Umberto Galimberti: Da Dioniso a Jackson, così il transessuale moltiplica l’identità

02 Novembre 2009
Più o meno tutti sappiamo che nessuno è "per natura" relegato in un sesso. Oggi, sia la biologia sia la psicologia ci dicono che attività e passività sono iscritte nel corpo di ogni individuo e non come termine assoluto legato a un determinato organo sessuale. Ma questa ambivalenza sessuale profonda deve essere ridotta, perché altrimenti sfuggirebbe all’organizzazione genitale e all’ordine sociale. Tutto il lavoro della cultura ha cercato, dall’origine dei tempi, di dissolvere questa realtà irriducibile, per ricondurla alla grande distinzione del "maschile" e del "femminile", intesi come due sessi pieni, assolutamente distinti e opposti l’uno all’altro.
Bisessuali erano le divinità indiane Dyaus e Parusa, egiziane come il dio Bes, greche come Dioniso, Attis, Adone. A differenza dell’uomo, infatti, il dio rappresenta quell’unità primordiale di cui la bi-sessualità è un’espressione. L’unità degli opposti è il suo tratto distintivo che gli umani collocano nel "sacro" (che in sanscrito vuol dire "separato"), da cui gli uomini sono attratti e al tempo stesso si tengono distanti, perché la confusione dei codici non consente la creazione di una società ordinata.
Questa differenza è ben segnalata da Eraclito che in proposito scrive: ‟Il dio è giorno e notte, inverno e estate, sazietà e fame, guerra e pace, e si mescola a tutte le cose assumendo di volta in volta il loro aroma”. ‟L’uomo invece ritiene giusta una cosa e ingiusta un’altra e non si confonde con tutte le cose”. L’indifferenziato è tratto divino da cui l’umano si separa instaurando le differenze che, sole, consentono un ordinato vivere sociale. Di questa evoluzione Platone ce ne dà in proposito una bellissima descrizione nel Simposio.
Da questo punto di vista non possiamo escludere che il transessuale con la sua con-fusione dei codici sessuali, possa costituire un richiamo archetipico a questa unità originaria segretamente custodita nel fondo della nostra natura, e opportunamente rimossa per costruire identità il più possibile definite in cui riconoscersi. Ma oggi abitiamo l’età della tecnica, dove la realtà tende sempre meno a ospitare l’antica differenza tra "natura" e "artificio", perché quando il mondo che abitiamo è il prodotto della nostra costruzione, solo un ritardo linguistico, può chiamare le scene del mondo che abitiamo "artificiali", tenendole distinte da quelle "naturali".
La "natura" e in particolare la "natura umana" hanno cessato da tempo di avere un contenuto preciso, e quindi di valere come referente e come limite. E il corpo del transessuale, prima di essere una deviazione dalla norma, è una conferma della caduta di questo referente. Ma là dove non c’è referente, dilaga la confusione dei codici, dove non è più ravvisabile un limite, una norma, un orizzonte, una misura, un’identità da salvaguardare, differenze da mantenere, per orientarsi in quell’universo di segni che l’immutabilità della natura rendeva possibili discernere e che l’avvento della tecnica, dal modo di nascere al modo di morire, dal modo di essere uomo o donna, persino dal modo di apparire giovani da vecchi, via via cancella, rendendo indiscernibili le differenze, le stagioni della vita umana, e quindi anche le identità sessuali.
Perché l’androginia di Madonna negli anni Ottanta e la più recente androginia di Michael Jackson hanno attratto così tanti fans? Solo per la loro musica o anche per l’oltrepassamento dell’identità sessuale che, a parere di Jean Baudrillard ‟accompagna l’oltrepassamento dell’identità politica, per cui è solo per una finzione che si continua a distinguere una destra o una sinistra, quando in verità lo specchio più fedele è la mutazione in atto che ha fatto del politico un transpolitico e del sessuale un transessuale?”.
‟L’uomo è un animale non ancora stabilizzato”, diceva Nietzsche, e Pascal dal canto suo: ‟L’uomo supera infinitamente l’uomo”. Nessuna obiezione quando il contesto era il mondo dello spirito, ma oggi tutto questo è diventato "corpo" e "carne". Per questo il transessuale ci inquieta, per questo lo teniamo ai margini e ai bordi. Ma la città è già assediata e attraversata da quella direzione e da quel senso che il transessuale indica con il suo stesso corpo: l’abolizione di ogni misura, di ogni limite, di ogni identità, e il progressivo avanzare dell’indifferenziato, da cui l’umanità, temendolo, si era distanziata, relegandolo nel mondo del sacro e del divino, a cui offriva sacrifici, non tanto per propiziarsi i favori degli dèi, quanto per tenerli lontani. Quando Dioniso entra nella città, ci racconta Euripide nelle Baccanti, tutto l’ordine viene sconvolto e ogni misura oltrepassata.
Moltiplicando i segni sessuali, il transessuale moltiplica i giochi, smantella il sesso come primo segno di identità per offrirlo come eccedenza di possibilità, e così configura quella nuova nozione di "individuo", tipico del nostro tempo, che si riconosce solo nella libertà illimitata, senza argini, senza confini, per poi finire col naufragare in quell’indifferenziato che gli uomini hanno immaginato all’origine del mondo, e da cui si sono distanziati per costruire il loro mondo, fatto di volti riconoscibili, per non implodere nella confusione dei codici e dei segni. Se questo è lo scenario, se questo è l’uomo nuovo che stiamo creando, la regressione implicita in questa creazione è la più grave di tutte le regressioni.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …