Boris Biancheri: Una formula riuscita
22 Luglio 2003
Che l’incontro di Berlusconi e Bush fosse destinato a
chiudersi sotto il segno di una calda amicizia e di una larghissima identità di
vedute, si poteva prevederlo. L’accoglienza nel ranch di Crawford, accordata
solo a pochi privilegiati, l’abbondanza di abbracci fotografici e poi la
conferenza stampa congiunta lo hanno confermato.
L’occasione presentava qualche difficoltà per entrambi. Nell’opinione pubblica americana, soprattutto in quella più conservatrice, le attuali quotazioni dell’Europa non sono alte: poter esibire un presidente del Consiglio europeo così palesemente amico e vicino nello spirito e nella politica alla linea americana (in un momento che anche sul piano internazionale presenta non piccole difficoltà) è stato per Bush senza dubbio utile. Gli ha permesso tra l’altro di ribadire senza nessuna attenuazione, in presenza di un interlocutore che rappresenta l’Europa, la politica di fermezza americana: fermezza nell’affrontare la situazione irachena, fermezza di fronte all’Iran e alla Siria, fermezza nella prosecuzione della Road Map israelo-palestinese e di fiancheggiamento ad Abu Mazen.
Per Berlusconi era più difficile. Perché mentre il suo temperamento e le sue convinzioni lo portano a solidarizzare in toto con Bush, la sua posizione di presidente di turno in Europa gli impone di tener conto, in questo primo importante impegno internazionale del semestre, dei sentimenti a dir poco tiepidi di altri leader europei. Sul fronte dei rapporti Europa-Stati Uniti, Berlusconi ha dunque tenuto ad assicurare che il semestre italiano non soltanto non aggraverà gli screzi ma cercherà di rabberciarli: la formula da lui usata, "una cultura della coesione", è come tutte le formule perfettamente riuscite sufficientemente ambigua per non dispiacere a nessuno.
Più complesso era il passaggio medio-orientale. Berlusconi tiene ad avere una conferenza sulla pace in Palestina in Italia, preferibilmente a Erice. E’ probabile, se conferenza vi sarà, che gli Stati Uniti lo appoggino. Il dissenso si accentra ora sulla figura di Arafat, che molti europei vorrebbero tenere in gioco e che israeliani e americani escludono dal negoziato. Come se la caverà Berlusconi? Dovrà, come presidente di turno, incontrarlo? Oppure, come amico degli americani, ignorarlo? Il presidente è uomo di risorse: in politica estera, in Europa, il voto a maggioranza non c’è. Qualcuno che metta un veto all’incontro con Arafat si troverà.
Dell’altra questione scottante, una partecipazione europea a una forza di pace in Iraq, apparentemente non si è parlato. Ed è certo che il presidente italiano non poteva impegnare l’Europa in questa materia. Ma l’esigenza di condividere con altri Paesi le operazioni di sicurezza in Iraq per gli americani resta prioritaria. Se non se ne è parlato davvero, certamente se ne parlerà.
L’occasione presentava qualche difficoltà per entrambi. Nell’opinione pubblica americana, soprattutto in quella più conservatrice, le attuali quotazioni dell’Europa non sono alte: poter esibire un presidente del Consiglio europeo così palesemente amico e vicino nello spirito e nella politica alla linea americana (in un momento che anche sul piano internazionale presenta non piccole difficoltà) è stato per Bush senza dubbio utile. Gli ha permesso tra l’altro di ribadire senza nessuna attenuazione, in presenza di un interlocutore che rappresenta l’Europa, la politica di fermezza americana: fermezza nell’affrontare la situazione irachena, fermezza di fronte all’Iran e alla Siria, fermezza nella prosecuzione della Road Map israelo-palestinese e di fiancheggiamento ad Abu Mazen.
Per Berlusconi era più difficile. Perché mentre il suo temperamento e le sue convinzioni lo portano a solidarizzare in toto con Bush, la sua posizione di presidente di turno in Europa gli impone di tener conto, in questo primo importante impegno internazionale del semestre, dei sentimenti a dir poco tiepidi di altri leader europei. Sul fronte dei rapporti Europa-Stati Uniti, Berlusconi ha dunque tenuto ad assicurare che il semestre italiano non soltanto non aggraverà gli screzi ma cercherà di rabberciarli: la formula da lui usata, "una cultura della coesione", è come tutte le formule perfettamente riuscite sufficientemente ambigua per non dispiacere a nessuno.
Più complesso era il passaggio medio-orientale. Berlusconi tiene ad avere una conferenza sulla pace in Palestina in Italia, preferibilmente a Erice. E’ probabile, se conferenza vi sarà, che gli Stati Uniti lo appoggino. Il dissenso si accentra ora sulla figura di Arafat, che molti europei vorrebbero tenere in gioco e che israeliani e americani escludono dal negoziato. Come se la caverà Berlusconi? Dovrà, come presidente di turno, incontrarlo? Oppure, come amico degli americani, ignorarlo? Il presidente è uomo di risorse: in politica estera, in Europa, il voto a maggioranza non c’è. Qualcuno che metta un veto all’incontro con Arafat si troverà.
Dell’altra questione scottante, una partecipazione europea a una forza di pace in Iraq, apparentemente non si è parlato. Ed è certo che il presidente italiano non poteva impegnare l’Europa in questa materia. Ma l’esigenza di condividere con altri Paesi le operazioni di sicurezza in Iraq per gli americani resta prioritaria. Se non se ne è parlato davvero, certamente se ne parlerà.
Boris Biancheri
Boris Biancheri (1930-2011) è nato in Italia da padre ligure e da madre di origine russa. Ha girato il mondo e ha trascorso parte della vita in Grecia, Francia, Giappone, …