Giorgio Bocca: Pellegrinaggi senza Dio
29 Agosto 2002
Agosto dei pellegrinaggi senza Dio. Perché le televisisioni dedicano ore
alle interminabili code delle vacanze sulle autostrade? Non per informare, sono
le stesse di tutti gli agosti e guardarle sugli schermi non serve a prevenirle o
a scioglierle perché la formazione delle code dipende dalle quantità ma anche
da misteriose concatenazioni. Le trasmettono per ore perché alla gente le
processioni, i pellegrinaggi, piacciono da millenni: nelle memorie del sangue c'è
quel rito collettivo della grande marcia, quell'invito non rinunciabile di
"è l'ora di partire".
Le ragioni delle vacanze di massa nelle società industriali son note: chiudono le fabbriche e chiude tutto il resto, uffici, negozi, logistica. Nelle città restano solo i vecchi e i poveri e qualche snob che dirà di essersi divertito in quel deserto. Gli altri partono e che i loro viaggi sotto la calura o sotto la pioggia siano una necessità spesso sgradevole non è così facilmente e praticamente spiegabile: il fatto è che quello sgradevole, faticoso, pericoloso gli piace, si ricollega a tradizioni millennarie di processioni o di pellegrinaggi.
La fatica, il pericolo di "è l'ora di partire", fanno parte della loro storia: processioni e pellegrinaggi avevano come componente fondamentale la fatica. La ricerca del sacro, del miracolo doveva essere meritata. I santuari più desiderati erano quasi tutti in alta montagna, vicino ai valichi. Dalla valle di Gressoney la processione d'estate arrivava a Oropa con dieci-undici ore di marcia; quella di San Grato in Valghisenche arrivava al lago sotto il col di Mont; nel cunese il parroco di Dogoini guidava i suoi fedeli, anche donne e vecchi, a Sant' Anna di Vinadio. «Arrivavamo al buio», mi raccontava, «li mettevamo a dormire sotto i portici o sul pavimento della chiesa; io passavo fra di loro recitando il rosario e mi accorgevo dai tanti silenzi che si erano addormentati».
Dei pellegrinaggi e delle processioni sono rimasti negli esodi automobilistici antichi segni: la pazienza delle fatiche collettive, rari i litigi e le prepotenze dei traffici normali, scambi di doni, di aiuti, segni di festosità, i ragazzi che giocano a pallone fra le due pareti di auto ferme. C'erano nei pellegrinaggi e nelle processioni che restano nelle memorie del sangue la fatica, i pericoli superati dal numero di quanti camminavano assieme, ma anche l'attesa del sacro. Oggi questa attesa consiste nelle promesse della distanza, nel rimandare la terra promessa della vacanza oltre la fila lunga dei chilometri con i poliziotti della strada che roteano le palette quasi a dire avanti avanti che ci siete quasi, avanti che è dietro quella curva.
Il luogo sacro c'era nelle processioni e nei pellegrinaggi che cercavano il sacro. Ogni santuario aveva portici e ospizi e campane che suonavano a festa e luminarie di candele sotto cieli stellati. Oggi non è così bello: le pensioncine affollate, le case dei parenti più scomode e meno belle di quelle lasciate in città, spiagge gremite come quelle australi dai pinguini, suoni atroci di discoteche fino all'alba, compensati dal pensiero di aver fatto il nostro viaggio alla Mecca, di aver compiuto il nostro itinerario romeo.
Le indulgenze della modernità non ci liberano da peccati che non sappiamo bene in che consistano, ma per un po' dagli orrori sempiterni delle malattie e della solitudine: siamo ancora vivi e sani, facciamo ancora parte della gente che si muove. Non abbiamo fatto il gran tour dei gentiluomini europei che cercavano il bello. Lo abbiamo appena intravisto dietro il chiassoso brutto che è stato sparso in tutto il paese, abbiamo solo visto di passaggio alcuni simboli del bello quei fantasmi di torri, basiliche, castelli intravisti dalle autostrade. Insomma il nostro millennario cammino per terre e foreste sconosciute lo abbiamo fatto.E la televisione ogni giorno ci ha ripresi.
Le ragioni delle vacanze di massa nelle società industriali son note: chiudono le fabbriche e chiude tutto il resto, uffici, negozi, logistica. Nelle città restano solo i vecchi e i poveri e qualche snob che dirà di essersi divertito in quel deserto. Gli altri partono e che i loro viaggi sotto la calura o sotto la pioggia siano una necessità spesso sgradevole non è così facilmente e praticamente spiegabile: il fatto è che quello sgradevole, faticoso, pericoloso gli piace, si ricollega a tradizioni millennarie di processioni o di pellegrinaggi.
La fatica, il pericolo di "è l'ora di partire", fanno parte della loro storia: processioni e pellegrinaggi avevano come componente fondamentale la fatica. La ricerca del sacro, del miracolo doveva essere meritata. I santuari più desiderati erano quasi tutti in alta montagna, vicino ai valichi. Dalla valle di Gressoney la processione d'estate arrivava a Oropa con dieci-undici ore di marcia; quella di San Grato in Valghisenche arrivava al lago sotto il col di Mont; nel cunese il parroco di Dogoini guidava i suoi fedeli, anche donne e vecchi, a Sant' Anna di Vinadio. «Arrivavamo al buio», mi raccontava, «li mettevamo a dormire sotto i portici o sul pavimento della chiesa; io passavo fra di loro recitando il rosario e mi accorgevo dai tanti silenzi che si erano addormentati».
Dei pellegrinaggi e delle processioni sono rimasti negli esodi automobilistici antichi segni: la pazienza delle fatiche collettive, rari i litigi e le prepotenze dei traffici normali, scambi di doni, di aiuti, segni di festosità, i ragazzi che giocano a pallone fra le due pareti di auto ferme. C'erano nei pellegrinaggi e nelle processioni che restano nelle memorie del sangue la fatica, i pericoli superati dal numero di quanti camminavano assieme, ma anche l'attesa del sacro. Oggi questa attesa consiste nelle promesse della distanza, nel rimandare la terra promessa della vacanza oltre la fila lunga dei chilometri con i poliziotti della strada che roteano le palette quasi a dire avanti avanti che ci siete quasi, avanti che è dietro quella curva.
Il luogo sacro c'era nelle processioni e nei pellegrinaggi che cercavano il sacro. Ogni santuario aveva portici e ospizi e campane che suonavano a festa e luminarie di candele sotto cieli stellati. Oggi non è così bello: le pensioncine affollate, le case dei parenti più scomode e meno belle di quelle lasciate in città, spiagge gremite come quelle australi dai pinguini, suoni atroci di discoteche fino all'alba, compensati dal pensiero di aver fatto il nostro viaggio alla Mecca, di aver compiuto il nostro itinerario romeo.
Le indulgenze della modernità non ci liberano da peccati che non sappiamo bene in che consistano, ma per un po' dagli orrori sempiterni delle malattie e della solitudine: siamo ancora vivi e sani, facciamo ancora parte della gente che si muove. Non abbiamo fatto il gran tour dei gentiluomini europei che cercavano il bello. Lo abbiamo appena intravisto dietro il chiassoso brutto che è stato sparso in tutto il paese, abbiamo solo visto di passaggio alcuni simboli del bello quei fantasmi di torri, basiliche, castelli intravisti dalle autostrade. Insomma il nostro millennario cammino per terre e foreste sconosciute lo abbiamo fatto.E la televisione ogni giorno ci ha ripresi.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …