Ryszard Kapuscinski: Se l´Europa non è più il centro del mondo
Eppure, nonostante questa diversità appaia quotidianamente ai nostri occhi, la mentalità umana continua a opporre resistenza a comprendere e accettare tale eterogeneità. La nostra mentalità rivela una tendenza assolutistica e standardizzante, richiede monotonia e uniformità in ogni cosa e in ogni luogo, la nostra cultura e i nostri valori sono gli unici che contano. Riteniamo che siano i soli perfetti e universali, senza però chiedere agli altri come la pensano.
È proprio qui che sta la grande contraddizione, la contraddizione tra la sostanziale diversità, obiettivamente esistente, e l´ostinato desiderio della mente umana di sostituirla con la visione di un mondo unificato, indiscutibilmente omogeneo. Quanti conflitti, incluso i più sanguinosi, affondano le radici in questa inconciliabile contraddizione!
Com´era la situazione in passato? Senza andare troppo indietro negli anni,
negli ultimi cinque secoli, dai giorni dei viaggi di Colombo, c´è sempre stato
un certo "equilibrio disequilibrato" che ha caratterizzato la
situazione culturale mondiale. Nel corso di questi ultimi cinque secoli il
nostro pianeta è stato dominato dalla cultura europea e i suoi modelli, i suoi
limiti e simboli sono stati criteri universali applicati a tutti. L´Europa ha
governato il mondo non solo politicamente ed economicamente, la sua cultura è
stata il punto di riferimento e metro di valutazione per tutte le altre culture.
Bastava essere vicini alla cultura europea, bastava essere europeo, nato o
naturalizzato, per sentirsi il padrone, il signore del maniero, il custode del
mondo. Per questo l´europeo non aveva bisogno di altre qualifiche, né di
acquisire nuove conoscenze o di affinare mente e carattere. Ho ancora osservato
questa tendenza negli anni Cinquanta e Sessanta in Africa e in Asia. Un europeo
che nel proprio paese d´origine era una persona qualsiasi, tenuta in scarsa
considerazione, fors´anche incompetente, quando arrivava in Malesia o in Malawi,
diventava improvvisamente un alto commissario, il presidente di una grande
azienda, il direttore di un ospedale o di una scuola. I nativi obbedivano
docilmente ai suoi ordini, ansiosi di assimilare le sue osservazioni e teorie.
Nel Congo Belga, le autorità coloniali crearono una categoria, i cosiddetti
évolué, che comprendeva tutti coloro che avevano abbandonato la condizione
tribale "selvaggia" ma che non meritavano ancora di essere considerati
europeizzati. Gli évolué erano qualcosa a metà, una via di mezzo. Bruxelles
caldeggiava la speranza che grazie agli sforzi, agli investimenti, alla pazienza
e alla buona volontà sarebbero riusciti un giorno a scalare la vetta dell´"Europeità",
ossia le vette dell´umanità. Nel suo splendido libro: Portrait du Colonisé
précédé du Portrait du Colonizateur, Albert Memmi descrive il processo
doloroso e umiliante a cui sono stati sottoposti gli évolué.
Il ventesimo secolo non è stato solo un secolo di sistemi totalitaristici e
guerre. È stato anche il secolo della decolonizzazione, di un grande processo
di liberazione. Tre quarti degli abitanti della terra si sono liberati dal giogo
coloniale e, almeno ufficialmente, sono diventati cittadini del mondo a pieno
titolo. Non si è mai verificato un evento simile nel corso della storia, né
mai si ripeterà.
Nel giudicare la decolonizzazione, l´opinione contemporanea si è focalizzata
sugli aspetti politici ed economici, su questioni quali: i sistemi di governo
nei nuovi stati, gli aiuti internazionali, i debiti o la lotta contro la fame.
Allo stesso tempo, il grande processo di liberazione dei paesi assoggettati ha
rappresentato uno straordinario fenomeno di civilizzazione che ha segnato
l´inizio di un mondo multiculturale interamente nuovo. Naturalmente, le
differenze culturali sono sempre esistite. L´archeologia, l´etnografia, la
storia tramandata oralmente o scritta ci hanno fornito per anni infinite prove
della loro ricchezza e varietà. Ma in tempi più recenti la dominazione della
cultura europea è stata così prepotente che le culture non europee, quali
quella araba e la cinese, si sono trovate in uno stato di torpore e ibernazione
mentre la cultura bantu e quella andina sono state totalmente marginalizzate ed
ignorate.
Il primo attacco a questo monopolio eurocentrico, a questa dilagante e quasi
completa dominazione della cultura europea, ha avuto luogo agli inizi dell´era
della decolonizzazione, precisamente alla metà del ventesimo secolo. Questo
movimento verso l´acquisizione di pari diritti e il riconoscimento della loro
importanza, del loro valore e della loro unicità e della loro forza, è stato
soffocato e contenuto per più di quattro decenni dalla Guerra Fredda.
