Gianfranco Bettin: Da Nordest. Una presunta infelicità

11 Luglio 2002
Al termine di un'interessante inchiesta in più puntate sulla «seconda rivolta del nord» su «Repubblica», Giorgio Lago, che conosce la regione come pochissimi, ha riferito di opinioni e stati d'animo degli imprenditori. A partire da una considerazione: «I sei milioni e mezzo di abitanti nordestini dispongono di un Pil procapite superiore di 20 punti alla media d'Italia e di 22 a quella d'Europa, come ha ribadito in questi giorni la Fondazione Nord Est. Ma il sociologo Ilvo Diamanti, nel chiudere a Venezia la presentazione del rapporto 2002, ha già annunciato che nel 2003 proverà a misurare la presunta «`(in)felicità' del territorio». Delle componenti più profonde di tale «infelicità», esistenziali ed emotive, si è avuta spesso l'occasione di ragionare, a partire dalla troppe vicende tragiche che segnano queste zone del Paese. Anche se l'attenzione generale dedicata dall'insieme della società locale e delle sue istituzioni a tali vicende dura lo spazio di una notizia in cronaca, e rimane poi confinata nell'ambito individuale di chi tali vicende infelici subisce. Vi sono invece altri aspetti di «infelicità», aspetti pubblici, diciamo, sui quali invece si insiste di più. Lago così li riassume, nel pensiero degli imprenditori: «se il sistema delle imprese sgomita nella globalità, il sistema della politica si attesta sull'archeologia». Ben detto, a patto di precisare: la globalità di cui si parla non è altro che la forma planetaria che ha assunto oggi la pretesa delle forze più prepotenti del mercato, dell'industria e della finanza di fare sempre e comunque i propri interessi. Per usare un termine in assonanza con l'idea di «infelicità» sopra evocata, si potrebbe dire che l'arrogante volontà di porre il proprio egoismo, e il business collegato, al centro del mondo ha fatto grandi passi (anche se globale è divenuta ormai anche la protesta contro questa pretesa). Basterebbero, del resto, le dichiarazioni degli imprenditori incontrati da Lago. Con l'eccezione di Mario Carraro, danno tutti l'impressione di non avere la minima idea di cosa significhi il bene pubblico. Al contrario, prevale l'idea che la politica dovrebbe o togliersi di mezzo o stendersi prona davanti ai loro voleri: soprattutto togliere ogni vincolo di natura ambientale e ogni freno di natura sociale. Lamentandosi, inoltre, che Berlusconi e i suoi governatori locali non siano stati (per ora) in grado di assecondarli fino in fondo. Non gli passa neanche per la mente che i loro programmi sollevano ormai tante resistenze perché il territorio non ne può più di usi scellerati e sregolati, che è ormai così consumato e occupato caoticamente, da produrre effetti di contrasto nelle popolazioni coinvolte tali da bloccare anche opere necessarie, specie nelle infrastrutture. E specie quando queste ultime sono pensate senza la minima cura per l'impatto ambientale, si veda, per tutti, il caso clamoroso del completamento della A 28 nel trevigiano, per la quale si è scelta l'ipotesi più devastante malgrado ne esistessero altre assai meno d'impatto. Così anche sul piano sociale: è inutile che gli industriali si lamentino se non si riesce ad avere abbastanza lavoratori immigrati, ben preparati e ben integrati, se continuano ad appoggiare politicamente chi al massimo ne tollera un uso paraschiavistico. La verità è che, per questi aspetti, la politica, con tutti i suoi limiti (che a volte sono i «limiti» della democrazia) è spesso molto più avanti, per consapevolezza e per tentativi di razionalizzare la realtà impazzita di questi territori, di un'imprenditoria che in questi anni in prevalenza ha solo voluto la libertà di fare ciò che voleva. I risultati, davvero «infelici», sono sotto gli occhi di tutti.

Gianfranco Bettin

Gianfranco Bettin è autore di diversi romanzi e saggi. Con Feltrinelli ha pubblicato, tra gli altri, Sarajevo, Maybe (1994), L’erede. Pietro Maso, una storia dal vero (1992; 2007), Nemmeno il destino (1997; 2004, da cui è …