Alberto Arbasino: Quando ci vedevamo da Feltrinelli

19 Febbraio 2003
Molti anni fa la madrina di tutte le letterature era Anna Banti. Coi suoi cappellini vigili e la sua inflessibilità "superciliosa" (versione nostrana di "highbrow", ma una volta la udii ammonire: "basta con queste sensibleries alla Virginia Wolf!"), vagliava e setacciava la qualità delle nuove pagine: i debuttanti degli anni Cinquanta. Fra le rose e i cipressi e i Caravaggio della bella villa colonica "Il Tasso", ai margini ancora villerecci di Firenze non ancora voragine autostradale. Sotto gli ammicchi sofisticati e ironici del Genius Loci: marito della Banti (pseudonimo di Lucia Lopresti) era infatti un mago, Roberto Longhi, il più grande stilista del Novecento italiano, insieme a Gadda. Ma anche il massimo "farceur", fra lo sgomento e il raccapriccio dei devoti, insieme a Federico Zeri. E a quei livelli, c´è sempre un di più. Al dinner di riconciliazione, dopo decenni di risentimenti, il perfido Bernard Berenson chiese a Longhi cosa si prova, essendo sposati a un genio come la Banti. Mentre Longhi, per spiazzare gli ossequiosi, faceva le imitazioni di Mina alla Bussola. Gettando nell´angoscia i carrieristi dei concorsi e delle cattedre.
Artigianalmente, elegantemente, in villa, la celebre coppia pubblicava su Paragone Letteratura Gadda e Contini e Magnani e Bigongiari e Bo e Bassani accanto ai virgulti: Pasolini, Volponi, Testori, Citati, Zolla, Wilcock. E nelle lunghe estati al Forte dei Marmi, sotto un certo celebrato platano a un rinomato caffè sedeva all´aperitivo per mesi l´intero areopago in calzoncini. Con tre presenze fisse: il pittore Carrà, lo scrittore Pea e il critico De Robertis (generalmente in baschetto, si usava molto, lo sfoggiava anche Pietro Nenni). E un presidio parmigiano fondamentale: Pietrino Bianchi, celeberrimo critico cinematografico e redattore-capo della ricca Illustrazione Italiana come di Settimo Giorno rotocalco povero. E Attilio Bertolucci, tipica eminenza grigia dei signori e principi nei ritratti dinastici. Lì si arrivava in lambretta, cortesemente accolti ai tavoli per un drink con una bella e sfortunata e sempre rimpianta ragazza: Rosanna Tofanelli, figlia del direttore di Tempo e sorella della più piccola Silvia. Ospiti di Curzio Malaparte nella famosa villa tedesca proprio davanti alla Capannina: ma con divieto alle ragazzine di entrarvi dopo cena.
Qui, così, cominciò la buonissima "Biblioteca di Letteratura" curata da Giorgio Bassani per Feltrinelli, in un appartamento di via Arenula, a Roma, dove si aveva il privilegio di venir ricevuti da due ragazze splendidissime: Ludovica Ripa di Meana e Roberta Carlotto. E lì si pubblicava, in vesti sobrie, Il Gattopardo e Testori e Delfini, con Blixen e Borges e Forster, ancora "new entries".
Presto venne il mio turno; e qui ecco una documentazione. Dopo un racconto su Paragone e vari reportages sulla Illustrazione Italiana e sul Mondo, il Caffè Roma di Forte dei Marmi aveva decretato, fra i calzoncini e i cinzanini: qui ci vuole un libro. (I cosiddetti riti di passaggio di una volta). E c´era già stato un primo volumetto, presso Einaudi, con una piccola raccolta di racconti (Le piccole vacanze) scelti da Calvino e Luciano Foà, nella collana "I coralli", con questa motivazione calviniana: "Hai già ventisette anni, dunque sei troppo vecchio per fare un debutto nei "Gettoni" di Vittorini. Bisogna incominciare con poca roba, sennò non ti leggono. Lo so che avendo parecchi altri racconti ora ti piangerà il cuore, però ricordati che il secondo libro è per tutti un disastro, ma il tuo secondo libro l´hai già, ed è qui".
C´era fra questi L´Anonimo Lombardo, che non solo era gay illuminista e romantico, ma pieno di note alla maniera di Gadda. Pietrino Bianchi suggerì di mandarlo a Bassani per Botteghe oscure, la solenne rivista internazionale che curava per la principessa Caetani. Con qualche scherzo sull´Anonimo dei Promessi sposi, e una nota gaddiana beffarda: "C´erano tante note. Le abbiamo tolte quasi tutte".
Il bigliettino d´accompagno fu perduto a Palazzo Caetani (dove, secondo le più recenti rivelazioni spionistiche, fervevano i complotti che avrebbero poi portato alla cattura di Aldo Moro, vent´anni dopo). La segreteria era allora gestita da Eugene Walter, un poeta americano molto gay che fu poi scritturato da Fellini per un ruolo pittoresco nella Dolce vita, in compagnia delle intellettuali Jenny Crosse e Iris Tree, figlie del poeta Robert Graves e del regista-attore Beerbohm Tree. Allora Bassani fece girare il manoscritto anonimo, e solo Pasolini ne riconobbe l´autore (avendo pubblicato dei miei versi su Officina). Dunque Bassani, quando iniziò la sua collana per Feltrinelli, vi pubblicò tutti i miei racconti vecchi e nuovi; e poi anche tanti reportages culturali usciti sul Mondo, in Parigi o cara, un voluminoso volume.
Mentre scrivevo Fratelli d´Italia, nei primi anni Sessanta, scoppiarono cabale atroci e ridicole, perché il vecchio "Establishment" (o sistema di potere) letterario si sentiva minacciato nei posti e negli stipendi del Gruppo 63, e si offendeva per le mancanze di rispetto ai vecchi di riguardo nelle cronache culturali che tenevo sul Mondo e sul Giorno. Dove i direttori, Mario Pannunzio e Italo Pietra, si beffavano delle rimostranze. Erano però trascorsi gli anni delle obbedienze e delle reverenze, quando bastava la minaccia di "far perdere il pane" per sottomettere i cortigiani famelici. Vigeva piuttosto l´allarme del "questi, ci vogliono prendere tutti i posti" dei tradizionali burocrati. Né si prevedeva il Sessantotto, dove la mancanza di rispetto e la presa dei posti avrebbe raggiunto statistiche epiche.
Ma non soltanto le pressioni del gruppo di potere Moravia-Morante convinsero Bassani a rifiutare il mio romanzo. Benché agitato, me lo spiegò sinceramente: gli sembrava non un vero romanzo "ben fatto", ma piuttosto un pacco di scritti vari. E poi, temeva molto che qualcuno avrebbe potuto riconoscersi fra tanti episodi e personaggi, andando poi a lamentarsi con lui.
Giangiacomo Feltrinelli tagliò corto: abbiamo già pagato un anticipo, e se un autore non è al primo libro la figura del coglione la fa lui, e non il direttore della collana. Così il mio romanzo uscì nella collana fatta a Milano: non con Lampedusa ma con Grass e Pasternak e García Márquez. E poi, malgrado decenni di pettegolezzi permalosi e meschini, quando ci si rivedeva con Bassani non si poteva fare a meno di sorriderci, sillabando con la balbuzie che era un suo vezzo, a fior di labbra: "Ma che-che-che se lo va-va-vadano a prendere in quel po-po-posto".
Ma di lì si poteva "riandare" ai tempi dell´accuratezza onomastica tanto predicata dal nostro amico Mario Soldati. ("I nomi dei personaggi sono decisivi!" strillava. "Per esempio, vuoi un cognome davvero "anni Trenta"? Te lo offro io: le signore Ferri-Fazzi! Ricorda il pittore Ferruccio Ferrazzi, che non potrebbe appartenere a nessun´altra epoca!").
Così, durante la stesura del Giardino dei Finzi-Contini, Bassani mi chiedeva se "Malnate" era un cognome lombardo possibile. Io gli osservavo che le desinenze in "ate" riguardano le località, in Lombardia: Linate, Limbiate, Gallarate. Mentre i cognomi sono tutti in "ati". E poi, in milanese, "malnatt" significa "birbone". Ma a lui piaceva Malnate, e Malnate fu. Così come preferiva il cognome "Lalumia" tutto attaccato, malgrado il professor Isidoro La Lumia, ordinario di diritto commerciale all´Università di Milano, e tanti esempi di "La staccati", da La Marmora a La Capria...
E Anna Banti: peccato che Giorgio non abbia osato conservare l´immagine tragica che apriva Gli occhiali d´oro, le due tombe vicine dell´omosessuale suicida e del giovinastro fucilato.

Alberto Arbasino

Alberto Arbasino, nato a Voghera nel 1930 si è laureato in Diritto Internazionale all'Università di Milano, è giornalista, saggista, critico musicale e scrittore di vasta cultura, di forte impegno civile …