Domenico Starnone: La scuola che vorrei

05 Febbraio 2003
Se devo dire la verità, non sono mai riuscito ad appassionarmi veramente ai progetti di riforma della scuola. Ho letto, questo sì, migliaia di pagine con annoiato senso del dovere; sono stato in genere attento ai dibattiti che per un motivo o per l’altro si accendevano. Però passione niente. Se gratto gratto, devo ammettere che sotto il mio pluridecennale interesse per la scuola trovo solo una vecchia velleità di insegnante in grado ancora di accendermi: dare a tutti i ragazzi gli strumenti per stare al mondo con felice consapevolezza. Vanno benissimo i proponimenti dei politici, la riforma dei cicli, il rinnovamento dei programmi, e altro e altro ancora. Ma ciò che mi interessa sul serio è solo capire cosa bisogna fare perché il gioco dell’insegnare e dell’apprendere si possa giocare con buoni risultati sia con i primi sia con gli ultimi della classe, sia con i ragazzi di un buon liceo del centro di Milano, sia con quelli della periferia degradata di Napoli.
È perciò che se mi si chiede come cambiare la scuola, mi vengono in mente solo proposte che curino i vizi della sciatta istruzione di massa e la trasformino in istruzione qualitativamente alta per tutti. Concentrare, per esempio, risorse, intelligenze, competenze nei primi due cicli della crescita, da 0 a 5 anni, da 5 a 10 anni, età in cui con un lavoro efficace si può azzerare l’effetto di piccoli e grandi svantaggi. Ridurre il numero degli alunni a non più di dieci per classe (sì, dieci), in modo da poter realizzare un insegnamento attento alle dinamiche di gruppo e alle necessità specifiche dei singoli. Favorire l’esodo dalle attività didattiche di tutti gli insegnanti che hanno perso la passione e le attitudini e le competenze per insegnare, o che non le hanno mai avute.
(...)
Dubito che esistano davvero tra gli esseri umani disuguaglianze naturali tali da essere d’ostacolo a un’istruzione generalizzata di qualità elevata. Se fosse così il gioco di bussolotti dei cromosomi si manifesterebbe e diventerebbe possibile trovare di tanto in tanto i figli malriusciti di una qualche famiglia prestigiosa dietro lo sportello di un ufficio postale o in qualche campo a raccogliere kiwi o pomodori. Ma questo non accade, non è mai accaduto. È accaduto invece e accade che molta comunissima preziosa intelligenza vada sciupata per assenza di privilegi di base e inefficienza della scuola. Spesso si tratta di miseria nera, la più antica delle pastoie; ma da qualche tempo si tratta anche, diffusamente, di un’agiatezza ottusa, rozza, che disprezza l’intelligenza e vede la buona istruzione come zavorra per la furbizia rapace. Fatto sta che la disuguaglianza che davvero conta viene da lì, non dalla natura. È quella che fa da ostacolo, ostacolo che tradizionalmente ci si è adoperati pochissimo per rimuovere.
(...) Di conseguenza lo confesso, anche se timidamente: credo che una vera riforma della scuola dovrebbe prendere esplicitamente di petto la disuguaglianza sociale. Un progetto con questa finalità mi pare l’unico capace di smuovere l’apatia generale. Certo è questione di soldi. Si possono realizzare in economia i rattoppi alla scuola che c’è, ma è una scuola dell’abitudine, del trantran che scontenta tutti. Si può, volendo, persino ottenere con relativamente poca spesa il ritorno alla scuola degli anni Trenta, ma solo per custodirla come un oggetto di modernariato, non vedo altri usi. Invece, per fare una vera riforma della scuola che metta al centro la disuguaglianza e ne combatta oculatamente gli effetti, ci vuole molto danaro. Se non si concorda su questo è inutile parlare di vera riforma, specialmente se per scuola veramente riformata si intende, come nel mio caso, una scuola che assicuri a tutti condizioni di crescita molto simili a quelle che sperimenta oggi un bambino o un adolescente ben curato all’interno di una famiglia agiata con buone tradizioni culturali.
Ora butto giù qualche appunto per capire a che cosa bisognerebbe mettere mano. Per esempio, a me pare veramente urgente smettere di pensare che la scuola cominci con la prima elementare. Credo che invece sia essenziale pensare per la fascia tra 0 e 5 anni un percorso non più prescolare, ma scolare a tutti gli effetti: un quinquennio cioè che diventi dichiaratamente la base del futuro percorso formativo e su cui quindi l’intera comunità investa al massimo. A questo quinquennio fondamentale potrennero seguire altri due cicli di cinque anni ciascuno, complessivamente un decennio di scuola a tempo pieno che andrebbe pensato in modo unitario (...)
Per ultimo, due cose ancora.
La prima: la scuola pubblica - la scuola capace di impartire a tutti un’istruzione di buona qualità - dovrebbe essere rigorosamente laica, nemica di ogni credenza del tipo "Dio è con noi", estranea ai cosiddetti valori assoluti, e tuttavia attenta nell’istruire su tutte le religioni, sulla loro storia, sui loro contenuti, sulla loro presenza nelle varie culture.
La seconda: la necessità di una istruzione di qualità per tutti è una necessità democratica. La prova del nove di una democrazia, infatti, è il grado di istruzione di tutti i suoi cittadini. Più alto è il grado di istruzione di massa, più difficile è trasformare il cittadino in fan, più reale è il controllo della comunità sulla selezione, sull’operato, sul ricambio dei suoi governanti. Una riforma efficace della scuola non deve avere altro fine che rendere più vera e più robusta la democrazia.

Domenico Starnone

Domenico Starnone (Napoli, 1943) ha fatto l’insegnante e il redattore delle pagine culturali del ‟Manifesto”. Oltre a opere narrative, ha scritto molti libri sulla vita scolastica (da cui sono stati …