’aggressione razzista a Nettuno

03 Febbraio 2009
Cos’è peggio, un’aggressione razzista o la violenza di chi non riconosce il legame civile? Secondo il ministro Maroni è peggio quest’ultima, e tale sarebbe l’aggressione al povero indiano sorpreso, umiliato, picchiato e bruciato vivo dal branco di Nettuno sulla panchina della stazione, sua sola dimora dopo che aveva perso il lavoro. Episodio raccapricciante e non isolato, secondo il presidente Napolitano.
Potrebbe anche aver ragione, il ministro, in un certo senso. Se non fosse che le due cose, in realtà, vanno sempre insieme. E’ difficile non essere razzisti se non si ha il senso del vivere civile, comunque assente, naturalmente, nelle aggressioni razziste. La distinzione è poco meno che capziosa anche se è vero che possono darsi individui che, perfettamente in grado di rispettare i comuni obblighi civili, sono capaci di tutto nei confronti di chi ritengono ‟inferiore”. In fondo, tanti gerarchi nazisti erano personcine ben educate, perfino colte.
Anche i giovani aggressori di Nettuno risultano essere bravi ragazzi di buona famiglia. Forse le parole più appropriate sul contesto che rende possibile un caso simile le ha pronunciate, raccolte da ‟Repubblica”, il comandante provinciale dei carabinieri di Roma, il generale Vittorio Tomasone: ‟Se si vuol capire davvero quale è lo sfondo del tentato omicidio di Nettuno, allora bisognerà cominciare a ragionare su quel che accade ai nostri ragazzi. All’uso smodato che fanno ormai di droghe e alcol. A quelle che ne sono le conseguenze”. Il generale allude a una certa cultura dello sballo, e al suo retroterra di noia, vizio, cinismo, a certe subculture di gruppo ma, in realtà, ampiamente circolanti su tutti i media, dilaganti non solo tra i giovani – un sacco di adulti ne partecipa – ma che certo trova le nuove generazioni meno attrezzate a contrastarla.
Si tratta, probabilmente, della principale emergenza educativa odierna. L’Italia, in realtà, sta cominciando a pagare il disinvestimento in campo educativo e sociale degli ultimi dieci - quindici anni, l’abbandono a se stesse di un paio di generazioni e delle famiglie in cui sono cresciute oltre che delle istituzioni – in primis la scuola – che se ne dovrebbero occupare. Un vuoto, un ‟buco” educativo che viene riempito da ogni genere di suggestioni, di messaggi equivoci, di insegnamenti ambigui se non di lezioni esplicitamente ‟incivili”, per dirla con Maroni.
D’altra parte, le violenze di questi giorni – che come un incubo seriale occupano tutti i media e dilagano in noi - vengono anche da altri soggetti, come il branco di rumeni di Guidonia. O come tanti singoli maschi, spesso italiani, che pure stuprano, o rapinano, o ammazzano, eccetera. Il nesso tra una cosa e l’altra va cercato proprio nella caduta di tensione civile, nella rottura di tanti legami sociali, nella disarticolazione dei tessuti comunitari, ma anche nell’incapacità della classe dirigente di apprestare strumenti nuovi di coesione, integrazione e controllo, e di regolare la convivenza con norme efficaci adeguate ai nuovi tempi. Anzi, si ha spesso l’impressione che di questa disarticolazione ci si approfitti, aggiungendo paura a paura, confusione a confusione, e odio a odio.
E’ in questo circolo vizioso che razzismo specifico e inciviltà si fondono e generano mostri ancora peggiori. Servirà uno sforzo più grande, per ritrovare equilibrio e ragione, per spegnere i fuochi orrendi di queste notti sballate.

Gianfranco Bettin

Gianfranco Bettin è autore di diversi romanzi e saggi. Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, Sarajevo, Maybe (1994), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1992; 2007), Nemmeno il destino (1997; 2004, da cui è …