Alberto Arbasino: La guerra e la storia che si ripete

10 Febbraio 2003
Man mano che le generazioni si susseguono, anche la guerra si ripresenta fra i corsi e ricorsi storici, i caratteri geografici, le costanti antropologiche, il più risaputo déjà vu. Ora sembra di rivivere il 1939. Rimangono impressioni decisive, nella psiche dei bambini costretti a maturare precocemente, nella tristezza dei tempi minacciosi.
Si era proprio piccoli, al tempo della guerra di Spagna, dal 1936 in poi.
Ma quasi ogni giorno sotto le finestre della scuola passavano i cortei e le manifestazioni degli studenti più grandi e impegnati e sportivi e brillanti, con canti e slogan entusiastici per un volontariato di bombardieri e mitraglieri in Catalogna e in Aragona. Più tardi, a cose fatte, si riscontrò un´immensa massa di interventi bellicosi e battaglieri dei più importanti e impegnati giovani intellettuali inglesi e francesi e americani sul fronte opposto: Auden, Spender, Orwell, Day Lewis, Hemingway, Koestler, Saint-Exupéry, Eluard, Bernanos, Malraux pilota da combattimento col nostro Nicola Chiaromonte, e una quantità di saggisti, giornalisti, narratori, poeti.
Come negli innumerevoli film "epici" di guerra: Il sergente York e Luciano Serra Pilota, Ivo Jima deserto di fuoco e Lo sbarco di Anzio, Per chi suona la campana e L´assedio dell´Alcazar. E nelle canzoni alla radio: marines e sommergibili, Cucaracha e Faccetta Nera, stelle-e-strisce e Ciarabub... In pochissimi anni.
Qui basterebbe consultare, oltre ai versi e ai romanzi e alle testimonianze che riempiono le biblioteche, anche le discussioni d´epoca che animano il mirabile romanzo L´intoccabile di John Banville, vincitore del recente Premio Nonino. C´è dentro tutto, anche a proposito dei famosi esteti di Cambridge che diventarono rinomate e sputtanate spie sovietiche responsabili di delazioni e massacri: il complesso di superiorità classica e il masochismo verso il rude proletario, la puzza sotto il naso e l´armiamoci e partite, i giochi adolescenziali tipo Cowboys and Indians e la vacanza eccitante in un´Andalusia di sierre e corride e olé politically correct.
Poi, si sa (ci sono migliaia di pagine), taluni già bellicosi a Pamplona riparano pacifisti in America non appena scoppia la seconda guerra mondiale; e certamente Malibu Beach era preferibile alle Linee Maginot e Sigfrido, coi fantasmi dei milioni di caduti sulla Marna. (E perciò, poi, De Gaulle e Adenauer proclamarono sopra tombe e cadaveri: mai più commemorazioni e celebrazioni di cappellani e vedove con i sacrari e gli ossari. Sennò fra un paio di generazioni si ricomincia; e sarà peggio che ai tempi dei Carolingi).
Però, al tempo di Hitler, Virginia Woolf e altri furono pacifisti e neutralisti, come il Duca e la Duchessa di Windsor, contrari al guerrafondaio Churchill. Perché battersi contro i nazi e non trattare come nel ´38 a Monaco, col mite premier Chamberlain e il suo ombrello arrotolato, popolarissimo fra i vignettisti e i corsivisti? Perché non mandare qualche deputato o Lord a conversare con Goering e Goebbels e a visitare i campeggi della gioventù? Veramente non si sapeva di stare invocando la pace (il termine preciso era appeasement) contro la Germania della Shoah? Eppure le suffragette e i minatori aveva militato e combattuto per le cause più femminili e civili del Novecento.
Qui, due ricordi storici. Durante la guerra, si ascoltava Radio Londra ogni sera (coi suoi tu-tu-tum) e la Radio svizzera di Monteceneri, per le notizie della giornata. Ma io non ricordo di aver mai sentito parlare dei campi di sterminio in Germania, in tutti quei programmi della Bbc. Me ne sarei ricordato: così come mi fece un´atroce impressione, credo verso il 1938, solo in campagna, sentire il Duce che diceva alla radio "l´uovo marcio di Praga".
Per un povero bambino beneducato, erano parolacce mai sentite prima. Lo shock fu: qui si mette male.
Anche i parenti ritenevano che l´Italia si mettesse male o malissimo.
Iscritti al Fascio da teen-ager intorno al 1920, come tutti gli studenti brillanti e progressisti contro la vecchia Italia dei Savoia e Giolitti, una volta laureati e professionisti liberal riguardavano con raccapriccio e apprensione la "piega presa" dopo l´Abissinia dall´Italia "imperiale" più megalomane. Un paese di bambinoni teneri che poi diventano eroiche vittime a centinaia di migliaia: con plotoni di mammone e vedovone pronte a sfilare coi veli neri e il cuore in mano sotto il balcone di Palazzo Venezia...
Morirono poi gli zii e i cugini fra la Russia e la Grecia e l´Africa.
Lasciando con bambini piccoli e pochi soldi le giovani mogli decise come De Gaulle e Adenauer, non come D´Annunzio e il Duce: se si insiste con la retorica degli anniversari, qui si finisce fatalmente a nuovi massacri con questo o quel nemico.
Però secondo le memorie storiche e i testi di studio, i più biasimati neutralisti e pacifisti nel 1939 furono il Caudillo Franco (che aveva appena fatto la sua guerra), il dittatore Salazar del Portogallo, e il Vaticano di Pio XII, da allora discusso e disapprovato proprio per il suo no alla guerra.
Mentre Roosevelt veniva invocato e rimproverato perché gli Stati Uniti non entrarono subito in guerra, e pio perché non ci invadevano e non ci bombardavano di più. (Appeasement, cioè pacificazione con concessioni, da allora è un termine con connotazioni negative - lo si traduceva con "calare le brache" - e infatti tuttora si evita).

