Giulietto Chiesa: Tocca a Putin

26 Ottobre 2002
Vladimir Putin è in mezzo al guado più difficile della sua presidenza, e probabilmente della sua vita. E' lui l'ostaggio principale del teatro di una periferia di Mosca. Noi non sappiamo - nessuno lo sa, ma lui lo sa sicuramente, o, come minimo, ha dei sospetti fondati - chi lo ha chiuso in quell'angolo. E quindi non possiamo prevedere quali mosse farà per uscirne, supposto che possa. Ha detto, piuttosto sibillinamente, che è una centrale del terrorismo internazionale quella che manovra l'operazione. Non l'ha nominata - ed è molto significativo che abbia deciso di non nominarla - ma gli si può credere. E' quello che alcuni osservatori più avvertiti ritengono. Ma è qui uno snodo delicatissimo. E' al Qaeda?
Se fosse stata, semplicemente, al Qaeda, perché non dirlo? Forse ce lo dirà lui stesso nei prossimi giorni, nelle prossime ore, ma non l'ha detto subito. Segno che sta riflettendo su alcune ipotesi, non su una sola. Ipotesi complesse.
Quello che balza agli occhi, però, immediatamente, è che tutte le forze belliciste, italiane e statunitensi, si sono affrettate a individuare Osama bin Laden come il regista. Ma è banale propaganda, non analisi.
Io penso che Putin ne sappia più di loro, e invito a seguire le sue mosse, le sue dichiarazioni, con la massima attenzione, nelle prossime ore. E non solo a Mosca, dov'è il teatro più terribile e drammatico, ma anche a New York, nel palazzo delle Nazioni unite.
Infatti sono gli stessi propagandisti di guerra che hanno subito stabilito un legame tra le due cose: se è stato ad architettare l'assalto di Mosca, allora Putin non potrà negare l'autorizzazione all'attacco su Baghdad. Naturalmente anche questa è propaganda di guerra, perché oscura il dato che non ci sono prove di legami tra Iraq e Osama. Ma è rivelatore di una logica. E se una logica cosi miserabile alberga in animi servili, non si vede perché non dovrebbe albergare anche negli animi dei loro padroni.
In realtà Vladimir Putin cammina sui carboni ardenti, ed è per questo che non dice sciocchezze. Affermare - com'egli ha fatto - che il problema ceceno è divenuto un problema internazionale non è cosa di poco conto per un presidente russo che fu eletto in base a un programma di vittoria militare e definitiva sugli indipendentisti e sulla proclamazione secca e inequivocabile che il problema ceceno era un problema "interno".
Affermare che era un problema interno significava trascurare imperdonabilmente il dato che la Cecenia rappresentava un'area di "interesse petrolifero" di primaria importanza per gli interessi statunitensi e turchi sul bacino del Mar Caspio. E che, quindi, mantenere in guerra la Cecenia era la classica fava che consentiva di prendere due piccioni: indebolire la Russia fino a farle perdere il Caucaso intero; costringere tutti i paesi che si affacciano sul Mar Caspio a scartare l'ipotesi di far confluire le loro quote di petrolio verso gli utilizzatori occidentali attraverso una Russia lacerata dalla guerra intestina.
La resistenza cecena non avrebbe potuto reggere contro l'esercito russo, per tanti anni, se non fosse stata alimentata, armata, finanziata da forze esterne. Tra questi "amici" dei ribelli ceceni vi furono per parecchio tempo anche emissari di Washington, o, per loro conto e per conto proprio, quelli di Ankara e di Ryiad. Adesso , quando gli Stati uniti hanno finalmente risolto il problema (o credono di averlo risolto) con la conquista del corridoio afghano, quando cioè la Cecenia non è per loro così interessante come prima, ecco che altri "amici" dei ceceni diventano dominanti.
Colpiscono quelle donne in nero, col volto velato. In tanti anni di visite nel Caucaso e in Cecenia, non mi era mai capitato di vedere donne a volto coperto e in nero. Cosa significa? Può significare soltanto una cosa: che il fondamentalismo e i suoi dollari hanno aperto brecce grandi nella resistenza cecena.
Altrettanto ambiguo è il significato dell'"azione suicida". Budionnovsk non aveva niente di "suicida". Niente nelle guerre cecene fino ad ora era suicida. Ma tutto ha l'aria - anche - di una macabra messa in scena, dove inediti kamikaze fanatici, che credono di perseguire i loro scopi, servono anche, contemporaneamente, ad altri scopi. Senza saperlo, naturalmente.
Alla luce di queste considerazioni la posizione della Russia alle Nazioni unite, ieri - dura, inequivocabilmente ostile a un intervento armato contro Saddam Hussein - sembra dire che Vladimir Putin ha capito.

Giulietto Chiesa

Giulietto Chiesa (1940) è giornalista e politico. Corrispondente per “La Stampa” da Mosca per molti anni, ha sempre unito nei suoi reportage una forte tensione civile e un rigoroso scrupolo …