Boris Biancheri: La Road Map nelle mani degli arabi
09 Giugno 2003
Anzitutto, perché interviene in un momento difficile e delicato: Bush ha
compiuto il suo viaggio in Medio Oriente impegnandovi direttamente il suo
prestigio, ha ottenuto sul processo di pace l'assenso condizionato di Sharon,
quello più convinto di Abu Mazen, quello di una parte significativa dei paesi
arabi e infine la collaborazione fattiva dell'Europa che prende avvio con le
missioni mediorientali di Berlusconi e di Frattini. In un certo senso, un
attacco era prevedibile. Come in un drammatico gioco dell'oca, più si procede
verso l'obiettivo finale più si incontrano ostacoli che rischiano di riportare
i giocatori al punto di partenza.
Ma lo scontro di Erez ha un significato simbolico grave. Per la prima volta un'azione terroristica è stata rivendicata, e con ogni probabilità condotta, congiuntamente da tre diverse organizzazioni: Hamas, Jihad e la brigata dei martiri di Al Aqsa che si richiama ad Al Fatah. Tutto il fronte militante armato palestinese, incluso quello più vicino ad Arafat, ha trovato dunque un'imprevista unità per opporsi con i fatti al processo di pace.
Una prima possibile conseguenza è che l'opposizione interna a Sharon si irrigidisca e si allarghi, ponendo nuove condizioni all'operato del premier laddove la volontà di pace israeliana ha il suo più importante e drammatico banco di prova: il ritiro dagli insediamenti cosiddetti illegali (ma ve ne sono di legali?) e il riconoscimento della contiguità territoriale del futuro Stato palestinese.
Ma non meno ardua è la strada di Abu Mazen, già duramente contestato a Gaza dai partiti politici e che ha dovuto rinviare ora il suo viaggio nei territori per illustrare il processo di pace. Sempre più ambigua si conferma poi la posizione di Arafat, sul quale probabilmente per troppo tempo l'Occidente ha investito un ingiustificato capitale di fiducia. Nel breve periodo, la chiave per tenere in piedi il processo di pace è in gran parte in mano ai paesi arabi moderati: è solo l'avallo di quei paesi al piano americano che può tenere coinvolti in questo difficile passaggio gli israeliani e i palestinesi. A più lontana scadenza, evidentemente, occorrerà affrontare con maggiore chiarezza la questione del finanziamento dei gruppi radicali e terroristici. Da molti anni, ormai, è l'oro del Golfo che li tiene in vita, soprattutto quello dell'Arabia Saudita, in parte per convinzione in parte per non esserne essa stessa la vittima. Come tutto il precario equilibrio del Medio Oriente e del Golfo, anche la pace in Palestina passa attraverso Riad.
Ma lo scontro di Erez ha un significato simbolico grave. Per la prima volta un'azione terroristica è stata rivendicata, e con ogni probabilità condotta, congiuntamente da tre diverse organizzazioni: Hamas, Jihad e la brigata dei martiri di Al Aqsa che si richiama ad Al Fatah. Tutto il fronte militante armato palestinese, incluso quello più vicino ad Arafat, ha trovato dunque un'imprevista unità per opporsi con i fatti al processo di pace.
Una prima possibile conseguenza è che l'opposizione interna a Sharon si irrigidisca e si allarghi, ponendo nuove condizioni all'operato del premier laddove la volontà di pace israeliana ha il suo più importante e drammatico banco di prova: il ritiro dagli insediamenti cosiddetti illegali (ma ve ne sono di legali?) e il riconoscimento della contiguità territoriale del futuro Stato palestinese.
Ma non meno ardua è la strada di Abu Mazen, già duramente contestato a Gaza dai partiti politici e che ha dovuto rinviare ora il suo viaggio nei territori per illustrare il processo di pace. Sempre più ambigua si conferma poi la posizione di Arafat, sul quale probabilmente per troppo tempo l'Occidente ha investito un ingiustificato capitale di fiducia. Nel breve periodo, la chiave per tenere in piedi il processo di pace è in gran parte in mano ai paesi arabi moderati: è solo l'avallo di quei paesi al piano americano che può tenere coinvolti in questo difficile passaggio gli israeliani e i palestinesi. A più lontana scadenza, evidentemente, occorrerà affrontare con maggiore chiarezza la questione del finanziamento dei gruppi radicali e terroristici. Da molti anni, ormai, è l'oro del Golfo che li tiene in vita, soprattutto quello dell'Arabia Saudita, in parte per convinzione in parte per non esserne essa stessa la vittima. Come tutto il precario equilibrio del Medio Oriente e del Golfo, anche la pace in Palestina passa attraverso Riad.
Boris Biancheri
Boris Biancheri (1930-2011) è nato in Italia da padre ligure e da madre di origine russa. Ha girato il mondo e ha trascorso parte della vita in Grecia, Francia, Giappone, …