Boris Biancheri: Una guerra che l´Europa non capisce
18 Agosto 2002
La Francia non aveva mai nascosto la sua avversione verso un gesto di forza contro il dittatore iracheno. L'Italia ha fatto comprendere che la solidarietà con gli Stati Uniti non può, per quel che riguarda l'Iraq, considerarsi automatica. Anche il cancelliere tedesco Schroeder ha preso in modo ancor più marcato le distanze da Washington; anzi ha fatto di questo slogan l'inizio della sua campagna elettorale. I sondaggi lo danno distanziato di parecchi punti dal suo rivale Stoiber ed è evidente che egli cerca così di recuperare popolarità in una opinione pubblica che sente il peso del passato e che respinge l'impiego della forza all'esterno. I sentimenti non sembrano molto diversi negli altri paesi europei. Javier Solana, per la politica estera dei Quindici, ha fatto loro eco e anche più esplicito è stato Prodi.
Insomma, che sia di destra o di sinistra, l'Europa è convinta che Saddam sia un criminale pericoloso ma è convinta allo stesso tempo che un attacco all'Iraq, pur militarmente attuabile, sarebbe politicamente anche più pericoloso. Le prese di posizione di leader arabi che certo non possono considerarsi anti-occidentali, come Abdallah di Giordania o Mubarak, rafforzano questa convinzione. Gli americani hanno ripetutamente affermato che non intendono muovere guerra al popolo iracheno ma vogliono rimuovere Saddam dal potere. Ma esiste un modo di farlo senza coinvolgere il popolo iracheno? Se esiste, nessuna, tra le tante, troppe voci che parlano a Washington, ha spiegato come.
Il solo paese europeo che aveva assunto una posizione di comprensione non solo formale ma anche sostanziale verso la via unilateralmente scelta dagli Stati Uniti, è stata sinora la Gran Bretagna. Nulla di sorprendente: a parte le relazioni storiche, a parte le relazioni personali tra Bush e Blair, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno gestito insieme il controllo dell'Iraq e hanno effettuato ripetute azioni aeree sul suo territorio dopo la guerra del Golfo. Ma ora anche Blair sembra dubitare. Gli inglesi, che pure le guerre di solito non spaventano, appaiono perplessi. Alle voci apertamente bellicose se ne contrappongono altre molto più prudenti, sia nel partito laburista sia nella Chiesa anglicana che pure, a differenza di quella cattolica, non ha mai alzato il vessillo della pace ad ogni costo. La Gran Bretagna ama considerarsi l'ago della bilancia tra Europa e America, che riesce a far pendere il piatto a seconda delle proprie convinzioni o interessi. Ma questa volta l'impresa non appare facile: se la guerra irachena ci sarà e la Gran Bretagna si schiererà con l'America, di politica estera europea non si parlerà più per molto tempo; se si allineerà agli altri paesi europei, l'Europa si rafforzerà ma le «relazioni speciali» anglo-americane faranno una povera fine. La speranza è che la guerra non ci sia. Ma per comprendere i labirinti del pensiero di Washington non basta la ragione, ci vuole una Cassandra.
Insomma, che sia di destra o di sinistra, l'Europa è convinta che Saddam sia un criminale pericoloso ma è convinta allo stesso tempo che un attacco all'Iraq, pur militarmente attuabile, sarebbe politicamente anche più pericoloso. Le prese di posizione di leader arabi che certo non possono considerarsi anti-occidentali, come Abdallah di Giordania o Mubarak, rafforzano questa convinzione. Gli americani hanno ripetutamente affermato che non intendono muovere guerra al popolo iracheno ma vogliono rimuovere Saddam dal potere. Ma esiste un modo di farlo senza coinvolgere il popolo iracheno? Se esiste, nessuna, tra le tante, troppe voci che parlano a Washington, ha spiegato come.
Il solo paese europeo che aveva assunto una posizione di comprensione non solo formale ma anche sostanziale verso la via unilateralmente scelta dagli Stati Uniti, è stata sinora la Gran Bretagna. Nulla di sorprendente: a parte le relazioni storiche, a parte le relazioni personali tra Bush e Blair, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno gestito insieme il controllo dell'Iraq e hanno effettuato ripetute azioni aeree sul suo territorio dopo la guerra del Golfo. Ma ora anche Blair sembra dubitare. Gli inglesi, che pure le guerre di solito non spaventano, appaiono perplessi. Alle voci apertamente bellicose se ne contrappongono altre molto più prudenti, sia nel partito laburista sia nella Chiesa anglicana che pure, a differenza di quella cattolica, non ha mai alzato il vessillo della pace ad ogni costo. La Gran Bretagna ama considerarsi l'ago della bilancia tra Europa e America, che riesce a far pendere il piatto a seconda delle proprie convinzioni o interessi. Ma questa volta l'impresa non appare facile: se la guerra irachena ci sarà e la Gran Bretagna si schiererà con l'America, di politica estera europea non si parlerà più per molto tempo; se si allineerà agli altri paesi europei, l'Europa si rafforzerà ma le «relazioni speciali» anglo-americane faranno una povera fine. La speranza è che la guerra non ci sia. Ma per comprendere i labirinti del pensiero di Washington non basta la ragione, ci vuole una Cassandra.
Boris Biancheri
Boris Biancheri (1930-2011) è nato in Italia da padre ligure e da madre di origine russa. Ha girato il mondo e ha trascorso parte della vita in Grecia, Francia, Giappone, …