Giorgio Bocca: La violenza che torna e i vecchi fanatismi
10 Marzo 2003
"Rai per gli italiani, no agli ebrei, raus Mieli"
firmato Nar, Nuclei armati rivoluzionari, di cui si parlò negli anni Settanta
quando li guidavano Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Le due scritte sono
apparse nella notte sui palazzi della Rai a Milano in corso Sempione, a una
distanza di un centinaio di metri l´una dall´altra. La Digos non presta
particolare attenzione alla sigla del movimento neofascista di cui non si è
più avuta notizia da almeno quindici anni.
Non c´è uomo politico, specie se di destra, che non si sia affrettato a condannare "l´ignobile, infantile, imbecille, intollerabile, infame" episodio. Tutti correttamente antirazzisti. Un solo giornale romano, alla vigilia, aveva incautamente anticipato le scritte milanesi con un editoriale in cui si diceva che "grazie al democristiano Casini l´intero sistema televisivo è dominato adesso da professionisti eccellenti ma di cultura e di sensibilità non cattolica come il nuovo presidente della Rai e i direttori dei due maggiori telegiornali di Rai e Mediaset". E poteva pure fare i nomi che sono notissimi. Di fronte all´impresa dei neofascisti o neonazisti nostrani una persona di comune buon senso non può che dichiararsi disgustata e impotente. Ma è una risposta troppo facile e smentita dai fatti. Quando a Milano i primi brigatisti rossi sabotarono alcuni autocarri sulla pista Pirelli di Lainate e venne scoperto un covo dal procuratore Viola, che vi fece irruzione armato di pistola alla cow boy, dicemmo proprio quello che ora si dice degli autori delle scritte: pagliacciate di ragazzacci, gesti infantili, provocazioni. Non era così, quei primi segni di violenza anticipavano una voglia diffusa di darsi un nemico, da odiare, da combattere. Nessuno oggi può azzardarsi a prevedere una ripetizione degli anni di piombo, ma che stia tornando nel paese e nel mondo un richiamo della violenza, una ricerca di legare questa violenza a vecchi simboli, a vecchi fanatismi è qualcosa che si tocca con mano a sinistra come a destra, la voglia di ricreare qualcosa che riempia il vuoto di vite vuote. E come di prammatica il nemico viene scelto a caso senza saper nulla di lui, della sua biografia. Il nemico delle scritte milanesi Paolo Mieli è un uomo del dialogo che ha teorizzato in questi anni la "terzietà" degli intellettuali, il dovere intellettuale di trovare comunque una mediazione con gli avversari. È un progetto che ci lascia scettici ma di una cosa si può essere certi: uno come Mieli se va alla Rai ci va per ricreare una azienda culturale civile ed efficiente, per ripulire quel nido di vipere e di ignoranza. La Digos crede che le indagini siano difficili e che porteranno comunque a magri risultati.
È piuttosto la grande informazione, più che la polizia, a dover seguire con attenzione il ritorno di una destra razzista ed eversiva. Le scritte di Milano non sono intelligenti, sono - come dicono molti - infantili, ma sono anche come quelle degli untori, che veri o inventati annunciavano la peste.
Non c´è uomo politico, specie se di destra, che non si sia affrettato a condannare "l´ignobile, infantile, imbecille, intollerabile, infame" episodio. Tutti correttamente antirazzisti. Un solo giornale romano, alla vigilia, aveva incautamente anticipato le scritte milanesi con un editoriale in cui si diceva che "grazie al democristiano Casini l´intero sistema televisivo è dominato adesso da professionisti eccellenti ma di cultura e di sensibilità non cattolica come il nuovo presidente della Rai e i direttori dei due maggiori telegiornali di Rai e Mediaset". E poteva pure fare i nomi che sono notissimi. Di fronte all´impresa dei neofascisti o neonazisti nostrani una persona di comune buon senso non può che dichiararsi disgustata e impotente. Ma è una risposta troppo facile e smentita dai fatti. Quando a Milano i primi brigatisti rossi sabotarono alcuni autocarri sulla pista Pirelli di Lainate e venne scoperto un covo dal procuratore Viola, che vi fece irruzione armato di pistola alla cow boy, dicemmo proprio quello che ora si dice degli autori delle scritte: pagliacciate di ragazzacci, gesti infantili, provocazioni. Non era così, quei primi segni di violenza anticipavano una voglia diffusa di darsi un nemico, da odiare, da combattere. Nessuno oggi può azzardarsi a prevedere una ripetizione degli anni di piombo, ma che stia tornando nel paese e nel mondo un richiamo della violenza, una ricerca di legare questa violenza a vecchi simboli, a vecchi fanatismi è qualcosa che si tocca con mano a sinistra come a destra, la voglia di ricreare qualcosa che riempia il vuoto di vite vuote. E come di prammatica il nemico viene scelto a caso senza saper nulla di lui, della sua biografia. Il nemico delle scritte milanesi Paolo Mieli è un uomo del dialogo che ha teorizzato in questi anni la "terzietà" degli intellettuali, il dovere intellettuale di trovare comunque una mediazione con gli avversari. È un progetto che ci lascia scettici ma di una cosa si può essere certi: uno come Mieli se va alla Rai ci va per ricreare una azienda culturale civile ed efficiente, per ripulire quel nido di vipere e di ignoranza. La Digos crede che le indagini siano difficili e che porteranno comunque a magri risultati.
È piuttosto la grande informazione, più che la polizia, a dover seguire con attenzione il ritorno di una destra razzista ed eversiva. Le scritte di Milano non sono intelligenti, sono - come dicono molti - infantili, ma sono anche come quelle degli untori, che veri o inventati annunciavano la peste.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …