Giorgio Bocca: La lezione di Obama
30 Marzo 2009
La luna di miele fra il presidente Barack Obama e i conservatori di Wall Street e del Pentagono è già finita. "Obama ci ha deluso", dicono i banchieri e i petrolieri. Dio non voglia che Barack Obama faccia la fine dei Kennedy, ma lui sa bene perché sono delusi e lo dice pacatamente, fermamente.
I patrioti della destra, dice, i difensori del libero mercato mi chiedono di assicurare la difesa del Paese, di dare alle nostre forze armate le migliori uniformi, le migliori armi e le tecniche più avanzate. Richiesta sacrosanta, ma ciò non significa che l'industria degli armamenti debba evitare ogni controllo, fare guadagni spropositati. In Iraq abbiamo combattuto e vinto il tiranno Saddam Hussein, ma abbiamo anche raso al suolo città e villaggi solo perché alla Halliburton di Dick Cheney toccasse l'ottimo affare della ricostruzione.
Per anni a Wall Street, nelle banche, si sono cantate le lodi del libero mercato, della finanza creativa, della deregulation. Con quale esito? Una crisi economica peggiore di quella del '29, che cerchiamo di arginare con l'intervento pubblico disprezzato dai conservatori.
Che ne è della finanza creativa? Stiamo ripianando a fatica le perdite colossali che ha provocato con i titoli spazzatura, con i mutui concessi anche a chi non poteva onorarli, con i fallimenti delle immobiliari, con le liquidazioni iperboliche che i manager colpevoli dello sfascio hanno continuato a spartirsi. Ora ci chiedono di non tradire l'America della libera impresa, l'America del rischio e del coraggio.
Come? Lasciando che la General Motors faccia bancarotta, che milioni di disoccupati facciano la fame nelle nostre città? Per decenni i signori di Wall Street e del petrolio ci hanno accusato del delitto peggiore, il comunismo, che attentava all'iniziativa privata. Abbiamo creato le cliniche miliardarie più avanzate del mondo, abbiamo vinto decine di premi Nobel della medicina, ma non abbiamo una sanità pubblica, chi è povero non viene curato. I banchieri e i petrolieri si lamentano del nostro 'comunismo'. Certo vorremmo farla finita con la vergogna di un fisco che ha tartassato la gente comune e favorito spudoratamenlte i ricchi a miliardi.
A noi del vecchio mondo le parole di Obama ai conservatori di casa sua suggeriscono una riflessione sulla necessità etica di qualsiasi forma di economia, che voglia essere civile, non furto e conquista.
Anche da noi ci fu un tempo in cui si pensò che la ricchezza e il progresso potessero ignorare l'etica e le sue responsabilità. Erano i giorni della ‟Milano da bere”, della nuova frontiera verso il denaro facile e la ricchezza per tutti. Un giovane dirigente socialista che si occupava del partito in Lombardia capì che il commercio delle tessere stava dilagando, che il furto diventava una regola e un merito, e pensò di avvertire Bettino Craxi. Il segretario del partito lo ascoltò e poi disse: "Hai ragione, non credere che io ignori ciò che accade nelle sezioni, ma a me la crescita degli iscritti serve per arrivare al potere. Quando al potere ci saremo, allora penserò a far pulizia di ladri e ladruncoli". Non andò esattamente così.
In America Obama come Kennedy sta rischiando la vita.
I patrioti della destra, dice, i difensori del libero mercato mi chiedono di assicurare la difesa del Paese, di dare alle nostre forze armate le migliori uniformi, le migliori armi e le tecniche più avanzate. Richiesta sacrosanta, ma ciò non significa che l'industria degli armamenti debba evitare ogni controllo, fare guadagni spropositati. In Iraq abbiamo combattuto e vinto il tiranno Saddam Hussein, ma abbiamo anche raso al suolo città e villaggi solo perché alla Halliburton di Dick Cheney toccasse l'ottimo affare della ricostruzione.
Per anni a Wall Street, nelle banche, si sono cantate le lodi del libero mercato, della finanza creativa, della deregulation. Con quale esito? Una crisi economica peggiore di quella del '29, che cerchiamo di arginare con l'intervento pubblico disprezzato dai conservatori.
Che ne è della finanza creativa? Stiamo ripianando a fatica le perdite colossali che ha provocato con i titoli spazzatura, con i mutui concessi anche a chi non poteva onorarli, con i fallimenti delle immobiliari, con le liquidazioni iperboliche che i manager colpevoli dello sfascio hanno continuato a spartirsi. Ora ci chiedono di non tradire l'America della libera impresa, l'America del rischio e del coraggio.
Come? Lasciando che la General Motors faccia bancarotta, che milioni di disoccupati facciano la fame nelle nostre città? Per decenni i signori di Wall Street e del petrolio ci hanno accusato del delitto peggiore, il comunismo, che attentava all'iniziativa privata. Abbiamo creato le cliniche miliardarie più avanzate del mondo, abbiamo vinto decine di premi Nobel della medicina, ma non abbiamo una sanità pubblica, chi è povero non viene curato. I banchieri e i petrolieri si lamentano del nostro 'comunismo'. Certo vorremmo farla finita con la vergogna di un fisco che ha tartassato la gente comune e favorito spudoratamenlte i ricchi a miliardi.
A noi del vecchio mondo le parole di Obama ai conservatori di casa sua suggeriscono una riflessione sulla necessità etica di qualsiasi forma di economia, che voglia essere civile, non furto e conquista.
Anche da noi ci fu un tempo in cui si pensò che la ricchezza e il progresso potessero ignorare l'etica e le sue responsabilità. Erano i giorni della ‟Milano da bere”, della nuova frontiera verso il denaro facile e la ricchezza per tutti. Un giovane dirigente socialista che si occupava del partito in Lombardia capì che il commercio delle tessere stava dilagando, che il furto diventava una regola e un merito, e pensò di avvertire Bettino Craxi. Il segretario del partito lo ascoltò e poi disse: "Hai ragione, non credere che io ignori ciò che accade nelle sezioni, ma a me la crescita degli iscritti serve per arrivare al potere. Quando al potere ci saremo, allora penserò a far pulizia di ladri e ladruncoli". Non andò esattamente così.
In America Obama come Kennedy sta rischiando la vita.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …