Paolo Rumiz: I sans papiers del sindaco di Treviso
27 Agosto 2002
Sole alto, caldo boia; davanti al sagrato del Duomo la cattolica Treviso si sbrana sotto gli occhi dei musulmani. «Prova, prova ti, mona, a occupar una moschea! I arabi te taia la gola!». I marocchini sfrattati dalle ruspe guardano il pandemonio ai loro piedi. Non avrebbero mai sperato tanto. Per strada non si parla d´altro. La città che ha sempre cloroformizzato i conflitti si abbandona a risse contradaiole, si estenua in incredibili autoanalisi a cielo aperto. E la razza Piave resta nuda davanti a se stessa e alle sue contraddizioni. Senza più la mediazione della politica. Piazza dei Signori, ore tredici. «Che i vada via! I consuma el nostro gas, la nostra acqua, i porta malattie!» ringhia un pensionato. «Si vergogni - replica un camionista - le piaceva quando gli svizzeri dicevano le stesse cose di noi?». Risposta: «Intanto mi no son più paròn a casa mia». L´altro, imbestialito: «Qua bisogneria investir la tredicesima per comprar un mitra». La temperatura sale, sopraggiungono tre leghisti doc. «La tolleranza fa confusiòn!», sbotta uno.
E un altro: «Che se li prenda la Curia questi signori. I preti sono pieni di case, perché non offrono le loro, invece di predicare solidarietà ad altri?».
Nel suo ufficio, il sindaco Gentilini Gianfranco grida al telefono come Capitan Fracassa. E´ incazzatissimo con tutti: col vescovo, gli industriali, la prefettura. Sono loro che hanno aperto la strada al «complotto comunista» che manda gli stranieri a costruire uno stato nello stato per uccidere l´identità veneta. Ormai, è a fine mandato e lui delle mediazioni se ne fotte. Il podestà-sceriffo ha un credo semplice, elementare e rotondo. Si riassume in un bisillabo: «Fora», fuori. Chi? La risposta è un altro bisillabo: «Lori». Loro. Cioè tutti quelli che non sono «noialtri», la mitica razza Piave.
E´ gasato il sindaco che ha mandato le ruspe contro i marocchini. Non gliene frega niente se Forza Italia e persino An chiedono prudenza. Il suo telefono frigge di congratulazioni. La rocciosa segretaria biondo platino impugna la cornetta come una «P 38». La Destra è in linea. Spara: «Gentilini non mollare», «Sindaco sei un baluardo», «Se cali le braghe, l´Italia è perduta». Interurbane da Cuneo, Milano, Bergamo, Piacenza. Telegrammi da tutto il Nord. Lo sceriffo scintilla di soddisfazione e brillantina. A Radio Padania ha appena cantato la stirpe del Nord, che ha portato «ideali in tutto il mondo, ingoiando rospi e quarantene». Ora inneggia alla legge Bossi-Fini, che metterà le cose a posto.
A settecento metri, a due passi dal ponte Garibaldi sul fiume Sile, anche il presidente degli industriali Sergio Bellato risponde al telefono. Dev´essere un «comunista», perché risponde a chiamate di tutt´altro tenore. In linea ha industriali di tutt´Italia, preoccupatissimi. Dicono: la Bossi-Fini «fa schifo». Hanno paura che saltino le mediazioni. Temono che si consumi uno strappo che blocchi la locomotiva del Nord. Dicono: «Se gli immigrati vanno via, si ferma tutto. Concerie, macelli, allevamenti, tessile, ristorazione, pulitura strade, carrozzerie, servizi, turni di notte». E gli industriali, confessa Bellato, sono stufi di essere sotto processo. «Se facciamo le case per gli immigrati ci accusano di fare ghetti criminali, se non gliele facciamo ci dicono di fare lo scaricabarile».
Anche la Curia non ne può più delle accuse di Gentilini. Per Don Giuliano Vallotto, che ha la delega del vescovo per gli immigrati, gli uomini di Bossi hanno dimostrato di appartenere a «una cultura pagana e fascista». E Lorenzo Biagi, portavoce della Diocesi: Treviso è stata schiacciata dal «cliché» di Gentilini e dal «tappo» della Lega. «Questo sindaco è stato un megafono dei mali di pancia della società e non delle sue più nobili spinte al cambiamento. La realtà è diversa, la provincia è piena di stranieri accettati e integrati. Soprattutto nelle scuole viviamo una fase di grande sperimentazione».
Sul sagrato le donne marocchine spazzano il pavimento con acqua e detersivo; un piccolo atto di rispetto alla città e alla chiesa. Il signor Dafani Mohammed è autista di camion, è da 24 anni in Italia e da 15 anni ha regolare permesso di soggiorno. Spiega in perfetto italiano: «Non vogliamo case gratis. Il problema è che se i datori di lavoro non ci danno una mano, le case sul libero mercato sono inabbordabili per noi». Ha mani grandi, piene di rughe, da spaccalegna. Sembra anche lui una razza Piave. E, occupando il sagrato, non sa di avere rispettato una tradizione locale. Nessuno gli ha mai detto che è dai tempi del Beato Enrico da Bolzano che qui i senza casa vanno a dormire sotto il Portego del Vescovo.