Eppure, nonostante i condizionamenti e gli ostacoli, queste culture non-europee,
appena rivitalizzate e ancora debolmente radicate, sono riuscite a sopravvivere,
a evolversi e prendere coscienza di sé. Come risultato, con la fine della
Guerra Fredda, si sono dimostrate indipendenti e dinamiche tanto da poter
passare allo stadio successivo, attualmente in corso, che vorrei descrivere come
lo stadio di una maggiore coscienza di sé, di un intensificato senso del
proprio valore e di una palpabile ambizione a giocare un ruolo importante in un
mondo nuovo, democratico, multiculturale.
Quali enormi cambiamenti hanno avuto luogo nel mondo al di fuori dell´Europa!
Un tempo, l´Europa, per mezzo delle sue istituzioni e dei suoi abitanti, era
saldamente insediata in questo mondo. Grazie a questo, se si viaggiava fino ai
più lontani angoli del mondo, si aveva come l´impressione di non aver mai
lasciato l´Europa. L´Europa era ovunque! Se atterravo a Morondova in
Madagascar, trovavo un hotel europeo ad attendermi. Sull´aereo da Salisburgo a
Fort Lamy, i piloti della compagnia di bandiera erano europei. In edicola a
Lagos potevo comprare il Times di Londra o l´Observer. Queste cose oggi non
sono più possibili. A Morondova c´è solo un hotel, il Malagasy, i piloti sono
africani e a Lagos si può comprare unicamente la stampa nigeriana. I
cambiamenti nelle istituzioni culturali sono ancora maggiori. Nelle Università
di Kampala, Varanasi (Benares) o Manila i professori europei sono stati
sostituiti dagli accademici locali, per la prima volta i libri in arabo hanno
decisamente predominato al salone del Libro de Il Cairo.
Il termine "internazionale" ha un significato in Europa e un altro nel
Terzo Mondo. Ad esempio, se guardo la pagina internazionale del telegiornale a
Gaborone, la capitale del Botswana, mi troverò di fronte a notizie dal
Mozambico, Swaziland, Zaire, niente di più. Se lo guardo a La Paz, la capitale
della Bolivia, i servizi tratteranno notizie dall´Argentina, dalla Colombia e
dal Paraguay. Il mondo è diverso ed è inteso in modo diverso in ogni angolo
della terra. Se non accettiamo questa semplice verità è difficile comprendere
il comportamento degli altri, i motivi e gli scopi delle loro azioni. Tuttavia,
nonostante i progressi nei trasporti e nelle telecomunicazioni e i miti assai
diffusi, la nostra reciproca familiarità continua a essere superficiale, per la
maggior parte inesistente. Un difensore della rivoluzione mediatica, Marshall
McLuhan, credeva che grazie alla televisione il pianeta sarebbe diventato un
villaggio globale. Oggi sappiamo che è difficile trovare una metafora più
falsa. Perché l´essenza di un villaggio è soprattutto la vicinanza e
l´affinità emotiva, una condivisione di calore umano, di intima familiarità,
una comunità di esistenze ed esperienze condivise.
No, non viviamo in un villaggio globale, piuttosto in una metropoli globale, un
magazzino o un deposito dove la "folla leonina" di David Riesman si
accalca, una folla di gente indifferente, nervosa che si sfiora, che non vuole
conoscersi o avvicinarsi. La verità è che più si stringono i contatti
elettronici tra le persone più si allontanano i contatti umani.
La presenza europea sta scomparendo da molte zone del pianeta. Il noto
giornalista italiano Riccardo Orizio lo scorso anno ha pubblicato un libro
intitolato Tribù bianche perdute. Viaggio tra i dimenticati in cui parla degli
ultimi gruppi di europei da lui incontrati in Sri Lanka, Giamaica, Haiti,
Namibia e Guadalupa. In genere si tratta di persone anziane e sole perché i
giovani se ne sono andati e dall´Europa non arriva più nessuno. Negli ultimi
decenni, l´Europa e la sua cultura hanno attinto da zone che tradizionalmente
appartenevano a culture diverse: cinese, indù, islamica e africana. Con la
mancanza di interessi politici e soprattutto economici, l´Europa non ha ancora
trovato nuove motivazioni per continuare ad essere presente e coesistere con
queste civiltà. Il suo posto non è però rimasto vuoto. Molte culture locali,
autoctone, fervide e agguerrite la stanno già rimpiazzando.
Durante gli ultimi tre anni, ho trascorso lunghi periodi in Asia, Africa e
America Latina. Ho vissuto tra cristiani in America Latina, islamici in Asia,
indiani buddisti e animisti di Puno e indù, tra gli abitanti della Guyana e del
Sudan. Li avevo incontrati per la prima volta alcune decine d´anni or sono,
quando a fatica iniziavano a sollevarsi da secoli di dipendenza. Cos´è che mi
ha colpito? Cos´è che ha catturato la mia attenzione?
Questo: il loro atteggiamento ora è caratterizzato dalla dignità, dall´orgoglio
per la propria cultura e dal senso di appartenenza a una civiltà propria e
distinta. Ormai non soffrono più di alcun complesso di inferiorità, un tempo
così ovvio e opprimente. Al contrario, un desiderio di essere rispettati ed
essere considerati alla pari. Un tempo l´essere europeo mi garantiva
innumerevoli privilegi. Continuo a trovare una calda accoglienza, ma ora non ho
più alcun privilegio. Una volta mi facevano domande sull´Europa, ora non più.
Ora sono occupati dalle loro incombenze e dalle loro preoccupazioni. Sono ancora
un europeo, ma un europeo detronizzato.
Questa rivoluzione in fatto di dignità e di riconoscimento del valore di sé è
avvenuta velocemente, ma non improvvisamente, non da un giorno all´altro. Come
ha fatto l´Occidente a non rendersene conto? Perché l´Occidente invece di
considerare cosa stava accadendo nel mondo che aveva dominato per oltre cinque
secoli ha ceduto alle tentazioni del consumismo e al fine di goderselo
completamente si è isolato e si è chiuso in se stesso, diventando indifferente
a qualsiasi cosa accadesse al di fuori dei suoi confini. È questo il motivo per
cui l´Occidente non è riuscito a capire che fuori stava nascendo un mondo
nuovo: ieri colpito duramente e sottomesso, oggi sempre più indipendente,
orgoglioso, agguerrito nella lotta per la sua libertà. Il processo di
isolamento dell´Occidente dai paesi poveri sottosviluppati è stato
recentemente descritto dall´ottimo giornalista francese J.C. Rufin nel suo
libro L´Empire et les nouveaux barbares. Rupture Nord-Sud. L´Occidente, scrive
Rufin, vuole prendere le distanze dai "barbari", vuole chiudersi come
Roma all´interno di confini murati a calce o serrarsi in un regime di
apartheid, dimenticando che oggi questi "barbari" sono più dell´ottanta
per cento dell´umanità! La prima reazione alla rinascita che il Terzo Mondo
sta vivendo è una presa di distanza da esso. Ma dove ci porterà questo strada
di sospetto e malanimo, in un mondo colmo fino all´orlo di armi alla portata di
tutti? Il separarsi e il chiudersi in se stessi non è quindi una strategia
vincente. Che soluzione ci rimane? L´incontro? La conoscenza? Il dialogo?
Questa non è una raccomandazione, è un dovere che la realtà di un mondo
multiculturale deve affrontare. A questo proposito l´Europa si trova davanti a
una grande sfida. Deve ritagliarsi un posto in un mondo in cui è sempre stata
avvantaggiata dall´esclusività della sua posizione e dove ora invece si trova
a dover convivere in una famiglia formata da molte altre culture che avanzano e
si consolidano, ad esempio attraverso la progressiva emigrazione verso i paesi
europei.
Questo nuovo ambiente culturale planetario può dimostrarsi illuminante,
benefico e fertile per l´Europeo, perché non è detto che l´incontro tra
culture e civiltà diverse debba portare a uno scontro. Come dimostrano Marcel
Mauss, Bronislaw Malinowki e Margareth Mead questo può diventare un terreno di
scambio, un contatto gradito, di arricchimento. George Simmel aggiunge che il
processo fondamentale nella vita della società umana è l´emergere dei valori
nello spirito dello scambio. Lo scambio presuppone un clima confidenziale, di
mutuo accordo, di comprensione e compromesso.
Questo offre all´Europa una nuova opportunità. La forza della cultura europea
è sempre stata la sua abilità a trasformarsi, riformarsi, adattarsi; qualità
oggigiorno essenziali per giocare un ruolo importante in un mondo multiculturale.
È solo una questione di volontà, vitalità e determinazione.
Gli intellettuali europei della prima metà del ventesimo secolo, si sono spesso
interrogati sulla forma e la sostanza che la civiltà del mondo avrebbe assunto
nel futuro. G.K.Chesterton sosteneva che questo era il dovere di ogni essere
umano. Il mondo è uno solo e l´uomo non può comportarsi come se stesse
scegliendo alloggi da affittare. Nessuno può farlo. Questo mondo, ha scritto,
che lo vogliamo o no, è la nostra unica dimora ed è questo il motivo per cui
si rendono necessari una "lealtà di base" e un "patriottismo
planetario".
In un libro degli anni trenta, intitolato Ludzie terazniejsi a cywilizacja
przyszlosci (La gente di oggi e la civiltà del futuro), Florian Znaniecki ha
scritto "abbiamo di fronte un´alternativa. O fiorirà una civiltà
mondiale che non solo salverà tutto il salvabile delle civiltà nazionali, ma
porterà l´umanità a oltrepassare anche i più audaci sogni degli utopisti,
oppure le civiltà nazionali si disintegreranno; ossia: anche se il mondo della
cultura non andrà distrutto, i suoi sistemi più importanti, i suoi modelli
più validi perderanno il loro significato vitale...". È questa la sfida
che ci troviamo ad affrontare.
(Traduzione di Cristiana Figone)
Ryszard Kapuściński
Ryszard Kapuściński è nato a Pinsk, in Polonia orientale, oggi Bielorussia, nel 1932, ed è morto a Varsavia nel 2007. Dopo gli studi a Varsavia ha lavorato fino al 1981 …