Paolo Di Stefano: Giro d'Italia, la rivincita del tricolore

12 Maggio 2003
Uomini con due, tre bambini tra le braccia, nonni con i nipotini sulle spalle, intere famiglie sui balconi e bandiere tricolori appese alle terrazze, alle finestre. Vecchi in canottiera seduti davanti alle porte di casa con i loro bastoni puntati sul marciapiede, donne che si affacciano con i bigodini in testa e bambini che agitano bandiere tricolori. Uomini con le videocamere pronte a filmare il gruppo che pedala tranquillo e ragazze che al passaggio dei ciclisti mostrano le loro bandiere tricolori. Mai viste tante bandiere italiane in un solo pomeriggio. Qua e là, persino i tronchi degli ulivi secolari che costeggiano la strada sono avvolti da bandiere. Insomma, da Copertino a Matera, gli italiani sembrano fieri di esserlo, italiani. E ovunque sventolano le loro bandiere. Nonostante le insegne dei Discount, degli Eurocars, degli Italcar, dei Business Stockhouse, dei Garden che stridono sui rettifili lungo la campagna immacolata di Manduria, Sava, San Giorgio, Carosino, gli italiani, qui, restano italiani. E ci tengono a farlo sapere, a scanso di equivoci. A Matera, l'altoparlante gracchia che mancano meno di venti chilometri al traguardo e la gente lungo via Dante si assiepa alle transenne. C'è anche Francesco N., un impiegato trentenne con moglie e figlio che riesce a dormire in carrozzella a dispetto del frastuono. «Sì, noi ci sentiamo italiani e vogliamo che tutti lo sappiano - dice - , ci sono voluti tanti anni e tanti sacrifici per unire l'Italia e ora dobbiamo farla crescere». Più su, accanto al ragazzino di dieci anni che agita, anche lui, la sua bandiera tricolore dalla terrazza sovrastante lo stradone del traguardo, c’è la signora Carmela Di Michele, settant’anni, che dice: «La nostra terra si chiama Bassa Italia, ma sempre Italia è, noi ci onoriamo di essere italiani e anche l'Italia dovrebbe onorarsi di noi». L’idea è chiarissima e non c’è bisogno di andare oltre. 
La bandiera di Giovanni Caserta, prof di lettere in pensione, è arrotolata attorno al suo bastone. Ma non vuol dire molto: «L’ha voluta prendere il mio nipotino e io penso che sia sempre bene portarsela dietro. Bisogna far sapere a tutti che l’Italia comincia dall’estremo Sud, perché molti non se ne ricordano mai. Ma devono mettersi in testa che non intendiamo assolutamente rinunciare all’unità». Anche in questo caso l’idea è chiarissima. Il tempo passa e l’altoparlante urla che mancano due chilometri all’arrivo. Piuttosto, chissà se quando il Giro passerà sulle strade del Nord ci saranno le stesse bandiere. «Chissà - ribatte il prof Caserta -; io se permette ne dubito e se dovessi essere a quattr’occhi con Bossi gli direi di starsene buono, perché il Sud ha dato più del Nord e ha ricevuto sempre di meno, pensi che a Matera non abbiamo ancora la ferrovia…». Margherita Flores, al suo fianco, non si fa pregare per rincarare la dose: «E’ vero, la nostra è una regione ricca, ci abbiamo il petrolio, l’acqua, la campagna e alle volte ci sentiamo mortificati da certi discorsi». Eccoli, i ciclisti, sono arrivati in volata, si alzano le bandiere tricolori, dai balconi, dalle terrazze, dalle gradinate delle tribune, dai marciapiedi. «Chi è quello che ha vinto?» chiede un anziano a un gruppo di ragazzi. «Un australiano? Peccato, peccato». Come, peccato? «Sono venuto qui con la bandiera, e ti va a vincere un australiano… peccato». Pochi minuti e la notizia viene rettificata: Baldato, ha vinto Baldato. Ma l'anziano signore è già sparito nella folla, con la sua bandiera sottobraccio.

Paolo Di Stefano

Paolo Di Stefano, nato ad Avola (Siracusa) nel 1956, giornalista e scrittore, già responsabile della pagina culturale del “Corriere della Sera”, dove attualmente è inviato speciale, ha lavorato anche per …