«Fora!», tuona Gentilini dei parassiti. Poi, appena scavi, tutto si rovescia. Sarà magari un caso, l´avranno magari studiata i comunisti, ma l´unico dei 24 sfrattati che non lavora è... l´unico italiano del gruppo. E´ un sardo, tristissimo. Con la barba non fatta, pare il più extracomunitario di tutti. Che tempesta nell´identità di Treviso. «La vera immigrazione che ha rubato l´anima alla città - racconta il giovane storico Alex Casellato - è semmai quella recente dei campagnoli veneti che hanno fatto saltare la leadership della nostra grande borghesia urbana, laica e risorgimentale. Quella razza Piave è morta davvero. E´ stato Gentilini a celebrarle il funerale».
E un altro: «Che se li prenda la Curia questi signori. I preti sono pieni di case, perché non offrono le loro, invece di predicare solidarietà ad altri?».
Nel suo ufficio, il sindaco Gentilini Gianfranco grida al telefono come Capitan Fracassa. E´ incazzatissimo con tutti: col vescovo, gli industriali, la prefettura. Sono loro che hanno aperto la strada al «complotto comunista» che manda gli stranieri a costruire uno stato nello stato per uccidere l´identità veneta. Ormai, è a fine mandato e lui delle mediazioni se ne fotte. Il podestà-sceriffo ha un credo semplice, elementare e rotondo. Si riassume in un bisillabo: «Fora», fuori. Chi? La risposta è un altro bisillabo: «Lori». Loro. Cioè tutti quelli che non sono «noialtri», la mitica razza Piave.
E´ gasato il sindaco che ha mandato le ruspe contro i marocchini. Non gliene frega niente se Forza Italia e persino An chiedono prudenza. Il suo telefono frigge di congratulazioni. La rocciosa segretaria biondo platino impugna la cornetta come una «P 38». La Destra è in linea. Spara: «Gentilini non mollare», «Sindaco sei un baluardo», «Se cali le braghe, l´Italia è perduta». Interurbane da Cuneo, Milano, Bergamo, Piacenza. Telegrammi da tutto il Nord. Lo sceriffo scintilla di soddisfazione e brillantina. A Radio Padania ha appena cantato la stirpe del Nord, che ha portato «ideali in tutto il mondo, ingoiando rospi e quarantene». Ora inneggia alla legge Bossi-Fini, che metterà le cose a posto.
A settecento metri, a due passi dal ponte Garibaldi sul fiume Sile, anche il presidente degli industriali Sergio Bellato risponde al telefono. Dev´essere un «comunista», perché risponde a chiamate di tutt´altro tenore. In linea ha industriali di tutt´Italia, preoccupatissimi. Dicono: la Bossi-Fini «fa schifo». Hanno paura che saltino le mediazioni. Temono che si consumi uno strappo che blocchi la locomotiva del Nord. Dicono: «Se gli immigrati vanno via, si ferma tutto. Concerie, macelli, allevamenti, tessile, ristorazione, pulitura strade, carrozzerie, servizi, turni di notte». E gli industriali, confessa Bellato, sono stufi di essere sotto processo. «Se facciamo le case per gli immigrati ci accusano di fare ghetti criminali, se non gliele facciamo ci dicono di fare lo scaricabarile».
Anche la Curia non ne può più delle accuse di Gentilini. Per Don Giuliano Vallotto, che ha la delega del vescovo per gli immigrati, gli uomini di Bossi hanno dimostrato di appartenere a «una cultura pagana e fascista». E Lorenzo Biagi, portavoce della Diocesi: Treviso è stata schiacciata dal «cliché» di Gentilini e dal «tappo» della Lega. «Questo sindaco è stato un megafono dei mali di pancia della società e non delle sue più nobili spinte al cambiamento. La realtà è diversa, la provincia è piena di stranieri accettati e integrati. Soprattutto nelle scuole viviamo una fase di grande sperimentazione».
Sul sagrato le donne marocchine spazzano il pavimento con acqua e detersivo; un piccolo atto di rispetto alla città e alla chiesa. Il signor Dafani Mohammed è autista di camion, è da 24 anni in Italia e da 15 anni ha regolare permesso di soggiorno. Spiega in perfetto italiano: «Non vogliamo case gratis. Il problema è che se i datori di lavoro non ci danno una mano, le case sul libero mercato sono inabbordabili per noi». Ha mani grandi, piene di rughe, da spaccalegna. Sembra anche lui una razza Piave. E, occupando il sagrato, non sa di avere rispettato una tradizione locale. Nessuno gli ha mai detto che è dai tempi del Beato Enrico da Bolzano che qui i senza casa vanno a dormire sotto il Portego del Vescovo.
«Fora!», tuona Gentilini dei parassiti. Poi, appena scavi, tutto si rovescia. Sarà magari un caso, l´avranno magari studiata i comunisti, ma l´unico dei 24 sfrattati che non lavora è... l´unico italiano del gruppo. E´ un sardo, tristissimo. Con la barba non fatta, pare il più extracomunitario di tutti. Che tempesta nell´identità di Treviso. «La vera immigrazione che ha rubato l´anima alla città - racconta il giovane storico Alex Casellato - è semmai quella recente dei campagnoli veneti che hanno fatto saltare la leadership della nostra grande borghesia urbana, laica e risorgimentale. Quella razza Piave è morta davvero. E´ stato Gentilini a celebrarle il funerale».
Paolo Rumiz
Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …