Stefano Benni: La mia vittoria

11 Aprile 2003
Saluto i giornalisti presenti: riportate fedelmente le mie parole e non spaventatevi se vi parlo dalla torretta di un carro armato. Mi piace stare quassù: niente come le armi eccita chi ha schivato il militare, come ha fatto il sottoscritto, e quasi tutti i senatori Usa. Il primo passo verso la liberazione dell'Iraq, del Medio Oriente, e del mondo è compiuto, ma il campionato è lungo e molto resta da fare. Abbiamo abbattuto la statua del rais, simbolo di una tirannia obsoleta. Quando hai i B 52, non hai bisogno di una grande statua perché la gente ti guardi dal basso. In Iraq lo scontro è stato preventivo ma duro. Sapevamo di avere di fronte un avversario preponderante, con un'aviazione micidiale, missili di ottima annata, armi chimiche e di sterminio totale. Ed ecco la prima subdola mossa del nemico. Esso ha nascosto il suo terrificante potenziale militare causandoci non poche difficoltà.
Le centinaia di caccia iracheni non sono decollati, mettendo in crisi la nostra aviazione che li cercava giorno e notte. I missili che molto astutamente avevamo fatto distruggere dagli ispettori Onu non sono partiti. I tank avevano la targa babilonese. Le armi chimiche non c'erano, abbiamo trovato solo atropina, calzini vecchi e magnesia. Adesso ci toccherà di trasportare un po' di schifezze sul posto. La Bayer ci manderà medicine tossiche come il lipobay, McDonald's il suo famoso Blob Burger. Berlusconi ci ha promesso la discarica di suo fratello. Soldati in mutande si sono arresi ai nostri tank che li hanno spalmati sulla sabbia del deserto. Non siamo venuti qui per caricare autostoppisti. Il grande esercito iracheno ha astutamente finto di essere male armato, affamato, antiquato.
A questo punto, come potevamo combattere una guerra senza nemico? Avremmo dovuto dare ragioni ai nostri detrattori, quelli che dicevano che Saddam poteva essere disarmato in pochi mesi dall'Onu. Non ho niente contro l'Onu, anche se preferisco il Rotary. Credo anzi che il lavoro degli ispettori sia stato molto utile: gli abbiamo fregato le mappe delle caserme e dei depositi, e abbiamo sparato sul sicuro.
Ma questa guerra aveva bisogno di un po' di suspence, e per fortuna c'era Saddam. Lui è servito a dare dignità di operazione militare a questo tiro al bersaglio. Bisognava eliminare il rais, e poiché si spostava come una talpa, dovevamo cacciarlo. Nel corso di questa caccia abbiamo colpito: Tre mercati, due ospedali e una televisione. Un albergo, una scuola e due quartieri residenziali. Un tot di civili e soldati iracheni. Cento soldati inglesi a piedi e in elicottero. Cinquanta soldati americani. Un imprecisato numero di curdi, tanto quelli non li conta mai nessuno. Un gruppo di giordani. Undici afghani. Un cameraman ukraino e uno spagnolo. Un camion di mamme e bambini. Cinque addetti d'ambasciata russi (l'ambasciatore ci è scappato... pardon si è salvato). Una suora in motorino. Un'ambulanza della Croce Rossa. Diversi villaggi sospetti di essere siti chimici. Così imparano a cucinare i peperoni. Abbiamo ucciso Alì il chimico, Fatima la tossica, Mohamed il velenoso e Selim il boleto. Siamo rimasti vivi solo noi: George l'ubriacone, Rumsfeld il cocainomane, Osama il dialitico e Saddam il clonato. Per ultimo, abbiamo tentato di colpire Lilli Gruber, scambiata per il rais. E' vero, non gli somiglia molto, ma era a trecento metri e aveva un microfono in mano.
Naturalmente ora che è caduta Baghdad ci toccherà di accoppare anche Saddam, anche se la Cia preferirebbe prenderlo vivo e surgelarlo insieme a Toro Seduto e a Khomeini, magari torna buono tra qualche anno. Poi ci prenderemo il petrolio, e gestiremo le faide e le vendette di questo paese. Correrà altro sangue, ma pazienza. Siamo indifferenti sia alla gioia di alcuni iracheni per la fine della tirannia, sia alla resistenza disperata di altri: i primi li fotografiamo, i secondi li massacriamo. Quello che ci rode è che, a onta dei molti megafoni della nostra propaganda, sappiamo bene che alla fine non riusciremo a passare per liberatori. Ahimè, questa volta siamo stati smascherati.
Ebbene sì, cari sudditi americani e alleati: siamo la razza eletta e l'esercito più potente del mondo, ma abbiamo alcuni difetti. Combattiamo sempre cinquanta contro uno, inventiamo i motivi delle guerre, torturiamo i prigionieri, spariamo sui civili, e diciamo un sacco di bugie. Ma nell'inventare e riciclare Nemici Terribili e Potentissimi siamo i migliori. E li scegliamo sempre capi di un popolo impoverito e sofferente.
A questo punto sarebbe un peccato sprecare questa nostra abilità. Questa invasione non ci basta, questo petrolio è poco, le fabbriche di armi non possono fermare la produzione, Rumsfeld ha comprato gli anfibi nuovi, abbiamo bisogno di un nuovo nemico, subito. Il mondo pagherà l'offesa di averci isolato, i pacifisti di averci sputtanato, il papa di averci sgridato. Siamo un popolo pacifico, ma nei prossimi anni triplicheremo la spese militari. Siamo un popolo democratico, ma la Cia ha ripreso a schedare insegnanti, giornalisti e intellettuali. Siamo un popolo multietnico ma in mano a un elìte di straricchi bianchi.
Avete visto le prime nostre reazioni alla caduta di Baghdad? Cheney ha detto, vaffanculo l'Onu, l'Iraq lo ricostruiamo noi. Rumsfeld ha detto, non cesseremo il fuoco finché l'ultimo uomo di Saddam non sarà morto. Powell si è lamentato perché Osama non si fa vivo. Bolton ha detto: l'Iraq serva di monito a Siria Iran e Corea del Nord. Vi sembrano frasi che segnano l'inizio di un periodo di pace? Io non mi aggiungerò a queste voci minacciose, a me interessa solo essere rieletto e che la Esso mi dia il sette per cento sui barili. Però vi faccio notare che in Cina sono spuntati questi scarafaggi portatori di polmonite. Ieri, alla Casa bianca, ne è stato visto uno rubare un chicco di riso. Non siamo paranoici, ma se i musi gialli vogliono iniziare la guerra blatto-batteriologica, abbiamo abbastanza armi nucleari da disinfestare tutto il loro obeso paese. Siamo un paese pacifico, ma l'igiene prima di tutto.
L'operazione guerra infinita è iniziata. Nessuno si stupisca. Vi interrogate, giustamente, sul perché in tanti odiano l'America. Cominciate anche a chiedervi perché tanti americani odiano il resto del mondo.
Perciò cari giornalisti e operatori, quando tornerete al vostro giornale o alla vostra televisione, se li troverete ancora, diffondete al vostro pubblico questa notizia: da oggi nessuno è al sicuro. Parafrasando un fottuto scrittore americano filocubano comunista: non ti chiedere mai per chi suona la sirena. Essa suona per te. Arrivederci e andate con Dio. Il mio, non quello del papa.

Stefano Benni

Stefano Benni è nato a Bologna nel 1947. Con Feltrinelli ha pubblicato: Prima o poi l’amore arriva (1981), Terra! (1983), Stranalandia, con disegni di Pirro Cuniberti (1984), Comici spaventati guerrieri …

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