Ryszard Kapuscinsky: Non bastano gli eserciti per combattere il terrorismo
Se supponiamo che la realtà che ci circonda possa essere rappresentata da una piramide, vedremo che nella sua parte più bassa, dove sta il livello che attiene ai rapporti tra gli esseri umani, quello della vita quotidiana, niente o poco è cambiato. La storia ci conferma che le grandi crisi hanno già fustigato l´umanità in passato, permettendole di dimostrare la sua straordinaria resistenza.
Dove sì si sono verificati dei cambiamenti importanti è nei livelli superiori della nostra piramide. In primo luogo, gli avvenimenti dell´11 settembre dimostrano che la distanza di per sé non basta più a garantire la sicurezza. Scopriamo con orrore che la distanza non ci mette più in salvo. Oggi possiamo essere bianchi e tutti vittime degli attacchi terroristici, ovunque nel mondo.
In secondo luogo, l´11 settembre ha dimostrato che non ci sono più santuari nel mondo. E non si tratta soltanto del fatto che tutti possono essere attaccati da tutti, che ogni paese può attaccare un altro paese. Questo pericolo esisteva già molto prima. La novità dell´11 settembre consiste nell´aver dimostrato che esistono nel mondo delle forze che non rappresentano gli interessi di uno Stato determinato, ma che costituiscono, tuttavia, un enorme pericolo anche per i più potenti.
Fino ad oggi, il pensiero strategico era stato fondato sul presupposto che le guerre si combattessero tra Stati. Oggi è cambiata l´immagine del nemico: non veste più una uniforme precisa, cosa che rende più difficile la sua identificazione, e, inoltre, può cagionare danni enormi pur senza possedere carri armati o cannoni. È molto difficile combattere un nemico impossibile da inquadrare e che ha dei piani impossibili da conoscere.
Prima, quando con uno Stato si avevano buoni rapporti, si poteva avere la
quasi certezza che esso non avrebbe costituito un pericolo per noi. Oggi si
possono avere ottimi rapporti politici, economici e culturali con un paese ed
essere vittime di un attacco lanciato dal suo territorio. Ciò è dovuto al
fatto che sono comparse delle forze che non si sottomettono ad alcun centro di
potere, che non rappresentano gli interessi di Stati concreti, ma che sono in
condizione di approfittare del territorio o dell´infrastruttura di un paese per
attaccare un altro. Questa situazione ci conferma che stimo assistendo oramai
alla globalizzazione del male, organizzazioni che agiscono al di fuori delle
strutture degli Stati nazionali. E questo processo non riguarda soltanto il
terrorismo. Tocca anche il narcotraffico, la compravendita delle armi e altri
traffici.
Un terzo cambiamento generato dall´11 settembre è il rafforzamento dell´idea
di Stato, qualcosa di paradossale, visto che il terrorismo persegue sempre il
suo indebolimento. La globalizzazione neoliberale ha anch´essa indebolito molto
il ruolo dello Stato, perché ha favorito le multinazionali, il flusso
illimitato dei capitali e la creazione di mercati finanziari mondiali. In
conseguenza, lo Stato è rimasto in buona misura emarginato. Eppure, l´11
settembre ha dimostrato che nel mondo contemporaneo, le società possono
sentirsi sicure e protette soltanto all´interno degli Stati.
Dopo l´11 settembre - e questo è un altro cambiamento importante - la
globalizzazione è vista in maniera diversa. Finora era prevalsa l´opinione che
fosse una benedizione per l´umanità, qualcosa che ci avrebbe aiutato a
risolvere tutti i problemi. Nel frattempo, ci siamo trovati di fronte, a
sorpresa, le altre e molto diverse facce della globalizzazione, che è un
processo pieno di contraddizioni interne, che può dar luogo a fenomeni
negativi.
Gli avvenimenti dell´11 settembre ci costringono a vedere il mondo con più
serenità ed equanimità. Avrebbero potuto essere persino il punto di partenza
per un´analisi seria e profonda della situazione del mondo. Purtroppo, l´unica
cosa che si è saputa fare è stata una risposta militare ai terroristi. Ci
siamo lasciati ingannare da certi politici che sostengono che se non fosse per
il terrorismo, vivremmo nel migliore dei mondi. Ma la verità è, come ha detto
un opinionista americano, che "il crollo delle Torri Gemelle ha
rappresentato la fine della vacanze che ci eravamo presi dalla storia".
Credo che il terrorismo, sia quello individuale, sia quello che hanno praticato
e che praticano diverse organizzazioni, non sia mai stato una minaccia per il
mondo. Qualcosa di ben diverso è il terrorismo di Stato che hanno praticato e
che praticano i regimi totalitari. Il problema che ora bisogna affrontare è la
dimensione globale del terrorismo. Questa è una novità, perché prima d´ora
è stato sempre praticato da organizzazioni marginali.
Sono stato negli Stati Uniti prima dell´11 settembre. Sono atterrato all´aeroporto
Kennedy di New York, dove dovevo prendere una coincidenza per Washington. Per
mezz´ora ho cercato il gate dove mi dovevo imbarcare. Ho percorso l´aeroporto
da un estremo all´altro e ho avuto l´impressione che se avessi avuto delle
cattive intenzioni, avrei potuto fare qualunque cosa, perché nessuno si era
interessato a me. Prima di arrivare negli Stati Uniti avevo fatto quasi il giro
del mondo e ovunque avevano controllato il mio bagaglio, ma non a New York.
