Giorgio Bocca: Caro Ciampi l'unità non c'è
21 Novembre 2002
La storia non ci divide più, dice il presidente Ciampi. E dice, per amor di
patria, una cosa sbagliata e fuori tempo. È dall'aprile del '45 che prima la
luogotenenza monarchica poi la Repubblica hanno ridato ai cittadini italiani la
facoltà di vivere assieme, di essere eletti nello stesso parlamento di avere
pari diritti e pari garanzie anche per via dell'opportunismo elettorale che
indusse il democristiano Alcide De Gasperi e il comunista Palmiro Togliatti ad
amnistiare i fascisti di Salò per averne il voto nel referendum istituzionale,
per far vincere la Repubblica e poi per governare.
L'intento del presidente della Repubblica, l'unione dei cittadini italiani, sarà un nobile intento ma non è di quelli che si ottengono per ordine o per desiderio: o ci sono o non ci sono, e se non ci sono, almeno nel nostro caso, è per ragioni profonde che non possono essere cancellate.
La convivenza delle due Italie si stabilì di fatto nell'immediato dopoguerra: i conti vennero liquidati nelle tempestose giornate della liberazione, l'epurazione fu una commedia all'italiana, che solo un uomo di teatro come Giannini cercò di drammatizzare e poi la Chiesa accolse tutti sotto il suo grande mantello come si racconta in "Peppone e don Camillo" di Giovannino Guareschi.
Allora perché diciamo che c'è qualcosa che ci divide ancora? Ci divide la memoria della divisione insanabile che ci fu tra la Resistenza e il fascismo nazista fino all'ultimo alleato del nazismo e ci divide il rischio non così assurdo che questa divisione in qualche modo si riformi.
Nessuno, neppure un patriota gentiluomo come Ciampi, può chiederci di ammettere che noi partigiani e i fascisti di Salò eravamo la stessa cosa e nessuno può chiederci di chiudere gli occhi sulla voglia di autoritarismo, sulla nostalgia di autoritarismo che serpeggia nel paese: le decine di amministrazioni che intitolano piazze e vie a personaggi della dittatura, il revisionismo storico che trasforma noti torturatori e aguzzini in cavalieri dell'onore, i rappresentanti della Lega che si uniscono ai fascisti di Forza nuova, la rivincita degli ex fascisti ancora fascisti ritornati in forza nei giornali e nella televisione, l'operazione di contrabbandare nell'informazione scampoli di fascismo e di far passare come anticomunismo la denigrazione della Resistenza sono un dato di fatto di fronte al quale la vigilanza e la reazione dei partiti che si dicono democratici appare sempre più debole e accomodante.
Si finge anche dai partiti democratici che questo sia in Italia e nel mondo un periodo normale. E invece è un periodo di mutamento che mette in crisi la democrazia nell'universo mondo e fa ogni giorno scempio del diritto internazionale.
Sono in corso guerre non dichiarate, le grandi potenze ignorano le Nazioni Unite, dovunque sorgono zone di "non legge" dove i prigionieri non hanno né nomi né garanzie, arrestati in ogni parte del mondo dietro accordi delle polizie e non dei governi. Un aereo della Cia senza pilota colpisce con un missile in territorio yemenita un'auto di presunti terroristi, nessuno sa se il governo dello Yemen Stato sovrano sia consenziente, nessuno spiega come un servizio segreto abbia una base a Gibuti e prenda decisioni militari e politiche.
Si diffonde una concezione gangsteristica dei rapporti fra le nazioni. E se si obietta che sono cose che accadevano già nell'Africa orientale ai tempi di Mussolini e in Germania ai confini con la Polonia non si dice qualcosa di tranquillizzante: il ritorno a quei tempi e a quei metodi giustifica i timori di una ripetizione.
Si consiglia ai nostri reggitori una rivisitazione degli anni in cui i moderati italiani aprirono le porte al fascismo. Le somiglianze sono impressionanti.
L'intento del presidente della Repubblica, l'unione dei cittadini italiani, sarà un nobile intento ma non è di quelli che si ottengono per ordine o per desiderio: o ci sono o non ci sono, e se non ci sono, almeno nel nostro caso, è per ragioni profonde che non possono essere cancellate.
La convivenza delle due Italie si stabilì di fatto nell'immediato dopoguerra: i conti vennero liquidati nelle tempestose giornate della liberazione, l'epurazione fu una commedia all'italiana, che solo un uomo di teatro come Giannini cercò di drammatizzare e poi la Chiesa accolse tutti sotto il suo grande mantello come si racconta in "Peppone e don Camillo" di Giovannino Guareschi.
Allora perché diciamo che c'è qualcosa che ci divide ancora? Ci divide la memoria della divisione insanabile che ci fu tra la Resistenza e il fascismo nazista fino all'ultimo alleato del nazismo e ci divide il rischio non così assurdo che questa divisione in qualche modo si riformi.
Nessuno, neppure un patriota gentiluomo come Ciampi, può chiederci di ammettere che noi partigiani e i fascisti di Salò eravamo la stessa cosa e nessuno può chiederci di chiudere gli occhi sulla voglia di autoritarismo, sulla nostalgia di autoritarismo che serpeggia nel paese: le decine di amministrazioni che intitolano piazze e vie a personaggi della dittatura, il revisionismo storico che trasforma noti torturatori e aguzzini in cavalieri dell'onore, i rappresentanti della Lega che si uniscono ai fascisti di Forza nuova, la rivincita degli ex fascisti ancora fascisti ritornati in forza nei giornali e nella televisione, l'operazione di contrabbandare nell'informazione scampoli di fascismo e di far passare come anticomunismo la denigrazione della Resistenza sono un dato di fatto di fronte al quale la vigilanza e la reazione dei partiti che si dicono democratici appare sempre più debole e accomodante.
Si finge anche dai partiti democratici che questo sia in Italia e nel mondo un periodo normale. E invece è un periodo di mutamento che mette in crisi la democrazia nell'universo mondo e fa ogni giorno scempio del diritto internazionale.
Sono in corso guerre non dichiarate, le grandi potenze ignorano le Nazioni Unite, dovunque sorgono zone di "non legge" dove i prigionieri non hanno né nomi né garanzie, arrestati in ogni parte del mondo dietro accordi delle polizie e non dei governi. Un aereo della Cia senza pilota colpisce con un missile in territorio yemenita un'auto di presunti terroristi, nessuno sa se il governo dello Yemen Stato sovrano sia consenziente, nessuno spiega come un servizio segreto abbia una base a Gibuti e prenda decisioni militari e politiche.
Si diffonde una concezione gangsteristica dei rapporti fra le nazioni. E se si obietta che sono cose che accadevano già nell'Africa orientale ai tempi di Mussolini e in Germania ai confini con la Polonia non si dice qualcosa di tranquillizzante: il ritorno a quei tempi e a quei metodi giustifica i timori di una ripetizione.
Si consiglia ai nostri reggitori una rivisitazione degli anni in cui i moderati italiani aprirono le porte al fascismo. Le somiglianze sono impressionanti.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …