Giorgio Bocca: La pacificazione improvvisata
21 Luglio 2003
Nella politica italiana spetta da anni alla Lega di complicare anche le cose
più chiare e consolidate, a cominciare dall´unità del Paese. Non c´è dunque
da stupirsi se un sottosegretario al Turismo della Lega insulta i tedeschi che
sono i nostri principali clienti e se Castelli si applica con metodo e bizzarria
implacabili a distruggere la Giustizia di cui è ministro. Qui il problema la
grazia a Adriano Sofri era di rapida e facile soluzione, trattandosi di un
caso personale, senza implicazioni politiche, e che ha il consenso della
maggioranza dei parlamentari e del presidente del Consiglio.
Anche perché Sofri ha tenuto in questi anni un comportamento ineccepibile, pur se è colpevole agli occhi di Castelli di essere "un intellettuale" che nell´etica bossiana è fra i crimini imperdonabili. Ma su questo il ministro ha tenuto duro: proporre una grazia per un intellettuale gli procurava degli insopportabili brividi. Così ha scelto un giornale di partito, il suo La Padania, per una proposta sostitutiva: una amnistia pacificatrice. La proposta è così confusa e piena di svarioni che il suo unico risultato sarà di rimandare a chi sa quando la soluzione del caso Sofri, la sua uscita dalla galera che l´opinione pubblica, i rappresentanti politici e le persone di comune buonsenso giudicano a trentun anni di distanza dall´omicidio Calabresi una pena ormai eccessiva. Il ministro propone un´amnistia per la pacificazione, cioè per qualcosa che o c´è nei fatti o non la puoi improvvisare con la trovata di un Guardasigilli. Amnistia pacificatrice fu quella di Togliatti per i fascisti di Salò che si erano macchiati di delitti ma non pacificò quelli che la guerra civile aveva diviso e fu subito chiaro che aveva uno scopo politico, far votare i fascisti per la repubblica contro la monarchia. Comunque nelle linee generali essa aveva un significato di clemenza dei vincitori contro gli sconfitti. L´amnistia di Castelli si presenta come una clemenza a minestrone fatto di cento incompatibili ingredienti: ci starebbero i terroristi rivoluzionari assieme ai dinamitardi sanfedisti del Sud Tirolo, gli imputati della strage fascista di Bologna e i serenissimi scalatori del campanile di San Marco (personaggi a tuttora incomprensibili, con il loro trattore simil carro armato). E poi brigatisti come Maurizio Ferrari, che dopo venti e passa anni di carcere non sanno neppur più cosa sia la libertà e se gli convenga. Uno dei pochi che sembra aver le idee chiare sull´amnistia è il bandito sardo Graziano Mesina che senza amnistia morirebbe nel carcere di Voghera e che invece vorrebbe "passare qualche giorno nei campi e nei boschi del Gennargentu".
La pacificazione negli eventi contraddittori della nostra storia non ha senso comune perché presume una impossibile parificazione. Semmai sono altre le giustificazioni di una amnistia: porre un rimedio al barbaro affollamento delle carceri e ridare alla giustizia la possibilità di funzionare. Ma il governo che ci ritroviamo sembra aver fatto una scelta opposta: abbandonare le Istituzioni a un deperimento inarrestabile, e coinvolgerle irresponsabilmente nell´assalto allo Stato, proprio di questa "deregulation". Il fondamento della democrazia non sono le costituzioni e le leggi, sono l´esempio: il ministro della Giustizia Castelli è di per sé un uomo di difficile governo, pronto alle improvvisazioni e alle provocazioni, ma bisogna ammettere che il suo compito è molto difficile visti gli esempi che vengono dai suoi colleghi di governo. E´ scomparsa dalle aule di giustizia la scritta "La legge è uguale per tutti". (E si capisce il perché, dato che la legge nell´attuale sistema politico eguale non è, e non passa giorno senza un provvedimento che suoni a disprezzo della legalità). Hanno persino deciso che far votare i morti - più che un reato punibile con la legge, un sacrilegio punibile con l´inferno - sia una marachella cancellabile con una multa.
Se la democrazia è fondata sull´esempio, che razza di società è mai questa nella quale coloro che stanno in alto fanno a gara a violare le leggi? E che idea si può avere di uno Stato unitario che nomina ministro delle Riforme uno come Bossi che ha tentato di distruggerlo, che ha minacciato la marcia su Roma dei centomila fantomatici guerrieri dal fazzoletto verde? Il fatto che questa politica finisca in una confusa spartizione delle risorse pubbliche, e che prevalgano i ricattatori e i pagliacci non è di gran consolazione. E saltare sul caso Sofri per interessi personali o di partito è un altro dei tristissimi segni di una società sgangherata.
Anche perché Sofri ha tenuto in questi anni un comportamento ineccepibile, pur se è colpevole agli occhi di Castelli di essere "un intellettuale" che nell´etica bossiana è fra i crimini imperdonabili. Ma su questo il ministro ha tenuto duro: proporre una grazia per un intellettuale gli procurava degli insopportabili brividi. Così ha scelto un giornale di partito, il suo La Padania, per una proposta sostitutiva: una amnistia pacificatrice. La proposta è così confusa e piena di svarioni che il suo unico risultato sarà di rimandare a chi sa quando la soluzione del caso Sofri, la sua uscita dalla galera che l´opinione pubblica, i rappresentanti politici e le persone di comune buonsenso giudicano a trentun anni di distanza dall´omicidio Calabresi una pena ormai eccessiva. Il ministro propone un´amnistia per la pacificazione, cioè per qualcosa che o c´è nei fatti o non la puoi improvvisare con la trovata di un Guardasigilli. Amnistia pacificatrice fu quella di Togliatti per i fascisti di Salò che si erano macchiati di delitti ma non pacificò quelli che la guerra civile aveva diviso e fu subito chiaro che aveva uno scopo politico, far votare i fascisti per la repubblica contro la monarchia. Comunque nelle linee generali essa aveva un significato di clemenza dei vincitori contro gli sconfitti. L´amnistia di Castelli si presenta come una clemenza a minestrone fatto di cento incompatibili ingredienti: ci starebbero i terroristi rivoluzionari assieme ai dinamitardi sanfedisti del Sud Tirolo, gli imputati della strage fascista di Bologna e i serenissimi scalatori del campanile di San Marco (personaggi a tuttora incomprensibili, con il loro trattore simil carro armato). E poi brigatisti come Maurizio Ferrari, che dopo venti e passa anni di carcere non sanno neppur più cosa sia la libertà e se gli convenga. Uno dei pochi che sembra aver le idee chiare sull´amnistia è il bandito sardo Graziano Mesina che senza amnistia morirebbe nel carcere di Voghera e che invece vorrebbe "passare qualche giorno nei campi e nei boschi del Gennargentu".
La pacificazione negli eventi contraddittori della nostra storia non ha senso comune perché presume una impossibile parificazione. Semmai sono altre le giustificazioni di una amnistia: porre un rimedio al barbaro affollamento delle carceri e ridare alla giustizia la possibilità di funzionare. Ma il governo che ci ritroviamo sembra aver fatto una scelta opposta: abbandonare le Istituzioni a un deperimento inarrestabile, e coinvolgerle irresponsabilmente nell´assalto allo Stato, proprio di questa "deregulation". Il fondamento della democrazia non sono le costituzioni e le leggi, sono l´esempio: il ministro della Giustizia Castelli è di per sé un uomo di difficile governo, pronto alle improvvisazioni e alle provocazioni, ma bisogna ammettere che il suo compito è molto difficile visti gli esempi che vengono dai suoi colleghi di governo. E´ scomparsa dalle aule di giustizia la scritta "La legge è uguale per tutti". (E si capisce il perché, dato che la legge nell´attuale sistema politico eguale non è, e non passa giorno senza un provvedimento che suoni a disprezzo della legalità). Hanno persino deciso che far votare i morti - più che un reato punibile con la legge, un sacrilegio punibile con l´inferno - sia una marachella cancellabile con una multa.
Se la democrazia è fondata sull´esempio, che razza di società è mai questa nella quale coloro che stanno in alto fanno a gara a violare le leggi? E che idea si può avere di uno Stato unitario che nomina ministro delle Riforme uno come Bossi che ha tentato di distruggerlo, che ha minacciato la marcia su Roma dei centomila fantomatici guerrieri dal fazzoletto verde? Il fatto che questa politica finisca in una confusa spartizione delle risorse pubbliche, e che prevalgano i ricattatori e i pagliacci non è di gran consolazione. E saltare sul caso Sofri per interessi personali o di partito è un altro dei tristissimi segni di una società sgangherata.
Giorgio Bocca
Giorgio Bocca (Cuneo, 1920 - Milano, 2011) è stato tra i giornalisti italiani più noti e importanti. Ha ricevuto il premio Ilaria Alpi alla carriera nel 2008. Feltrinelli ha pubblicato …