Enrico Franceschini: Israele, sì alle deportazioni per i parenti dei kamikaze

05 Settembre 2002
Gerusalemme - La discussione è durata oltre un mese, sintomo di forte incertezza. Poi, alle otto di ieri mattina, la Corte Suprema di Israele ha annunciato una sentenza destinata a far discutere a lungo: i nove membri della più alta autorità giudiziaria dello Stato ebraico hanno sostanzialmente avallato il principio della deportazione di cittadini palestinesi imparentati con terroristi e a loro volta sospettati di terrorismo. Le forze armate, che avevano presentato la richiesta di espulsione, sono soddisfatte: "Speriamo che il verdetto abbia valore deterrente contribuendo a dissuadere futuri kamikaze dall´agire, ora che conoscono il genere di rappresaglia a cui sono esposti i loro familiari", commenta un portavoce militare. Gli avvocati della difesa protestano: "Si tratta di una punizione collettiva, una chiara violazione del diritto internazionale e in particolare della Convenzione di Ginevra". A nome dell´Autorità Palestinese protesta anche il capo-negoziatore Saeb Erekat: "Questo è un giorno nero per i diritti umani. La Corte Suprema ha stabilito un precedente pericoloso, che qualcuno potrebbe un giorno usare per proporre la deportazione di massa dei palestinesi dai Territori Autonomi".
Considerata un simbolo di grande equanimità, e con un record di puntuale difesa dei diritti civili, la Corte ha in realtà cercato di adottare una via di mezzo tra le posizioni dell´esercito e della difesa. La richiesta di trasferimento dalla Cisgiordania alla striscia di Gaza (entrambi territori autonomi, ma il secondo più piccolo, circoscritto ed ermeticamente sigillato) riguardava tre palestinesi, imparentati con gli autori di una serie di attentati suicidi avvenuti la primavera scorsa: i giudici hanno autorizzato la deportazione (usando però un altro termine, "riassegnato ad altra residenza") di due degli imputati, ma l´hanno respinta per il terzo. Non solo: la Corte rifiuta la tesi che il trasferimento forzato possa essere adottato come "punizione e deterrente", affermando che esso è possibile solo nei riguardi di palestinesi che risultano "direttamente implicati" in un attacco terroristico e costituiscono una minaccia per la sicurezza di Israele.
Ciononostante, le organizzazioni per i diritti umani sono rimaste deluse: "Speravamo in una sentenza storica, che limitasse in qualunque circostanza la possibilità della deportazione", dicono. "E´ un crimine di guerra", s´indigna l´Autorità Palestinese, che potrebbe inoltrare un ricorso davanti al tribunale internazionale dell´Aja.
Sullo sfondo del verdetto, la violenza continua come sempre. Tre palestinesi hanno perso la vita: due uccisi a Nablus da un colpo di carro armato, uno a Gaza mentre dava l´assalto a un convoglio militare. Dieci palestinesi, tra cui due bambini, sono rimasti feriti durante la demolizione di una casa a Gaza ad opera dei bulldozer militari. Un colono ebreo è stato ferito in un agguato in Cisgiordania. Intanto Hamas, Jihad islamica e Brigate al-Aqsa respingono l´appello del ministro degli Interni palestinese al-Yahaja a interrompere ogni tipo di attacchi e ad adottare una resistenza pacifica: "Finchè dura l´occupazione israeliana - avvertono - proseguirà la resistenza armata". Su di loro, la minaccia di deportazione non ha effetto.

Enrico Franceschini

Enrico Franceschini (Bologna, 1956), giornalista e scrittore, è da più di trent'anni corrispondente dall’estero per “la Repubblica”, per cui ha ricoperto le sedi di New York, Washington, Mosca, Gerusalemme e …