Terra più calda, diplomazia verde. Le idee di Nicholas Stern.

14 Aprile 2009
Da qualche tempo alcune compagnie americane rifiutano di rinnovare le polizze assicurative ai proprietari di case. Non succede solo dove il rischio uragani è ovvio, come in Florida o in Louisiana: capita anche a Brooklyn. Lì, fra l’Hudson e l’Atlantico, la probabilità di inondazioni future sarebbe considerata troppo alta. In Cina nel frattempo oltre metà dei grandi centri urbani sperimenta problemi di sicurezza degli approvvigionamenti d’acqua. Fra le cause, l’aumento della siccità che erode le falde. La Repubblica popolare ha appena compiuto il sorpasso, ma con gli Stati Uniti resta un testa a testa all’ultima tonnellata di carbonio. Da pochi mesi l’Impero di mezzo è primo produttore di gas a effetto serra, con quasi sette miliardi di tonnellate di CO2 o equivalenti. L’America viene subito dietro ed entrambi staccano nettamente Indonesia e Brasile, rispettivamente terzi e quarti assoluti a causa della loro deforestazione massiccia. L’Italia è molto più indietro: a volte in modo riluttante, fa parte di un’Europa leader mondiale dei piani di taglio alle emissioni. E con la guida del G8, ha un’occasione quasi senza precedenti di pesare nel sistema globale. Il problema, nota Nicholas Stern della London School of Economics, è che l’impatto del carbonio nell’atmosfera sembra peggiore di quello stimato fino a solo due o tre anni fa: la probabilità di un aumento medio delle temperature della Terra di 5 gradi entro il 2050 è del 50% e il costo sarebbe simile a quello di due guerre mondiali: l’ultima volta che la Terra è stata così calda fu nell’Eocene, quando le aree emerse erano soprattutto foreste paludose. Migrazioni di centinaia di milioni di persone e distruzioni di molta della superficie arabile del mondo sarebbero inevitabili. Il costo, fra il 5% e il 20% dell’economia globale ogni anno. Le stime sono contenute negli ultimi due studi di Stern, in questi giorni in uscita in Gran Bretagna, Stati Uniti e in Italia (Un piano per salvare il pianeta, Feltrinelli, e Clima: è vera emergenza, Brioschi). Lord Stern, fisico di formazione, ex capo-economista della Banca mondiale, consulente del governo di Londra e autore del rapporto del 2006 alla base delle idee più accettate sull’effetto serra, non esce in un momento a caso. E più che di concentrazione di particelle o catastrofi a venire, stavolta parla di politica: per dicembre è fissato a Copenaghen quello che lui definisce ‟l’incontro internazionale più importante dalla fine della seconda guerra mondiale”. I Paesi ricchi e emergenti sono chiamati a dare un seguito al protocollo di Kyoto in scadenza nel 2012 con l’obiettivo, se possibile, di limitare le emissioni perché la temperatura non salga di oltre due gradi nel ventunesimo secolo. Decine di Paesi sono invitati. Ma mai come adesso il riscaldamento globale è la prima grande questione del G2, più della stessa crisi finanziaria: Cina e Stati Uniti inquinano abbastanza da poter decidere per tutti, lascia capire Stern. Non che questo sia rassicurante. Il film degli ultimi mesi è una lunga sequenza di equivoci, accuse reciproche, ritorsioni a cavallo di due amministrazioni alla Casa Bianca. L’ultimo incidente è forse il più paradossale: alla fine del mese scorso ad alzare la tensione ci ha pensato Steven Chu. Cinese di origine, premio Nobel per la Fisica del ‘97, il professor Chu è il nuovo segretario all’Energia di Barack Obama, l’ex candidato democratico che nel vincere la nomination su Hillary Clinton annunciò che quello sarebbe passato alla storia come ‟il giorno in cui il livello del mare iniziò a scendere”. Mesi dopo, cioè tre settimane fa, Chu con l’appoggio di Obama ha fatto della questione clima una guerra commerciale con la Cina. Tutto è in una breve clausola nascosta nel progetto di legge sul cosiddetto ‟cap and trade” (il diritto delle imprese che inquinano meno di vendere i propri diritti di emissione di carbonio, così incentivando i sistemi ‟verdi”). Il progetto Chu-Obama dà all’amministrazione il potere di imporre dazi sull’export dei Paesi che non mirino a ridurre l’intensità di carbonio dei loro sistemi produttivi. A Pechino non è sfuggito a chi fosse rivolta quella misura e ha reagito: pochi giorni più tardi, d’improvviso, l’autorità antitrust cinese ha bloccato una grossa operazione di Coca Cola nella Repubblica popolare. ‟Il sistema cap and trade per tagliare le emissioni costa alle imprese e dà ai cinesi un vantaggio sleale - commenta Will Wilkinson del Cato Institute di Washington -. Ma Pechino ha il coltello dalla parte del manico, perché detiene il debito americano. Con questa recessione, non è proprio il momento di ridurre la C02”. Continuano dunque con l’ambientalista Obama gli equivoci dei tempi di George W. Bush, il presidente accusato di essere ostaggio dei petrolieri. Al G8 di Hokkaido, nel luglio scorso, Bush accettò per i Grandi l’obiettivo di ridurre le emissioni del 50% entro il 2050 ‟ma solo se le potenze emergenti faranno altrettanto”. Risposta di Cina, India, Brasile e alleati: colpevoli dell’effetto serra, fino a oggi, sono stati i Paesi ricchi e loro devono sopportare i costi. ‟Non soffocate il nostro sviluppo - è il messaggio - dopo aver inquinato con il vostro”. Qui è lo scontro in preparazione a Copenaghen e il punto in cui Stern ora invoca una ‟leadership italiana” al G8 allargato della Maddalena tra tre mesi. Scrive l’economista inglese: ‟I Paesi sviluppati, dove vive circa un abitante della Terra ogni sei (sarà uno su dieci nel 2050) sono la fonte del 70% delle emissioni accumulate dal 1950. Ma in futuro la maggior parte delle emissioni verrà da quelli che attualmente chiamiamo Paesi in via di sviluppo”. Senza di loro, non c’è soluzione e senza soluzione l’impatto sarebbe inaccettabile: ‟Un ritardo anche di soli cinque o dieci anni a questo punto farebbe aumentare pericolosamente i rischi e lievitare vertiginosamente i costi” per rallentare il surriscaldamento. Quelli che ora prevede la versione aggiornata del rapporto Stern, sono già saliti dall’1% a circa il 2% del prodotto lordo mondiale ogni anno: nuove tecnologie, Borsa globale delle emissioni, sviluppo delle fonti alternative, tasse sui consumi. Easyjet, la compagnia low cost di Londra, offre già ai clienti la ‟possibilità” di pagare con il biglietto un piccolo extra per la loro ‟impronta di carbonio” (da reinvestire in tecnologie verdi). In teoria, è l’opposto della compagnia che non assicurare più un abitante di Brooklyn. Purché fra la Maddalena e Copenaghen, quest’anno, la temperatura fra governi non si arroventi ancora di più.

Un piano per salvare il pianeta di Nicholas Stern

Nato su incarico del governo inglese e reso pubblico alla fine del 2006, l’ormai famoso Rapporto Stern ha fornito la prima ampia indagine sulle conseguenze economiche dei cambiamenti climatici e sull’impatto sociale dei rischi ambientali. Dal momento della sua diffusione, il Rapporto si è imposto c…