La "guerra civile", invece, in Italia è stata quasi sempre praticamente normale: anche nelle città e nei comuni e nelle signorie e nei paesini la popolazione si è quasi sempre divisa in due metà grosso modo equivalenti, e reciprocamente ostili. Fa parte del Dna italico. E non appena le circostanze lo permettono (la Repubblica Sociale da noi, come l´Occupazione in Francia), anche nei piccoli centri abbondano le denunce e condanne contro i vicini. E non soltanto per portargli via l´appartamento o il negozietto; o saccheggiare la villa incustodita; o sfogare gli istinti di torture e sevizie in divise di fantasia. Anche senza secondi fini. Anche solo per "la cosa in sé".
Al di là dei bilanci storici e delle revisioni giornalistiche, le tradizionali lotte continue fra le due metà del nostro paese appaiono corsi e ricorsi italici, costanti caratteriali etniche, rifiuti congeniti della tolleranza bilaterale e delle regole "sportive" in qualunque "gioco". E si può discorrere anche oziosamente e a lungo sulle identità o idiosincrasie partigiane, rivoluzionarie, riformiste, trasgressiste, pro-italiane o anti-italiane, "bombarole" o "panciafichiste", interventiste o quietiste.
Soprattutto, ricordando che nelle varie guerre civili si combatteva e moriva sovente senza pacifismi, senza neutralismi, e addirittura senza vantaggi economici.
Ora, si è spesso ripetuto che la guerra prosegue la politica con altri mezzi, mentre la giurisdizione persegue l´economia (che precede la politica) con gli strumenti e le armi del processo. Però adesso le prossime interferenze fra guerra ed economia e giurisdizione possono produrre nuove combinazioni, nel nostro paese.
Si andava infatti avanti da molti anni con un conflitto per lo più industriale e giudiziario e mediatico (non più come ai tempi di Giovanni dalle Bande Nere) fra i due principali tycoons italiani, Berlusconi e De Benedetti.
(E il Dizionario di Oxford fa derivare il termine americano di tycoon dalla formula di rispetto per gli shogun del Giappone feudale, più potenti dell´imperatore). Dopo la lenta emarginazione dell´antico sovrano Agnelli - ancora legato a modi produttivi di merci e manufatti con grossi investimenti per ottenere profitti - ecco le ideazioni di una finanza postmoderna e virtuale che sa anche inventare una domanda effettiva. Programmi e concept immateriali, senza ricorrere all´investimento o al risparmio. Ci vorrebbero Keynes o Sraffa per spiegare come mai ogni volta che si legge o ascolta "il Cavaliere" o "Arcore" anche nei contesti più ostili "si sente trillare un registratore di cassa" (come diceva Groucho Marx), mentre già per "l´Avvocato" o "Villar Perosa" il trillo del reddito non era così automatico. E nel caso di "Mussolini" o "Togliatti", scarsi erano i proventi e concreti i pericoli, nella citazione pubblicistica.
Soprattutto il concetto del guadagno netto con zero investimenti e zero sforzi ("finché dura") sembra attualmente abbagliare il mondo delle veline, della moda-di-stracci, dei talk show, delle manifestazioni, dei processi, delle presentazioni, delle feste. Ma la guerra e l´economia della guerra (non solo civile) possono scombussolare gli assetti in questo sistema effimero...

Alberto Arbasino

Alberto Arbasino, nato a Voghera nel 1930 si è laureato in Diritto Internazionale all'Università di Milano, è giornalista, saggista, critico musicale e scrittore di vasta cultura, di forte impegno civile …