Paolo Di Stefano: Da Euripide a Ballard, errori e follie nei drammi familiari

02 Aprile 2002
Quanti figli e figlie, quanti padri e madri, fratelli e sorelle ha ucciso la letteratura. A cominciare da Medea. La quale, donna straniera e come tale sospetta, fa fuori i suoi figli per vendicarsi di Giasone che l' ha abbandonata. Euripide, per la verità, è un maestro insuperato nel raccontare truculente stragi familiari. Basti pensare al fatale intreccio tra Fedra, suo marito Teseo e il figliastro Ippolito di cui perdutamente lei si innamora finendo suicida. Basti pensare a Le Baccanti, dove A gave, scambiandolo per un leone, sbrana il figlio Penteo e ne porta il capo in trionfo. Si dirà che tutto sommato l'atrocità viene stemperata dall' errore, provocato dal vendicativo Dioniso. Poco prima, Sofocle aveva narrato le vicende di Edipo, sposo di sua madre Giocasta e giustiziere, ancora una volta involontario, del padre Laio. Niente di involontario nell'orrore consumato da Oreste, che Eschilo vuole, con la sorella Elettra, assassino della madre Clitemnestra, assassina a sua volta del marito Agamennone, accusato di aver offerto in sacrificio agli dèi la figlia Ifigenia. Una carneficina.
La dimensione rovinosa della follia arriverà con Seneca, il quale in Hercules furens mette in scena l'antico eroe invincibile che, impazzito, ucci de figli e moglie prima di rinsavire e tornare ad Atene. Così in Tieste, il drammaturgo latino non trova di meglio che raccontare la furia del tirannico Atreo contro il fratello Tieste, colpevole di averne sedotta la moglie e di averne insidiato il r egno. Il poveraccio sarà indotto a cibarsi delle carni imbandite dei propri figli sacrificati per mano dello stesso Atreo, pronto poi a mostrare al fratello le teste mozzate dei ragazzini. Altro che pulp. Pulp al quadrato la Fedra di Racine, dove Euripide e Seneca si fondono in una spettacolare ecatombe consumata tra malattie, rimorsi, incesti, gelosie, maledizioni.
Per non parlare di Shakespeare: in Amleto, il bilancio degli intrighi e delle incomprensioni è truculento oltre ogni immaginazione: il padre di Amleto ucciso dal fratello Claudio; due intere famiglie sterminate: Ofelia suicida per disperazione; il padre di lei, Polonio, fatto fuori dallo stesso Amleto, che riesce a eliminare anche il fratello di Ofelia, Laerte; la regina Gertrud e avvelenata dal vino destinato al figlio Amleto; infine Amleto, trafitto in duello. Dal Seicento in poi, le turbolenze familiari in letteratura sembrano farsi più sfumate. L'Italia aveva toccato il culmine in alcune novelle del Decameron. Per esempio nella prima della quarta giornata, dove Boccaccio narra la vicenda del principe di Salerno Tancredi, il quale per impedire l'unione della bellissima figlia con il valletto Guiscardo decide di mandarle il cuore del ragazzo in una coppa dorata. Conclusione: la povera Ghismunda vi versa sopra dell'acqua avvelenata e si dà la morte. I sudditi e i cortigiani, intervistati da una ipotetica televisione trecentesca, avrebbero sicuramente parlato di una famiglia «normale», essendo Tancredi, prima de l raptus fatale, «signore assai umano e di benigno ingegno».
Avvicinandoci ai nostri giorni, i conflitti familiari si fanno più sordi e meno spettacolari. Anche se non mancano i delitti. Ne I fratelli Karamazov il circolo vizioso è tutto maschile. Il padre Fedor, libertino e depravato, non è affatto amato dai figli. Della sua morte verrà ingiustamente accusato Mitja, il più ostile, innamorato di una bella ragazza su cui il padre ha messo gli occhi. La ricostruzione giudiziaria sarà fondata su questo movente errato e dall'indagine finiranno per restar fuori i veri colpevoli, il figlio illegittimo ed epilettico Smerdjakov (che confesserà prima di uccidersi) e Ivan, il figlio intellettuale ateo che l'ha plagiato. Non c'è sangue ma in fondo è come se ce ne fosse nella Metamorfosi di Kafka, dove il povero Gregor Samsa trasformato in insetto viene sempre più isolato dalla famiglia fino a morire per una mela lanciatagli dal padre e rimasta conficcata a marcire nella sua schiena. Del resto, i risentimenti del povero Franz verso la figura paterna verranno resi espliciti nella famosa Lettera, in cui lo scrittore, ormai maturo, non riuscirà a nascondere l'inestricabile groviglio prodotto da un colossale senso di colpa. Un decennio prima, circa, D'Annunzio aveva inscenato un parricidio vero e proprio. Ma nella Figlia di Jorio, al contrario che in Kafka, il sangue c'è, però è come se non ci fosse, annacquato nell'eccesso epico-retorico: e si rimane quasi indifferenti quando il giovane Aligi, disgustato nel vedere il padre Lazaro intento a possedere Mila con la forza, non ci penserà due volte prima di accopparlo.
Ben altro effetto avrà il presunto matricidio realizzato dall'«hidalgo» Gonzalo nella Cognizione del dolore: perché maturato in un crescendo di odio, violenza verbale, delirio e claustrofobia mortifera. Ben diverso sarà anche il parricidio collettivo narrato da James Ballard in Un gioco da bambini, agghiacciante apologo contemporaneo. Dove tredici ragazzini che v ivono in un sobborgo residenziale del Berkshire, una mattina di giugno del 1988 decidono, senza un motivo apparente, di eliminare trentadue genitori prima di sparire nel nulla. Un delitto perfetto, degno, a suo modo, di Euripide. E del nostro irragionevole tempo.

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …