Gianni Rossi Barilli: Aids, un registro che non convince
03 Dicembre 2002
"Mi piacerebbe fare un sondaggio tra gli italiani con la
seguente domanda: `Se fossi sieropositivo, ti fideresti che i tuoi dati
personali finissero in un elenco nazionale delle persone che hanno contratto l'Hiv?'.
Chissà quali sarebbero le risposte". Se lo chiede ironicamente (pensando
che i sì non sarebbero certo la maggioranza) il deputato Ds Franco Grillini,
manifestando tutte le sue perplessità in merito alla proposta di istituire un
registro nazionale delle persone sieropositive, rilanciata con molta convinzione
in questi giorni dai medici della commissione nazionale Aids e valutata
positivamente anche dal ministro della salute Sirchia. L'infettivologo Mauro
Moroni, uno dei maggiori esperti di Aids in Italia, sostiene che il registro dei
sieropositivi è indispensabile per raccogliere informazioni utili a combattere
la diffusione dell'Hiv e assicura che con le tecnologie oggi disponibili la
privacy è garantita. "Esistono strumenti informativi - ha dichiarato - che
permettono di trattare i dati senza che nessuno, nemmeno chi li studia, possa
risalire alla persona". Sarà, ma a non fidarsi sono in parecchi, mentre si
attende un illuminante parere da parte del garante della privacy. "Le
motivazioni della proposta - spiega Grillini - possono anche essere fondate da
un punto di vista scientifico, e in effetti già esistono registri del genere
per altre malattie infettive. Il problema è che l'Hiv non è un virus qualunque
e che le persone sieropositive sono già abbastanza spesso oggetto di
discriminazioni. Servirebbero quindi vere garanzie, che al momento non mi pare
ci siano, su come i dati contenuti in questo famoso elenco verrebbero gestiti,
da chi, con quali possibilità di accesso e con quali meccanismi di
salvaguardia".
Piuttosto preoccupato si definisce anche Filippo Manassero, portavoce nazionale della Lega italiana per la lotta all'Aids, che pure, come altre associazioni, riconosce un'utilità pratica all'istituzione del registro. "Quello che mi sembra più allarmante - afferma - è il clima politico nel quale questa discussione sta avvenendo, molto segnato da tentazioni sempre più forti di controllo sociale. La cosa riguarda già anche il tema dell'Aids. Mi riferisco per esempio ad alcuni piani sanitari regionali, come quello del Lazio, dove al capitolo Aids si mette all'ultimo posto l'attività di prevenzione così come la conosciamo e si parla più volentieri di individuazione delle persone sieropositive e di controllo dei comportamenti. Si dicono cose ambigue e poco chiare, che in pratica possono avere soltanto l'effetto di allontanare ulteriormente le persone dai servizi sanitari. E teniamo presente che già oggi la maggior parte delle persone infettate dall'Hiv non sa di esserlo perché non va a fare il test".
Del rischio di un effetto boomerang parla anche il presidente nazionale di Arcigay Sergio Lo Giudice, secondo il quale le informazioni finora diffuse hanno soltanto fatto aumentare i timori di una schedatura di massa.
La notifica obbligatoria dei casi di sieropositività (premessa indispensabile alla creazione del registro) esiste già in diverse regioni italiane, nel quadro di una sperimentazione avviata qualche anno fa con il consenso della consulta delle associazioni del volontariato che si occupano di Aids. Un registro nazionale, si dice, porrebbe maggiori problemi, ma la questione vera appare la scarsissima fiducia nei confronti del potenziale uso delle informazioni da parte delle autorità pubbliche.
Piuttosto preoccupato si definisce anche Filippo Manassero, portavoce nazionale della Lega italiana per la lotta all'Aids, che pure, come altre associazioni, riconosce un'utilità pratica all'istituzione del registro. "Quello che mi sembra più allarmante - afferma - è il clima politico nel quale questa discussione sta avvenendo, molto segnato da tentazioni sempre più forti di controllo sociale. La cosa riguarda già anche il tema dell'Aids. Mi riferisco per esempio ad alcuni piani sanitari regionali, come quello del Lazio, dove al capitolo Aids si mette all'ultimo posto l'attività di prevenzione così come la conosciamo e si parla più volentieri di individuazione delle persone sieropositive e di controllo dei comportamenti. Si dicono cose ambigue e poco chiare, che in pratica possono avere soltanto l'effetto di allontanare ulteriormente le persone dai servizi sanitari. E teniamo presente che già oggi la maggior parte delle persone infettate dall'Hiv non sa di esserlo perché non va a fare il test".
Del rischio di un effetto boomerang parla anche il presidente nazionale di Arcigay Sergio Lo Giudice, secondo il quale le informazioni finora diffuse hanno soltanto fatto aumentare i timori di una schedatura di massa.
La notifica obbligatoria dei casi di sieropositività (premessa indispensabile alla creazione del registro) esiste già in diverse regioni italiane, nel quadro di una sperimentazione avviata qualche anno fa con il consenso della consulta delle associazioni del volontariato che si occupano di Aids. Un registro nazionale, si dice, porrebbe maggiori problemi, ma la questione vera appare la scarsissima fiducia nei confronti del potenziale uso delle informazioni da parte delle autorità pubbliche.
Gianni Rossi Barilli
Gianni Rossi Barilli, nato a Milano nel 1963, giornalista, partecipa da vent’anni alle iniziative del movimento omosessuale, come militante, scrivendo, discutendo e anche litigando. Ha lavorato a “il manifesto” dal …