Negli Stati Uniti, tutti sanno che la grande efficacia del sistema nordamericano
si fonda sulla libertà che esso garantisce. Ogni limitazione a questa libertà
- per esempio, un controllo severo delle persone e delle merci alla frontiera -,
sarebbe un freno allo sviluppo. Quante navi, tra le migliaia e migliaia che
attraccano nei porti degli Stati Uniti possono essere controllate? Solo una
piccola percentuale, perché se volessimo controllarle tutte in maniera
minuziosa, provocheremmo la paralisi dell´economia. Ogni limitazione alla
libertà e alla democrazia produce effetti molto negativi sul funzionamento del
capitalismo. Il terrorismo potrebbe essere sradicato completamente in
ventiquattro ore, ma a condizione di insediare un regime totalitario, e questo
non siamo disposti a farlo, perché sappiamo che distruggeremmo la società
civile e la democrazia.
Il conflitto tra la libertà e l´efficacia dei sistemi statali è, oggi come
oggi, il problema più importante non soltanto per gli Stati Uniti, ma per il
mondo intero. Questo è, a mio avviso, una delle sfide più serie che si pongono
per l´umanità nel secolo XXI. Occorre definire le proporzioni ottimali tra la
sicurezza da un lato, e la libertà e il benessere dall´altro, vale a dire,
risolvere un problema che non è ancora stato posto con tutta la chiarezza che
merita. Nel secolo XIX e agli inizi del secolo XX, la libertà e la democrazia
non erano in pericolo. Oggi lo sono, perché la globalizzazione conduce a due
fenomeni sommamente pericolosi. Il primo è la privatizzazione della violenza.
La democrazia e il capitalismo si sono sviluppati in tempi in cui
l´applicazione della violenza era monopolizzata dallo Stato: la violenza aveva
uniformi, armi e distintivi. Oggi chiunque può possedere un´arma e ci sono
centinaia, migliaia di eserciti privati.
In passato, si parlava di un mondo diviso tra Nord e Sud e poi di uno diviso tra
ricchi e poveri. Non molto tempo fa il mondo è stato descritto con la frase
"The west and the rest" (L´Occidente e gli altri). Oggi la parola
West è sostituita dal termine America: "America and the rest".
E si osserva una crescente emarginazione delle organizzazioni internazionali.
Prova di ciò è che l´Onu non svolge più l´importante ruolo svolto nel
passato. Ha perso autorità persino il Consiglio di Sicurezza, che si occupa di
approvare risoluzioni a cui nessuno adempie. In questa situazione non può
stupire che negli Stati Uniti ci sia consenso sul fatto che spetti loro
comportarsi da sceriffo che impone l´ordine. In ragione di ciò, la discussione
non si svolge attorno alla questione se si debba o no svolgere questo ruolo, ma
a come farlo.
Per conoscere quale strada gli Stati Uniti sceglieranno alla fine, occorre
analizzare ciò che dicono i suoi dirigenti. A quanto pare, hanno piena fiducia
nella potenza del proprio paese e delle sue forze armate, con le quali nessuno
può concorrere. Sono convinti che soltanto gli Stati Uniti siano i grado di
portare a termine qualsivoglia operazione militare, in qualsiasi momento ed in
ogni angolo del pianeta. Questo sentimento di forza illimitata che anima i
dirigenti americani non si accompagna sempre con la necessaria conoscenza del
mondo e dei suoi complessi processi. Questa è la ragione per cui coloro che
stanno preparando la guerra contro l´Iraq sono certi che sarà un grande
successo. I militari statunitensi appaiono più obiettivi. Sono stati i loro
analisti a prevedere negli anni Novanta il diffondersi dei conflitti. Sono stati
gli esperti del Pentagono a indicare che lo scontro tra popoli ricchi e poveri,
così come l´assenza di prospettive, avrebbero accumulato strati profondi di
frustrazione, di rabbia e di aggressione che si sarebbero potuti trasformare in
fonti di agitazione molto difficili da controllare.
Ma non si devono perdere le speranze. In primo luogo, l´uomo è dotato di un
forte istinto di autoconservazione e, in secondo luogo, le società, in
generale, solitamente rifiutano le soluzioni estremistiche, radicali e scelgono
la strada della prudenza e della moderazione. Gli estremisti possono raccogliere
sostegno, ma soltanto in ambito locale e per poco tempo. Quando gli uomini
arrivano in un posto dove fino a poco prima si è combattuto, dove ancora sono
visibili le tracce dello scontro, la prima cosa che fanno è ripulire il
terreno, ristabilire l´ordine. Gli uomini, in genere gli anziani, perché i
giovani sono morti nella battaglia, rimuovono le macerie, sigillano con il
cartone le finestre senza vetri e accendono il fuoco. Le donne, intanto, passano
la scopa e cucinano. Tutti insieme ristabiliscono la normalità e questa è la
grande forza dell´umanità.
copyright El País, 2002
traduzione di Guiomar Parada
Ryszard Kapuściński
Ryszard Kapuściński è nato a Pinsk, in Polonia orientale, oggi Bielorussia, nel 1932, ed è morto a Varsavia nel 2007. Dopo gli studi a Varsavia ha lavorato fino al 1981 …